Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Orbene, di testi come Claudio Martelli, Liliana Ferraro, Fernanda Contri e Luciano Violante che solo a distanza di molti anni dai fatti hanno contribuito a squarciare il velo sui retroscena della trattativa intrapresa dai carabinieri del Ros attraverso i contatti con Vito Ciancimino si è, talvolta ingenerosamente, stigmatizzato che abbiano ritrovato la memoria soltanto a seguito del clamore mediatico suscitato dalle rivelazioni di Massimo Ciancimino.

In realtà è plausibile che quel clamore sia valso a fare affiorare il ricordo di vicende tanto lontane nel tempo e delle quali essi erano stati testimoni e partecipi solo limitatamente a segmenti e spezzoni ed episodi assai circoscritti e privi, almeno quanto ad un loro personale coinvolgimento, di ulteriori sviluppi.

Sotto questo aspetto, deve però convenirsi che, con tutta la comprensione possibile per la difficoltà di ricordare fatti risalenti, la testimonianza della Ferraro, in particolare, non è scevra da dubbi e perplessità, sia per avere recuperato a rate la memoria degli avvenimenti su cui è stata più volte sentita, sia per le spiegazioni che ha offerto delle sue amnesie — e del ritardo con cui di quegli avvenimenti ha poi riferito all’A.g. — e la lettura a dir poco riduttiva che ha dato dei ripetuti approcci dei carabinieri in ordine ai contatti intrapresi con Vito Ciancimino e la sua asserita collaborazione.

[…] Ma a prescindere dalla posizione della Ferraro, valgono per lei come per gli altri testi che hanno riferito solo a distanza di anni quanto a loro conoscenza su una vicenda che peraltro aveva già avuto un certo risalto anche mediatico molto tempo prima che sulla scena irrompesse Massimo Ciancimino con le sue “rivelazioni” (si fa riferimento al processo celebrato dinanzi alla Corte d’Assise di Firenze per le stragi in continente, dove per la prima volta, in pubblico dibattimento, nel corso dì una serie di udienze tenutesi nel mese di gennaio 1998, prima Brusca riferisce della vicenda del “papello” e della trattativa intrapresa da Riina attraverso suoi intermediari con uomini dello Stato; e poi Mori e De Donno parlano dei contatti intrapresi con Vito Ciancimino e del modo in cui lo avevano spinto a collaborare, inizialmente sollecitandolo ad adoperarsi per aprire un fronte di dialogo con i vertici mafiosi per far cessare le stragi) le considerazioni che seguono.

Un grave “ritardo”

È vero che tutti i testi predetti, chi più chi meno hanno, con accenti diversi, negato di avere mai avuto contezza, o anche di avere anche solo ipotizzato che l’iniziativa dei carabinieri del Ros di intraprendere contatti con Vito Ciancimino potesse essere qualcosa di più o avesse natura diversa da un’operazione di polizia anche spregiudicata inquadrabile nell’ambito delle indagini mirate a individuare gli autori delle stragi o ad acquisire elementi utili alla cattura di pericolosi latitanti.

È pure vero, però che tutti scontano, chi più chi meno, la difficoltà e persino un certo imbarazzo nel dover giustificare come mai soltanto a distanza di anni — e quasi tutti solo perché chiamati in causa da altrui propalazioni o sollecitati da clamori mediatici — si siano decisi a riferire all’A.g. quanto a loro conoscenza di avvenimenti appresi in relazione agli incarichi istituzionali che ricoprivano all’epoca.

Ed è comprensibile che questa difficoltà e questo imbarazzo possano averli indotti a minimizzare natura e portata di quei fatti, e segnatamente gli aspetti più oscuri o le evidenti irritualità ed anomalie delle iniziative intraprese dai carabinieri del Ros con l’operazione Ciancimino, fino a banalizzare, nel caso della Ferraro, le ragioni che avrebbero indotto il capitano De Donno a farle visita, o le finalità sottese alla richiesta di informarne il ministro della Giustizia per riceverne sostegno alla loro iniziativa.

Ma non v’è dubbio che tutti ebbero invece a cogliere degli aspetti di irritualità e delle anomalie più o meno preoccupanti in quelle iniziative. E soprattutto colsero il contrasto tra le dichiarate finalità infoivestigative di quell’operazione e la sollecitazione rivolta ai vertici istituzionali dell’epoca di una condivisione o di un sostegno alla loro iniziativa o comunque l’esigenza di metterne a parte le massime autorità politiche e di governo, a fronte della scelta di non metterne al corrente l’A.g. E non è vero che non colsero l’importanza e la delicatezza di quell’iniziativa.

Le dichiarazioni di Martelli

[…] Martelli a sua volta ha dichiarato di essersi subito lamentato dell’iniziativa dei carabinieri, dopo che la Ferraro lo aveva informato del colloquio con il capitano De Donno per quella che riteneva un’inammissibile interferenza dei carabinieri in attività di esclusiva competenza della neo istituita Dia e di averne parlato con i vertici degli apparati di polizia dell’epoca (certamente il capo della Polizia Parisi, e il ministro dell’interno in carica, anche se inizialmente non ricordava se ne avesse parlato con Scotti o con Mancino, che però negano; così come nega di essere stato informato da Martelli l’allora capo della Dia, il generale Tavormina che sul punto è stato categorico ed è apparso tanto fermo e deciso quanto, una volta tanto, coerente e sincero: v. supra).

