Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


In effetti la decisione di primo grado ha ribadito a più riprese questo concetto evidenziando alcuni progetti, ad esempio in tema di abolizione dell’ergastolo, in favore dei quali taluni esponenti di Forza Italia si erano espressi seguendo una linea di pensiero del resto comune anche ad esponenti di altre fon-nazioni politiche.

Delle iniziative attuate in coerenza con la linea asseritamente “garantista” che molti esponenti del nuovo partito politico propugnavano e che, peraltro, aveva consentito loro di raccogliere molti consensi elettorali in ambienti non solo malavitosi, ma anche di certe elite culturali di diversa provenienza che sin dagli anni ottanta avevano intrapreso battaglie politiche del medesimo segno (basti pensare al referendum del 1981 per l’abolizione della pena dell’ergastolo), tanto più che v’era una forte presenza, in quel medesimo nuovo partito, di esponenti provenienti da quella parte dell’avvocatura che da sempre aveva avversato la legislazione del c.d. “doppio binario” per i processi prima di terrorismo e, poi, più recentemente, di mafia.

Se, dunque, quei provvedimenti erano frutto di questo percorso, e non di condizionamenti, minacce o pressioni, è chiaro che da queste stesse iniziative non si possa ottenere alcun indice di riscontro circa il fatto che Berlusconi abbia effettivamente ricevuto la minaccia stragista tramite la filiera Mangano e Dell'Utri.

Semmai, da questi stessi elementi, emergono ragioni logico fattuali per ritenere che a Mangano sia stata recapitata la notizia, sebbene in anteprima e per il canale segreto rappresentato in quel momento da Dell'Utri, di quali fossero le modifiche legislative che (assunte come visto a prescindere dalla minaccia e certamente non come conseguenza della stessa) erano state tentate o erano in procinto di essere presentate.

Iniziative politiche “connaturali”

La questione è tutt’altro che secondaria. Qualora, infatti, si disponesse della prova che il contenuto del decreto legge 14 luglio 1994 n. 440, nella parte che riguardava le misure cautelari anche per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., o che l’operato della commissione Giustizia della Camera, per l’attività di interesse programmata per gennaio del 1995 e su iniziativa anche di Forza Italia, fossero conseguenza (“causa-effetto”) della pressione mafiosa ed allora si disporrebbe di un dato fattuale dal quale ritenere, in modo deduttivo, che le notizie date da Dell'Utri su queste stesse tematiche rappresentavano la dimostrazione tangibile della realizzazione del progetto criminoso di cui ci si occupa poiché, senza tale pressione dall’indiscutibile valenza intimidatoria, a tale risultato non si sarebbe arrivati, perlomeno in quei tempi e secondo quel percorso.

Considerato che, viceversa, tali iniziative erano “connaturali” ad una certa politica giudiziaria, insita in quella formazione, ne consegue che da questi elementi non si può ottenere alcuna prova (né logica nè d’altro tipo).

Risulta arduo comprendere perché si sarebbe dovuta brandire, per di più da parte dell’interlocutore Dell'Utri, la minaccia mafiosa come strumento di pressione sul governo per condizionarne le scelte quando queste ultime potevano apparire confacenti con certi risultati attesi dalla consorteria mafiosa.

Ma se erano progetti in linea con il programma di Forza Italia, senza cambiamenti indotti da segrete pressioni, pare ancora più evidente che per ottenere quel tipo di informazioni non fosse necessario “scomodare” Berlusconi, in quel momento impegnato nel suo incarico di neo presidente del Consiglio peraltro alle prese, già a dicembre del 1994 (cioè pressocché in corrispondenza del secondo incontro Mangano/Dell'Utri di cui si tratta), con una ventilata crisi di governo, per le tensioni insorte con la Lega Nord, che poi porterà alle dimissioni il 21.12.1994.

Non si trattava, in altri termini, di “iniziative legislative” (intese in senso ampio) note solamente al Presidente del Consiglio Berlusconi o di suo segreto ed esclusivo appannaggio, bensì di progetti che rientravano nell’agenda di governo e che i soggetti di vertice e/o con responsabilità tecniche/normative di quel partito possedevano senza bisogno per Dell'Utri di doversi rivolgere a Berlusconi, per di più veicolandogli (come ritenuto nella sentenza di primo grado) la minaccia mafiosa in presenza di una pianificazione normativa che seguiva un suo corso a prescindere da interferenze (sempre per come ritenuto nella medesima decisione).

