Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Ma anche Vito Ciancimino non ha mai spiegato come mai egli abbia impiegato un anno prima di realizzare che gli immobili che lui sapeva essere stati utilizzati come rifugio di boss corleonesi latitanti (uno dei quali era Riina) potessero ancora avere quella destinazione. Perché in nessuno degli interrogatori susseguitisi per tutto il 1993 — cioè l’anno in cui Giuffré apprende dalla viva voce di Provenzano che il Ciancimino che stava collaborando con gli inquirenti e che aveva avuto contatti con i carabinieri, era in missione per conto di Cosa nostra — la questione delle mappe e la pista ad esse correlata per giungere all’individuazione dei covi di altri pericolosi latitanti corleonesi venne mai neppure sfiorata.

È possibile che quell’anno di carcere abbia profondamente mutato l’atteggiamento dell’ex sindaco di Palermo e fiaccato le sue residue lealtà “corleonesi”. La sua situazione giudiziaria non aveva registrato alcun miglioramento, fatta eccezione per la sospensione del regime del 41 bis che gli era stato applicato a febbraio del ‘93, ma subito sospeso, su esplicita richiesta della procura di Palermo avanzata al Dap con Nota a firma del procuratore Caselli in data 9 marzo 1993.

A dicembre, però era divenuta definitiva la sua condanna per associazione mafiosa (e per corruzione); ed era divenuto definitivo anche il decreto per la confisca di buona parte dei suoi beni. La collaborazione con la procura di Palermo non stava producendo, insomma, i benefici Sperati per la sua situazione personale. Sta di fatto che a gennaio del nuovo anno, Vito Ciancimino sembra determinato a offrire un nuovo e incisivo contributo alle indagini mirate alla cattura di altri pericolosi latitanti che ritiene continuino a utilizzare due immobili in particolare, in una zona ben precisa tra Monreale e Palermo; e se, prima del suo arresto aveva pensato che uno dei boss che usavano quegli immobili fosse Riina — ma era solo un’ipotesi, come lui stesso tiene a precisare — adesso pensa ad altri, che però non nomina.

E tuttavia, già al capitano De Donno aveva fatto i nomi di alcune vie, o le aveva segnate sulle famigerate planimetrie quando erano sulle tracce di Riina. E setacciando i suoi appunti si scopre che una di queste vie l’aveva segnata ed evidenziata, usando il carattere maiuscolo: via Cannolicchio.

Questa via, e quindi gli immobili o uno dei due immobili cui Ciancimino pensava come possibile rifugio ancora attuale di altri pericolosi latitanti, balzerà all’attenzione degli inquirenti, e dei carabinieri in particolare, tre anni dopo, quando Calogero Ganci, divenuto collaboratore di giustizia (giugno 1996), riferirà tra l’altro di avere appreso che un immobile ubicato in via Cannolicchio era stato utilizzato tempo addietro come proprio rifugio da Bernardo Provenzano.

Le dichiarazioni di Ierfone

La circostanza è emersa, con specifico riferimento all’accusa di avere negli anni il R.O.S. comandato e diretto dal Generale Mori sistematicamente messo in atto condotte favoreggiatrici nei riguardi di Bernardo Provenzano, al dibattimento del processo Mori/Obinu, nel corso dell’esame del Capitano Felice Ierfone (udienza 24.02.20 12) ed è stata poi ripresa nel corso dell’esame cui lo stesso Ierfone è stato sottoposto al dibattimento di primo grado del presente processo (udienza 12.02.20 17) Felice Ierfone, annoverabile tra gli ufficiali molto fedeli e leali al Generale Mori che lo volle con sé anche al Sisde, ha dichiarato che la cattura di Provenzano era divenuta, al contrario, un obbiettivo prioritario del Ros almeno a seguito della collaborazione di Salvatore Cancemi. In effetti, tutte le fonti dichiarative che provengono da ufficiali od ex ufficiali del Raggruppamento, concordano nell’asserire che fin dal 1993 il Rosattraverso varie sue articolazioni, si è attivamente occupato di problematiche investigative attinenti a Bernardo Provenzano, sia per ciò che concerneva la ricerca e cattura di latitanti (a lui vicini), sia per ciò che riguardava il contrasto alla componente associativa che si rifaceva diciamo allo schieramento provenzaniano.

