Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Quanto alla conclusione secondo cui l’essere venuto a conoscenza, attraverso il canale Ciancimino-Cinà, che uomini delle istituzioni si fossero fatti avanti per sollecitare un possibile dialogo con i vertici di Cosa nostra (ovvero per negoziare la cessazione delle stragi) costituirebbe l’unico fatto nuovo, sopravvenuto dopo la strage di Capaci e prima di quella di via D’Amelio che può avere indotto Riina a sconvolgere la scaletta del suo programma criminoso anticipando l’esecuzione di un delitto che sarebbe stato controproducente — per Cosa nostra - commettere in quel frangente, il ragionamento del giudice di prime cure elude il confronto con i dati fattuali.

Esso infatti dà - o sembra dare, nel primo dei passaggi motivazionali dedicati al tema - per indiscutibilmente provato che Salvatore Riina fosse stato informato proprio nel periodo immediatamente precedente la strage della sollecitazione al dialogo proveniente da autorevoli rappresentanti dello stato; ma non si preoccupa più di tanto di dimostrare che lo sviluppo dei contatti tra gli ufficiali del Ros. fosse giunto, già prima della strage di via D’Amelio, ad uno stadio talmente avanzato da consentire al capo di Cosa nostra di avere una chiara e certa contezza, attraverso il canale Ciancimino-De Donno, che lo stato fosse disponibile ad avviare un negoziato con l’organizzazione mafiosa.

Il timing della vicenda che si desumerebbe dalle dichiarazioni dei diretti protagonisti racconterebbe tutt’altro, perché prima della strage di via D’Amelio vi sarebbero stati soltanto due o tre incontri a quattro occhi del Capitano De Donno con Vito Ciancimino, che s’inscrivevano ancora nella fase delle schermaglie preliminari.

Mentre il Col. Mori, la cui partecipazione ai “colloqui di pace” era stata ritenuta indispensabile a garanzia del livello della trattativa e della legittimazione dei carabinieri a proporsi come emissari di un’Autorità politica o istituzionale sovraordinata, sarebbe intervenuto solo successivamente.

D’altra parte, gli elementi che possono ricavarsi dalle testimonianze di Liliana Ferraro e di Fernanda Contri ci dicono di contatti ancora da instaurarsi o comunque ancora in fase del tutto embrionale nell’ultima decade di giugno e a cavallo del trigesimo della strage di Capaci (v. incontro della Ferraro con De Donno), e persino al 22 luglio, data dell’incontro della Contri con il colonnello Mori.

Cosa dice la sentenza di primo grado

Di contro, le fonti che avrebbero potuto avvalorare, con le loro dichiarazioni, l’ipotesi che la trattativa avesse avuto uno sviluppo molto più celere e fosse giunta, in epoca anteriore e prossima alla strage di via D’Amelio, ad uno stadio molto più avanzato e maturo di quanto non vogliano far credere Mori e De Donno (per non parlare di Vito Ciancimino) sono liquidate dallo stesso giudice di prime cure l’uno, Massimo Ciancimino, come totalmente inaffidabile ai fini dell’accertamento di tutti i fatti di cui ha parlato e straparlato; l’altro, Giovanni Brusca, come assai poco affidabile quanto alla datazione degli avvenimenti che qui interessano — e segnatamente la vicenda del papello — per le incertezze palesate e soprattutto per avere reso dichiarazioni quanto mai ondivaghe tutte le volte che è stato sentito su quella vicenda.

O meglio, più che di oscillazioni, si deve dare atto di un vero e proprio mutamento di versione rispetto alle dichiarazioni che Brusca aveva reso già il 10 e il 14 agosto del ‘96, […] e il 10 settembre ‘96, […] e quindi all’inizio della sua collaborazione, quando aveva collocato con certezza il primo colloquio con Riina sul papello in epoca successiva alla strage di via D’Amelio: versione che però aveva sostanzialmente confermato anche in pubblici dibattimenti, come gli è stato contestato nel corso del controesame cui è stato sottoposto all’udienza del 12.12.2013. […] Ed ancora, dal verbale del 19 gennaio 1998, processo per le stragi in continente dinanzi la Corte d’Assise di Firenze: […]. Tace, la sentenza di primo grado, che la datazione offerta da Brusca, a partire dal momento in cui per la prima volta cambia versione - e cioè al processo “Borsellino ter” - rispetto a quella su cui aveva insistito anche in pubblici dibattimenti (come il primo processo sulle stragi in continente dinanzi la Corte d’Assise di Firenze e il processo “Borsellino bis” dinanzi la Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta) e su cui peraltro ritornerà, inopinatamente, il 3.05.2011 dinanzi la Corte d’Assise di Firenze nel processo Tagliavia, almeno per ciò che concerne il secondo dei colloqui vertenti sul papello (v. infra), è incompatibile con una ragionevole ricostruzione dei tempi di sviluppo della trattativa.

