Elon Musk fonda Pay Pal, s’intesta l’auto elettrica, punta a Marte e ai tunnel ipersonici da San Francisco a Los Angeles. Nel frattempo assiste dallo spazio l’esercito ucraino. Non da ultimo, quasi 94 milioni di account lo seguono su Twitter. Da parte sua ne segue 112, dieci dei quali sono emanazione delle aziende che possiede. I restanti 102 costituiscono un pacchetto di scelte non banali: 22 riguardano lo spazio, 32 la scienza (ricerca, tecnologia, intelligenza artificiale, medicina) compreso l’account di un italiano del nord ovest, 20 riguardano le scienze umane e lo show business, sei le criptovalute, nove le news in vari campi con prevalenza delle fonti Bbc. Il gruppo di account seguiti da Musk, e lui stesso, hanno l’aria di un circolo social di progressisti della scienza e della tecnologia, che attraverso la piattaforma si tengono d’occhio tra di loro, stimolano le loro idee a vicenda, convergono verso una sorta di progressismo tecnologico armato (non solo i bit, ma anche chimica e meccanica) capace di mobilitare la finanza attorno a spunti innovativi. Con qualche enfasi la definiremmo una comunità d’azione e di pensiero.

Black Twitter

Non meno comunitario è, descritto sul  New York Times peraltro, il vincolo del Black Twitter, la versione digitale della diaspora sociolinguistica afroamericana che, a partire dalle proprie interazioni, ha messo e mette a fuoco il modo di pensarsi dei neri erodendo nel contempo i luoghi comuni degli altri su di loro.

Amano definirsi “non gruppo”, ma un insieme di pratiche di comunicazione volte a cercare il senso delle cose, a scambiarsi idee, a denominarle per renderle incisive (come con “misogynoir” che focalizza la misoginia specificamente rivolta alle donne nere).

Dalla corte dei tecno progressisti seguiti da Musk, alla versione Twitter “black lives matter”, chi usa quel social dà per scontato di collocarsi in una qualche dimensione di comunità ritagliata su interessi esprimibili e legittimabili attraverso la forza dei concetti. I concetti sono il campo di battaglia e le armi sono i “discorsi”, pensati in forma di pallottole, forti di dati, battute, parodie.

In 140 caratteri

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Forse era quello che voleva il fondatore quando impose la regola dei 140 caratteri e non oltre, che esclude chi vaneggia e dunque sbrodola. Ora sono consentiti 240 caratteri – tre righe di un dattiloscritto –  e, accodando un tweet dietro l’altro con i “tred”, ci si può spingere in racconti e dimostrazioni più tradizionali.

All’opposto, la selezione di quel tipo di comunità potrebbe essere stata la conseguenza imprevista di una regola che voleva la brevità in quanto più adatta alla lettura su schermo, tanto più se da smartphone.

La Ztl in campo social

Twitter, piattaforma di comunità variegate accomunate dall’arte del parlare, si presenta, in Usa come in Italia, come il ritrovo di circa il 20 per cento degli adulti, maschi per tre quarti, che poco raccontano delle cure e degli affetti. Ceto medio di lavoratori in senso lato culturali, appassionati, fra odio e amore, del mestiere. È una Zona a traffico limitato nel mezzo dei mondi social, una festa permanente di epigrammisti e comici impegnati nella conversazione globale, in cui però tengono le debite distanze.

Gente che, ovviamente, la propaganda piuttosto che subirla la propone al prossimo, tant’è che l’ottimo Luca Morisi, filosofo del web e trainer della “Bestia” di Matteo Salvini, dichiarava di ritenere Twitter rispetto a Facebook, il proto social, un mondo vuoto.

I conti di Musk

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Date queste premesse, Musk, se non andiamo errati, ritiene che le comunità che si ritrovano con Twitter sarebbero pronte a versare fior di soldi per restarci, anche se il social divenisse a pagamento, in tutto o in parte.

A cominciare dalle versioni “premium”: queste valorizzano i contributi in base alle sottoscrizioni da spartire tra gli autori, e non secondo i numeri del traffico, come accade con i sistemi di newsletter a pagamento. Questo in misura sufficiente da giustificare l’offerta di 44 miliardi per comprarsi il social per intero.

Ma tra offrire e pagare c’è di mezzo l’accertamento della quota di account fasulli tra i 217 milioni che a fine del 2021 il social dichiarava di avere in piattaforma. 

La non autenticità va cercata agli estremi opposti, negli account dormienti, che esistono, ma sono come spenti, e negli spambot che non sono né utenti né potenziali consumatori di qualcosa, ma robot al servizio delle “Bestie” della propaganda politica e delle campagne commerciali.

Come calcolare gli utenti “quasi” spenti? E come depurare le cifre dalla quota di traffico artefatta per opera dei bot? Probabilmente è qui il mare dell’opinabile per cui Twitter afferma che gli utenti fasulli sono meno del cinque per cento, mentre Musk sospetta pubblicamente che siano il quadruplo.

Qualche volte riceviamo il following di bot che puntano a ottenere il following reciproco? Va detto che Twitter sembra tollerare gli account falsi. All’inizio del 2021 circolava la notizia che Twitter avrebbe “ripreso”, quindi aveva smesso di farla, la verifica degli account. Ma non sistematicamente bensì solo di coloro che richiedevano il contrassegno del bollino blu. 

Insomma, la piattaforma, al di fuori di chi richiede la verifica del bollino, come attestato di credibilità e valore, non fa altri tipi di indagine. Oggi, grazie alla polemica sollevata dal proprietario di Tesla, cala su Twitter l’ombra del sospetto. L’astuto Musk punta a ottenere un forte sconto o, addirittura, di fare marcia indietro sull’acquisto.

Nonostante le profezie di esodi di massa, le “comunità di parola”, che sono l’anima di Twitter resistono tetragone in mezzo al vento degli affari e proseguono a twittare, perché non hanno altro posto dove andare. E già questo basta a confortare i calcoli di Musk, se davvero mira a rendere la piattaforma a pagamento.

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