E ne riferiscono come di una vera e propria scelta strategica, in decisa controtendenza, secondo quanto ha dichiarato il Magg. Obinu all’udienza del 24.02.20 12 (dichiarazioni spontanee essendo egli imputato in quel processo), rispetto all’orientamento degli altri organismi investigativi che avevano come obbiettivi prioritari la disarticolazione della fazione ritenuta più agguerrita e dominante, che faceva capo ai vari Aglieri, Brusca e Bagarella, indicati come i principali esponenti mafiosi di vertice verso cui concentrare gli sforzi per porre fine alla loro latitanza.

Gli fa eco il gen. Ganzer che, sentito nel medesimo processo all’udienza del 23 .03 .2012, dichiara: «Nel momento in cui apprendemmo da Cancemi che si costituì proprio perché temeva di essere ucciso da Provenzano all‘esito di un incontro cui avrebbe dovuto essere accompagnato da Carlo Greco, mi sembra, e appunto nel momento in cui avemmo notizia che Provenzano pur non avendo il ruolo di vertice di Riina, insieme a Bagarella, a Brusca, ai fratelli Graviano, a Messina Denaro Matteo costituiva il vertice di Cosa nostra iniziarono le prime attività di ricerca che sostanzialmente nel tempo, sia attraverso i filoni associativi e sia attraverso la ricerca diretta, sono proseguiti fino al 2005 con vari step operativi che sono quelli imposti dalle scadenze procedimentali».

Ed ancora: «Posso tranquillamente affermare che l’impegno sii cui abbiamo destinato, abbiamo speso le maggiori risorse sia umane che finanziarie sino al momento della sua cattura, perché come vice comandante e come comandante avendo anche delle responsabilità di carattere amministrativo più volte mi sono trovato in difficoltà nel reperire le risorse necessarie»).

Nuovi filoni di indagini

L’irruzione sulla scena di Cancemi sconvolse gli scenari investigativi, perché dalle sue rivelazioni trassero spunto diversi filoni investigativi curati dal Ros in accordo con varie procure Dda (Palermo, Caltanissetta e Catania) accomunati dall’essere inscritto in una medesima ancorché composita trama, tutta tessuta intorno alla centralità della figura di Bernardo Provenzano. In particolare, la prima sezione del primo Reparto Investigativo, al comando del Cap. Sergio De Caprio, sviluppò un’attività investigativa su Francesco Pastoia di Belmonte Mezzagno, che era stato indicato da Cancemi come l’autista che aveva accompagnato il Provenzano a varie riunioni con i capi di Cosa nostra (tra cui quella nel corso della quale Provenzano aveva ordinato di mettere mano al progetto di catturare o comunque eliminare lo stesso cap. Ultimo).

La sezione anticrimine di Palermo, al comando del Cap. Ierfone si occupò invece di un’indagine sui fratelli Marcianò e sui Buscemi, e più in generale sulla famiglia mafiosa di Boccadifalco passo di Rigano, sempre sul presupposto che i vari Buscemi, La Barbera e Marcianò fossero esponenti dello schieramento mafioso che faceva capo a Provenzano (il dichiarante parla testualmente di “schieramento provenzaniano”). Il primo filone investigativo registra una battuta d’arresto quando Pastoia viene arrestato per un’esecuzione pena. L’attenzione si sposta allora sul cognato, Vaglica Giuseppe, che era sospettato di averne preso il posto nell’agevolare la latitanza di e i contatti con Provenzano.

La sezione anticrimine di Ierfone torna a indagare nel contesto “provenzaniano” a seguito delle rivelazioni di Calogero Ganci sull’immobile di via Cannolicchio in Monreale (che gli era stato indicato dal padre Raffaele come di pertinenza del Provenzano: v. infra). Risultava essere stato locato all’ing. Udine Vincenzo, cugino di Lipari Giuseppe, dopo essere stato acquistato da Pipitone Antonino che l’aveva ceduto a Cannella Tommaso, uomo d’onore di Prizzi che a sua volta l‘aveva ceduto a Giuseppe Mirabile, socio in affari con Gariffo Carmelo e con il figlio del Lipari Arturo.