Dell’Utri era ben addentro in Forza Italia

Marcello Dell'Utri, per quanto non avesse all’epoca incarichi di governo o istituzionali, era ben addentro a quella formazione politica, con conoscenze profonde ed a vario livello essendo stato uno dei promotori della nascita di Forza Italia, sicché pare evidente che lo stesso seguisse alacremente e con attenzione le riforme normative che quel partito ed il governo in carica si accingevano a promuovere soprattutto sui versanti sensibili “della giustizia” e/o “carcerario” per i quali, per di più, proprio lui aveva assunto degli “impegni” secondo l’accordo preelettorale (o secondo la promessa elettorale come pure etichettata).

Può allora ritenersi, in termini di elevata credibilità razionale, che le pur preziose informazioni in anteprima, che l’imputato ha recapitato a Mangano e che questi ha sollecitamente girato a Cucuzza, provenissero da un soggetto sì qualificato dell’entourage di Forza Italia e/o dell’ufficio legislativo riferibile a questo partito, ma senza che si trattasse necessariamente di Berlusconi e senza che quest’ultimo venisse a tal fine interpellato da Dell'Utri in nessuna delle duplici occasioni sopraddette dell’estate e del dicembre del 1994.

Prescindendo dal fatto che non vi è neppure prova che in questi periodi vi siano state delle interlocuzioni Dell'Utri/Berlusconi, che pure in generale hanno mantenuto rapporti di confidenzialità e frequentazione, v’è da aggiungere che, già in questo arco temporale, erano montate le polemiche, perlomeno in certa opinione pubblica, legate alle notizie di stampa (di cui Giovanni Brusca ha fornito in questo processo plastica rappresentazione riferendosi alla lettura di quell’articolo de L’Espresso di cui si è sopra detto), che denunciavano i compromettenti e risalenti legami tra Mangano e Dell'Utri e di costoro con Silvio Berlusconi dei legami che in quel periodo potevano finire per appannare – e non poco – l’immagine del Premier, per di più già alle prese con una possibile crisi di governo dopo alcuni mesi dal conferimento del primo incarico governativo.

Risulta pertanto difficile immaginare che il presidente del Consiglio, che in quella fase politica non conferì alcun incarico di governo a Dell'Utri, che pure si era alacremente speso per le elezioni ed era stato tra i protagonisti della costituzione di Forza Italia, si dedicasse, poi, ad incontri confidenziali con questo stesso soggetto per di più per metterlo al corrente delle iniziative normative che potevano appagare certi desiderata di Cosa nostra.

Simili informazioni, che (lo si ripete) seguivano una linea politica/giudiziaria diffusa anche in campagna elettorale, ben potevano essere chieste a e date da soggetti del partito vicini a Dell'Utri e vicini a Berlusconi, purché in possesso delle adeguate conoscenze tecniche, ma senza che vi fosse la necessità di un compromettente contatto di Dell'Utri con Berlusconi.

Il fatto che, come si ricava dal racconto del Cucuzza e dal (pur “eccezionale”) riscontro valorizzato già in primo grado, Dell'Utri fosse informato della modifica legislativa che sarebbe stata inserita in un decreto legge che si intendeva emanare a breve, tanto da riferirne a Mangano per provare il rispetto dell’impegno assunto con i mafiosi, non vale a dimostrare che lo stesso Dell'Utri informasse Berlusconi dei suoi contatti con Mangano ed i mafiosi anche dopo l’insediamento di quel governo.

Tanto meno può immaginarsi che soltanto Berlusconi, quale Presidente del Consiglio, avrebbe potuto informare Dell'Utri di un intervento legislativo quale quello che fu varato, ad esempio, con l’approvazione del decreto legge del 14 luglio 1994 n. 440.

Per quanto fossero notizie segrete all’esterno (su iniziative definite perfino come “segretamente assunte”), da qui la prova dei contatti Mangano/Dell'Utri, simili informazioni potevano essere attinte, da parte di un personaggio come Dell'Utri e con le sue ramificate conoscenze, da una fonte e da un canale interno al partito che, per quanto privilegiato, prescindeva però da un passaggio con il Presidente, tanto più che si trattava di novità sullo stato della legislazione senza dover coartare Berlusconi né, tanto meno, gli altri componenti del governo.

Si coglie un’indiscutibile differenza rispetto alla minaccia che ha investito il governo Ciampi poiché in quel caso (come ampiamente scrutinato in precedenza) le modifiche incalzate sotto il ricatto stragista miravano a degli obiettivi in contrasto con la linea seguita tanto che, come visto, la mancata proroga dei provvedimenti di sottoposizione al 41 bis, in scadenza nel novembre del 1993, venne letta come un segnale in controtendenza se non come un vero e proprio momento di cedimento.

Viceversa, nel caso che ha coinvolto più direttamente Dell'Utri e per le specifiche modifiche di cui egli si è fatto portavoce con Vittorio Mangano, si trattava di risultati perfino in linea con la politica di quella formazione o, almeno, di parte di quel governo riconducibile a Berlusconi.

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