Tutte le incongruenze dello “Scannacristiani”

Essa postula infatti che già prima della strage di via D’Amelio il Riina non solo fosse stato informato della sollecitazione al dialogo, ma avesse deciso di accettarla, inoltrando le sue richieste per il tramite di Ciancimino […]. Ma se il secondo dei due incontri in cui Riina gli parlò del papello fosse davvero avvenuto alla fine di giugno o al più ai primi di luglio, in netto contrasto, peraltro, con quanto lo stesso Brusca aveva dichiarato all’udienza del 3/05/2011 nel processo di Firenze a carico di Tagliavia Francesco sempre per le stragi in continente, il precedente incontro a tutto concedere sarebbe avvenuto intorno all’ultima decade di giugno (dando per buona la versione di tempi rapidissimi tra le richieste avanzate da Riina e la risposta della controparte, in barba alla difficoltà di un’interlocuzione che richiedeva varie intermediazioni e quindi vari passaggi).

Il contrasto con il racconto fatto al processo Tagliavia - che sembrerebbe segnare un ritorno alla versione originaria - è più che evidente. Ma addirittura disarmante è la spiegazione che lo stesso Brusac ha offerto, quando quella difformità gli è stata contestata, imputandola ad una sua contingente “mancanza di serenità”. […] In ogni caso, stando alla “nuova” versione (per intenderci: quella resa nel presente processo, che corrisponderebbe alla versione resa al “Borsellino ter”), per ritrovare il momento in cui Riina sarebbe stato informato della sollecitazione a far conoscere le sue richieste per far cessare le stragi […] occorrerebbe risalire alla prima metà di giugno: altro che schermaglie preliminari e gioco delle parti nei colloqui tra De Donno e Ciancimino e poi anche con Mori. Ma neppure Massimo Ciancimino è arrivato a tanto.

Di contro, stando a questa datazione, la trattativa si sarebbe chiusa, con la deludente risposta della controparte istituzionale, già tra le fine di giugno e i primi di luglio. E Riina avrebbe quindi deciso di procedere senza indugio alla strage, sia per ritorsione contro l’atteggiamento irriguardoso della controparte, che si era mostrata disposta a concedere solo briciole […]; sia per implementare l’efficacia intimidatoria della minaccia mafiosa e costringere la controparte istituzionale ad accogliere le richieste che erano state respinte come eccessive.

Ma allora come spiegare la successiva decisione di dare un altro colpetto, nell’autunno del ‘92, per indurre gli stessi soggetti che, a suo tempo, si erano fatti sotto, a tornare a trattare? Se non era servito un colpo tremendo quale quello inferto con la strage di via D’Amelio, un semplice colpetto non avrebbe certo potuto far superare la situazione di stallo.

E infatti, in un successivo passaggio della motivazione, sempre dedicato alla ricerca della conferma della trattativa anche nelle parole di Brusca, la sentenza appellata valorizza con convinzione le dichiarazioni che il Brusca ebbe a rendere nell’immediatezza della sua collaborazione, e rese utilizzabili nel presente giudizio attraverso la contestazione dei verbali utilizzati nel corso dell’esame dibattimentale del dichiarante e nei limiti di quanto confermato, e segnatamente quella consacrata nel verbale d’interrogatorio del 14 agosto 1996.

In quella sede, Brusca aveva fatto risalire ad epoca successiva alle due stragi, e addirittura alla vigilia delle festività natalizie, il momento in cui Riina aveva avuto contezza che non meglio specificati emissari istituzionali gli avevano chiesto cosa volesse per porre termine alle stragi […]. Al dibattimento ha sostanzialmente confermato il contenuto e la sequenza dei colloqui vertenti sul papello, salvo datarli entrambi alla fine di giugno del 1992 e comunque - con certezza e sulla base di assenti riferimenti temporali rivenuti nei meandri della sua memoria a distanza di anni — entrambi prima della strage di via D’Amelio.

E la sentenza appellata, con apparente disinvoltura (a pag. 1634) supera l’incertezza che ne verrebbe in ordine all’affettiva concatenazione causale dei fatti da ricostruire, dando sì atto che la collocazione temporale prbolospettata da Brusca è stata oggetto di dichiarazioni nel tempo diverse e spesso contraddittorie, ma assicurando al contempo che la Corte «intende prescindere da tale dato (che. peraltro, come meglio si preciserà nel prosieguo non appare determinante ai fini della contestazione di reato in esame nel presente processo) e concentrarsi, quindi, soltanto sul contenuto del colloquio avuto con Riina (quale che sia il periodo in cui questo avvenne, comunque. per il suo contenuto, collocabile nel secondo semestre del 1992), che. invece, come detto, nel suo nucleo centrale (quello che appare possibile, quindi, utilizzare) è stato sempre confermato dal Brusca in tutte le sue dichiarazioni lino a quelle rese in questo dibattimento».

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