Ebbene, il Capitano Ierfone, al dibattimento di primo grado di questo processo, ha dovuto ammettere di avere appreso dell’esistenza di questo immobile solo a seguito delle rivelazioni di Calogero Ganci. Nessuno gli aveva segnalato che tre anni prima, Vito Ciancimino Io aveva indicato nel corso dei suoi contatti con gli Ufficiali del R.O.S. e ne avesse fatto menzione poi nel corso degli interrogatori resi su tali contatti o più esattamente, come ha tenuto a precisare l’avv. Milio, ne avesse fatto annotazione in uno dei suoi scritti, quello intitolato “Paradigma della collaborazione” che fu consegnato da Massimo Ciancimino alla procura di Palermo.

Va detto subito che la precisazione dell’avv. Milio è solo parzialmente corretta. È vero che il riferimento al civico “via Cannolicchio 14” non figura nei verbali d’interrogatorio di Vito Ciancimino. Ma quell’annotazione non figura soltanto nel documento a suo tempo consegnato da Massimo Ciancimino (e peraltro ritenuto genuino, all’esito del più scrupoloso vaglio di polizia scientifica).

Esso compare anche nella versione manoscritta di quel documento, e comunque in uno dei fogli manoscritti che vennero rinvenuti all’interno della cella e sequestrati il 3 giugno 1996; e quell’annotazione, per di più, figura inserita nel contesto dei vari punti che riproducono, in forma più schematica, il contenuto delle dichiarazioni consacrate nel verbale d’interrogatorio del 17 marzo 1993 (ore 09:30), nel quale però di quel civico non si fa cenno.

E’ incontestato poi che nel corso dell’interlocuzione sviluppata nella seconda fase della loro collaborazione, Ciancimino e il capitano De Donno parlarono dei luoghi in cui orientare la ricerca e delle vie da attenzionare.

Se poi in quel frangente, Ciancimino si sia auto-censurato, omettendo quel riferimento specifico che aveva perfettamente in mente e che si decise a mettere nero su bianco solo in un secondo tempo, e cioè quando decise di affrancarsi da ogni residuo vincolo di fedeltà personale, non si può escludere. Per quanto concerne la pertinenza di quell’immobile specificamente a Bernardo Provenzano, basti rammentare che in un primo momento esso era stato concesso in locazione ad Alfano Paolo, cognato di Bernardo Provenzano, come confermato dal capitano Ierfone.

E una conferma è venuta anche dalle dichiarazioni di Pino Lipari, altro soggetto particolarmente vicino al Provenzano il quale ha confermato (in uno degli interrogatori che hanno formato oggetto di contestazione in ausilio alla memoria appunto di avere personalmente incontrato il Provenzano negli ultimi tempi nella zona di Mezzojuso (fino al 2000), mentre per gli anni precedenti ha indicato in particolare un immobile sito in via Cannolicchio che era nella disponibilità di un certo Alfano, parente del Provenzano.

Gli input di Ciancimino

Sta di fatto che Ciancimino fornì - verosimilmente quando ritenne che la sua “missione” per conto di Cosa nostra dovesse considerarsi terminata e fosse il caso di pensare solo ai suoi guai personali - alcuni input che poi si rivelarono di particolare interesse per alcuni filoni d’indagine concernenti l’entourage di Provenzano.

E in particolare, fu Ciancimino a parlare per primo dell’immobile di via Cannolicchio, come probabile covo di uno dei capi di Cosa nostra. Ma solo nel 1996, e dopo che ne aveva parlato Calogero Ganci, il Ros fece, su delega della procura distrettuale di Caltanissetta, uno specifico accertamento da cui risultò appunto che quell’abitazione era stata data in locazione ad Alfano Paolo, cognato di Provenzano.

Il Ganci ne aveva parlato, nel corso di una delle tante ricognizioni, come di immobile che suo padre Raffaele gli aveva detto essere di pertinenza del Provenzano. Le informazioni furono trasmesse alla procura Distrettuale di Palermo che si occupò delle ulteriori indagini.

