Era prevedibile che Donald Trump aumentasse ulteriormente il suo coinvolgimento nel mondo delle criptovalute. Già nell’agosto del 2024 aveva lanciato le cosiddette Trump Cards: degli NFT (immagini digitali da collezione, acquistabili tramite criptovalute) che lo ritraevano sotto forma di cartoon, supereroe e altro ancora.

Solo pochi mesi dopo, a settembre, nasceva World Liberty Financial: una piattaforma di prestiti in criptovalute gestita dai figli Eric e Donald Junior. La svolta nei rapporti tra Donald Trump e il mondo cripto – precedentemente tutt’altro che buoni – era però avvenuta già prima, nel luglio 2024, quando l’allora candidato repubblicano era apparso sul palco dell’annuale Bitcoin Conference promettendo di trasformare gli USA nella prima “cripto-nazione” del mondo.

Quanto avvenuto il 18 gennaio rappresenta quindi la ciliegina sulla torta di una relazione ormai consolidata. Solo due giorni prima della cerimonia di insediamento, Donald Trump ha infatti lanciato la sua criptovaluta ufficiale: Trump Coin. Venduti inizialmente solo sull’apposito sito, i Trump Coin hanno inevitabilmente iniziato a essere oggetto di speculazione mano a mano che i vari exchange (piattaforme di compravendita di criptovalute) li rendevano disponibili.

Nel giro di 24 ore, il valore di Trump Coin è passato da 5 a 74 dollari (+1.400 per cento), per poi perdere improvvisamente il 30 per cento del suo valore. Un tumultuoso saliscendi che non sorprende, vista la natura di queste monete (su cui torneremo tra poco). Quello che invece sorprende è la legittimazione che da questa vicenda hanno ricevuto i cosiddetti memecoin.

Vince chi ha più visibilità

Nel complicato gergo del mondo delle criptovalute, i memecoin sono delle monete digitali che fanno riferimento a meme, celebrità o avvenimenti particolari, e la cui caratteristica è proprio quella di crescere di valore tanto rapidamente – solitamente nel giro di poche ore dal lancio – quanto improvviso è il loro successivo crollo.

Di conseguenza, e con alcune eccezioni, i massimi guadagni vengono realizzati da chi è riuscito a lanciare un memecoin in grado di attirare l’attenzione (impresa non facile, visto che ne esistono milioni) e dai primissimi ad averne intuito il potenziale, seguendo i canali di X, Reddit, Discord e altre piattaforme dove i “meme-investitori” si scambiano consigli e indiscrezioni.

Se fino a poco fa creare un memecoin richiedeva qualche competenza tecnica in ambito blockchain (l’infrastruttura informatica sulla quale vengono create tutte le criptovalute), oggi esistono apposite piattaforme che consentono a chiunque di generare una propria moneta nel giro di pochi minuti.

La più nota di queste piattaforme è Pump.Fun, che nei 12 mesi di esistenza ha permesso di creare dal nulla 5,5 milioni di memecoin e ha già garantito ai suoi tre fondatori 350 milioni di dollari di fatturato, generati trattenendo l’uno per cento da ogni transazione che avviene sulla piattaforma.

È un salto di qualità impressionante rispetto a pochi anni fa, quando i memecoin disponibili sul mercato erano pochi e ben riconoscibili: Doge e il fratello minore Shiba Inu (entrambi ispirati a un celebre meme con protagonista un cane di razza Shiba) o Pepe Coin, ispirato a Pepe the Frog.

Tre monete che, alla luce delle iniziative di Trump, hanno un altro legame che è importante sottolineare: sono tutte collegate alla alt-right, la destra statunitense molto attiva online e che ha grandemente contribuito ad aumentare la popolarità di Trump. Doge e Shiba Inu sono infatti, da sempre, due delle criptovalute più amate da Elon Musk (che ha chiamato in onore della prima anche il suo nascente dipartimento per l'efficienza), mentre Pepe the Frog è stato per anni il simbolo stesso dell’estrema destra trumpiana.

Speculazione allo stato puro

La vera caratteristica che accomuna tutti i memecoin è però un’altra: a differenza delle tradizionali criptovalute (che hanno, o almeno sostengono di avere, delle funzionalità concrete), Trump Coin, Doge, Pepe e tutti gli altri non svolgono alcun ruolo che non sia la più spregiudicata speculazione fine a se stessa.

