Salvatore Cancemi dichiarava: «U zu’ Toto’ (alludendo a Salvatore Riina) ha avuto un incontro con persone molto importanti, e hanno deciso che devono mettere una bomba a Falcone. Queste persone importanti hanno promesso allo zu’ Toto’ che devono rifare il processo nel quale lui è stato condannato all’ergastolo»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.
Anche dalle dichiarazioni di Cancemi sono emersi alcuni significativi elementi di conferma, con particolare riferimento all’influenza di input esterni sulla strategia stragista di Cosa Nostra.
Fin dall’interrogatorio reso in data 1 novembre 1993 al pm di Caltanissetta, egli ha infatti riferito di avere appreso da Raffaele Ganci che la decisione di uccidere il dottor Falcone fu assunta dopo che Riina aveva avuto un incontro con “persone molto importanti”, estranee a Cosa Nostra: “Ganci mi disse queste parole, più o meno testuali per quanto io possa ricordare: “u zu’ Toto’ (alludendo a Riina Totò) ha avuto un incontro con persone molto importanti, e hanno deciso che devono mettere una bomba a Falcone. Queste persone importanti hanno promesso allo zu’ Toto’ che devono rifare il processo nel quale lui è stato condannato all’ergastolo”. Non aggiunse altro né io, come mia abitudine, gli feci domande.”
Più recentemente interrogato sugli intendimenti perseguiti da Riina con le stragi del 1992, Cancemi ha dichiarato (cfr. l’interrogatorio alle Procure di Caltanissetta e Firenze del 23 aprile 1998): “Vengono poste a questo punto domande per dar modo a Cancemi di chiarire quali fosse ro gli intendimenti perseguiti da Riina attraverso le azioni di strage del 1992. Cancemi spiega che Riina, attraverso queste azioni, voleva “sfiduciare” coloro che all’epoca era no al potere: Riina adoperava l’espressione “quelli che sono in sella”.
Dunque, anche Cancemi conferma che il primario scopo di Riina non era tanto quello di vendicarsi di suoi “nemici storici” (come Falcone e Borsellino) o di “amici” che non avevano rispettato i patti (come Salvo Lima e Ignazio Salvo, e quindi – indi rettamente - Andreotti), bensì quello di mettere in campo un’azione politico-criminale indirizzata a mettere in seria difficoltà, “sfiduciare” quelli che “erano al potere”.
Le dichiarazioni di Angelo Siino
Anche dalle dichiarazioni di Angelo Siino sono emerse numerose conferme del quadro probatorio finora delineato. Il Siino, massone e vicino a uomini di vertice di Cosa Nostra (in particolare, a Stefano Bontate prima, e a Giovanni Brusca poi), ha riferito ampiamente degli stretti rapporti risalenti nel tempo fra Cosa Nostra e la massoneria. In relazione alla strategia messa in atto con le stragi del ’92 e del ’93, il Siino ha, in primo luogo, confermato l’intenzione di Cosa Nostra di colpire alcuni politici, ritenuti “traditori” dall’organizzazione mafiosa (in particolare Salvo Lima, quale tra mite del senatore Giulio Andreotti, e Claudio Martelli):
“C’era una precisa volontà, da quello che ho saputo da tutti, di chiudere con il passato, cioè ad un certo punto a fare scopa nuova...” (cfr. l’interrogatorio del 3.1.1998).
In secondo luogo, con specifico riferimento alla strategia stragista del 1993, ha dichiarato di avere appreso da Antonino Gioè (uomo d’onore della famiglia di Alto fonte, poi suicidatosi in carcere) che fra le finalità della strategia destabilizzante delle “bombe” vi era anche quella di indirizzare la situazione siciliana verso una prospetti va indipendentista.
Le dichiarazioni di Giuseppe Marchese
Anche Giuseppe Marchese, il primo dello schieramento “corleonese” che nel pieno della strategia stragista iniziò a collaborare con la giustizia, ha fornito delle conferme alle dichiarazioni di Leonardo Messina, con particolare riferimento ai con tatti stabiliti prima dell’attuazione di quella strategia ed al ruolo che vi rivestì Giuseppe Madonia.
Il Marchese ha infatti riferito di avere appreso nell’agosto 1992 da Benenati Simone che il Madonia Giuseppe, parlando dell’omicidio Lima e, in genera le, della commissione di delitti particolarmente eclatanti, gli aveva spiegato che “loro” (il Madonia ed il Riina) non nutrivano eccessive preoccupazioni sulle conseguenti reazioni dello Stato, poiché in questi casi curavano prima di assicurarsi una “base forte” a livello di politici, intendendo così fare riferimento ad appoggi di quella natura che potessero “metterli al riparo” dalle possibili conseguenze.
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