In pratica, come ha specificato il Capitano Ierfone al processo Mori/Obinu «accertiamo che l‘immobile dove sorgeva questa villa era condotto in locazione dall‘architetto, dall‘Ingegnere Udine Vincenzo, che era il cugino di Lipari Giuseppe, un personaggio noto come insomma associato all‘organizzazione mafiosa e vicino sia a Provenzano che a Riina Salvatore e scopriamo che era stato, che aveva avuto diciamo una vicissitudine di transazioni abbastanza singolari, nel senso che era stato venduto nel 1981 da alcuni fratelli, che avevano ereditato questo bene, e l’avevano venduto a Pipitone Antonino, anche lui noto mafioso palermitano, cognato di Cannella Tommaso, uomo d ‘onore della famiglia di Prizzi.

A sua volta Cannella Tommaso aveva acquistato parallelamente un altro immobile, specularmente che era sito a Borgo Molara, sempre dagli stessi venditori, e scoprimmo che di questo immobile era stato individuato dal collaboratore di giustizia La Barbera... Scusi, Di Maggio Baldassarre, come uno dei luoghi dove aveva trascorso negli anni ‘80 Riina Salvatore. Questo bene, quello di via Cannolicchio, da Pipitone Antonino arriva poi, sempre attraverso una transazione, a Mirabile Giuseppe che era una persona che troviamo inserito in un contesto societario che era stato oggetto di attività della sezione anticrimine di Palermo negli anni ‘80, (incomprensibile), Medisud, un articolato reticolo di società che lavoravano nel settore delle forniture mediche in cui era inserito anche il nipote, Gariffo Carmelo, di Bernardo Provenzano.

Nella circostanza, l'ingegnere Lipari era coinvolto al tempo nella progettazione di quello che oggi è l‘istituto Mediterraneo dei trapianti, all‘epoca si chiamava centro trapianti multiorgani, in associazione con uno studio americano, uno studio, Astorino di Pittsburgh e uno dei collaboratori che noi individuammo nell‘attività investigativa del Lipari in questa stia attività era proprio il figlio di Lipari Giuseppe, Lipari Arturo.

Quindi, partendo da Udine, l‘attività arrivò anche su Lipari Giuseppe che aveva una misura, adesso non so se è una misura di sicurezza o una misura di prevenzione, [...]. Dopo questa attività inizia l‘attività Grande Oriente, a seguito delle dichiarazioni di Ilardo Luigi, attività che si conclude nel novembre del 1998».

Ancora dubbi

Insomma, a partire dal dato relativo alla presunta pertinenza di quell’immobile a Provenzano si sviluppo un fecondo filone di indagine che porta a lumeggiare una serie di personaggi particolarmente vicini allo stesso Provenzano, e inseriti in importanti circuiti d’affari (come il progetto di realizzazione del centro Trapianti e le società specializzate in forniture mediche), quali il nipote Carmelo Gariffo, il geometra Pino Lipari, il cognato di Provenzano, Alfano Paolo, e l’imprenditore Giuseppe Mirabile.

Resta poi da capire per quale ragione non si ritenne di approfondire lo spunto informativo offerto da Ciancimino dal momento che gli stessi ufficiali del Ros che ne avevano raccolto le confidenze, lo avevano scelto come interlocutore e fonte confidenziale, nonché potenziale collaboratore di giustizia, proprio per la nota sua vicinanza ai capi corleonesi in senso stretto (Riina e Provenzano).

La verità è che, come già accennato, il Vito Ciancimino che nel gennaio del ‘94 si propone come consigliere degli inquirenti, e appare prodigo di input investigativi preziosi per individuare alcuni immobili che era convinto potessero ancora essere adibiti a rifugio sicuro per altri pericolosi latitanti, non è lo stesso Vito Ciancimino che nel tardo autunno, ed ancora a dicembre del ‘92, era disponibile e determinato a cooperare esclusivamente alla cattura di Salvatore Riina (a parte il misterioso “disegno politico”, come lui stesso lo etichetta in uno dei suoi manoscritti, che avrebbe concertato con i carabinieri per infiltrarsi nel sistema di gestione illecita degli appalti); e che per tutto il 1993, archiviata la pratica Riina, si limiterà nei suoi interrogatori a ciurlare nel manico, per dirla con il procuratore Caselli, tenendo per sé le intuizioni e gli input investigativi che tenterà di offrire agli inquirenti, con poco successo, solo a partire dal nuovo anno.

© Riproduzione riservata