È un ambiente anarchico e deregolamentato, in cui le truffe e le dinamiche “pump and dump” (gonfia il prezzo e vendi subito) sono all’ordine del giorno. Lo scorso maggio, per esempio, la rapper Iggy Azalea ha lanciato la moneta Mother, promuovendola ai suoi sette milioni di follower su X. Nel giro di una settimana, il valore di Mother è cresciuto del 1000 per cento. Oggi, a pochi mesi di distanza, ha già perso il 90 per cento.

Lo stesso è avvenuto con il memecoin lanciato dall’influencer Hawk Tuah, che è crollato del 95 per cento a poche ore dal lancio facendo infuriare i tantissimi fan che speravano di essersi mossi con il giusto tempismo, e poi con quello dedicato allo scoiattolo Peanut (celebrità di Instagram), che nel giro di due mesi ha perso oltre l’80 per cento del valore.

In poche parole, con rare eccezioni, la modalità con cui i memecoin si muovono è sempre la stessa: vengono lanciati, il loro valore si impenna istantaneamente e poi crolla all’improvviso, lasciando con il cerino in mano tutti coloro i quali si sono fidati degli annunci di qualche celebrità o sono arrivati un minuto troppo tardi. Un meccanismo che ricorda più il gioco d’azzardo di quanto non si avvicini a un investimento.

È anche per questo che, per salvare le apparenze, sul sito dei Trump Coin si legge che rappresentano “un modo per esprimere supporto (...) e non sono destinati agli investimenti”. È solo una giustificazione di facciata: Donald Trump è la persona che più di tutte ha guadagnato dall’emissione della sua moneta (di cui detiene l’80 per cento del totale tramite la controllata CIC Digital), mentre i Trump Coin stanno attivamente venendo scambiati su numerosi exchange e a breve saranno disponibili anche su Coinbase e Binance (le più grandi piattaforme di compravendita di criptovalute).

Chi ci guadagna (oltre Trump)

Che il presidente di una superpotenza si metta a trafficare con i memecoin non è soltanto moralmente deplorevole (visto quante persone perderanno soldi puntando nel momento sbagliato), ma è anche pericoloso: «Chiunque nel mondo adesso può depositare i suoi soldi, con un paio di click, sul conto bancario del presidente degli Stati Uniti. Ogni tipo di favore – geopolitico, aziendale o personale – è da oggi in vendita», ha scritto su X l’ex responsabile delle comunicazioni di Trump, Anthony Scaramucci.

«Per quanto si possa essere tentati di derubricarlo a un altro spettacolo di Trump, il lancio della sua moneta digitale scoperchia un vaso di Pandora di questioni etiche e normative, mescolando gli ambiti della governance, del profitto e dell’influenza», ha invece spiegato l’esperto di criptovalute Justin D’Anethan parlando con la Reuters.

Soprattutto, è difficile non notare il conflitto d’interessi di un presidente che, in campagna elettorale, promette di cambiare completamente l’approccio verso il mondo delle criptovalute, fino a quel momento duramente osteggiato da varie istituzioni, e adesso potrebbe guadagnare decine di miliardi di dollari (a seconda di come verrà gestito il suo tesoro di Trump Coin) proprio grazie alle politiche ultrapermissive da lui promesse.

Donald Trump sembra quindi intenzionato a mantenere la promessa di diventare il primo “cripto-presidente” della storia (almeno tra le grandi nazioni): secondo quanto riporta Bloomberg News, Trump potrebbe immediatamente firmare un ordine esecutivo che designa le criptovalute come “priorità nazionale”, il che sarebbe il preludio alla costituzione della tanto chiacchierata “riserva strategica” in Bitcoin che gli Stati Uniti, sempre stando alle promesse, dovrebbero a breve costituire.

Quel che è certo è che i tempi duri degli scorsi anni, quando l’organo di controllo del mercato (SEC) era gestito dal mastino anti-cripto Gary Gensler, sono passati: il nuovo inquilino della Casa Bianca nominerà infatti alla SEC Paul Atkins, noto per le sue posizioni favorevoli alle criptovalute.

Almeno per il momento, è questo il più grande regalo che Donald Trump ha fatto ai crypto-bros che l’hanno supportato con donazioni da decine di milioni di dollari. E che sono stati tra i suoi più importanti sostenitori in quel sottobosco fatto di account X, canali Telegram e Discord, newsletter e podcast che passa costantemente sotto traccia, ma che ha ormai un’enorme influenza.

Da oggi Donald Trump è anche lui, a tutti gli effetti, un crypto-bro. Così come da sempre lo è il suo braccio destro Elon Musk. Dal nuovo clima di benevolenza nei confronti della speculazione selvaggia saranno sicuramente loro i primi a guadagnare.

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