E quando la Ferraro lo informò che Mori aveva sondato preso di lei la possibilità di fare avere il passaporto a Ciancimino, si adirò ancora più della prima volta. […] Vero è che Martelli ha sempre sostenuto che la sua avversione all’iniziativa del Ros fosse legata unicamente a quella che lui riteneva essere un’inammissibile prevaricazione dei doveri d’ufficio dei carabinieri a danno del nuovo organismo investigativo cui spettava la direzione e il coordinamento di tutte le attività investigative in materia di criminalità organizzata; ma a parte il travisamento dell’assetto normativo che lui stesso e il suo staff avevano contribuito a varare, su input di Falcone, dal momento che il Ros era uno dei Servizi di polizia centrale legittimati a compiere investigazioni in materia di criminalità organizzata — ed è singolare che nessuno del suo entourage, a cominciare dalla stessa Ferraro non avessero segnalato al ministro l’errore in cui era incorso, potendosi al più contestare il fatto che non ne fosse stata informata la Dia, in violazione dell’art. 4 della legge istitutiva — il fatto stesso che il ministro della Giustizia si fosse tanto irritato e avesse ritenuto di doversene dolere, informandoli, i vertici degli apparati di sicurezza, attesta come lui stesso non la ritenesse un’operazione di poco conto. Anche se il senatore Mancino stigmatizza proprio il fatto che, per ammissione dello stesso Martelli, dopo che lo avrebbe informato in occasione della visita di cortesia che lo stesso Mancino fece in via Arenula in data 4 luglio 1992. Martelli, per sua stessa ammissione non tornò più sull’argomento: segno che non riteneva la questione meritevole di particolare attenzione.

Ciancimino chiede di essere sentito da Violante

L’on. Violante, a sua volta, si irrigidì di fronte alla richiesta di Ciancimino, veicolatagli da Mori, di un colloquio riservato, invitandolo semmai ad avanzare formale richiesta di essere sentito dalla Commissione Antimafia. E contestò subito al Col. Mori l’anomalia della sua iniziativa — di un’operazione di collaborazione investigativa, destinata ovviamente a restare segreta, della quale Mori lo aveva edotto mentre non ne aveva riferito all’A.g. competente, né intendeva farlo — e la spiegazione in sé contraddittoria dello stesso Mori non l’ha mai convinto: se non aveva l’obbligo di riferirne all’A.g. essendo Ciancimino ancora solo una fonte confidenziale, tanto meno avrebbe dovuto riferirne ad un esponente politico, sollecitando un colloquio riservato.

E se l’obbiettivo era solo quello di potere il Ciancimino esporre le sue verità su vicende di interesse e carattere squisitamente politico, non v’era ragione di farlo in una sede che non fosse l’audizione dinanzi alla Commissione Antimafia.

[...] È certo che Vito Ciancimino chiese di avere un colloquio riservato con l’on. Violante, veicolando tale richiesta allo stesso Presidente della Commissione Antimafia attraverso il Col. Mori che, a sua volta in via riservata, lo incontrò più volte per parlargli di Ciancimino. L’imputato Mori ha sempre negato (nelle sue spontanee dichiarazioni) di essersi fatto latore di una richiesta di Vito Ciancimino di avere un colloquio a quattro occhi con il Presidente della Commissione Antimafia. La sua versione è che la richiesta, che in effetti lui stesso rivolse all’on. Violante era solo di essere ascoltato in Commissione Antimafia.

Si tornerà in pRosieguo sul contrasto tra le due versioni, e sulle ragioni per cui deve ritenersi fondata e provata anche sulla scorta di risultanze documentali la ricostruzione offerta dall’on. Violante in ordine alla serie di contatti che ebbe con il Col. Mori sul tema Ciancimino, a partire da un primo incontro che egli colloca poco dopo la sua elezione a Presidente della Commissione Antimafia. Basti qui anticipare che non v’è motivo di dubitare della sincerità dell’ex Presidente della Camera, anche in considerazione degli argomenti addotti a supporto della certezza del suo ricordo sul punto [...].

Sulle vere ragioni per le quali Vito Ciancimino tenesse ad avere un colloquio riservato con l’on. Violante si possono ovviamente formulare congetture diverse. Erano note le entrature del Presidente Violante e il credito di cui godeva negli ambienti giudiziari, unito ad un già consolidato prestigio politico, quale autorevole rappresentante della maggiore forza di opposizione presente in parlamento.

È quindi possibile e del tutto plausibile che Vito Ciancimino volesse sondarne la disponibilità a spendersi a favore del suo caso personale (e giudiziario), in vista dell’obbiettivo che più gli premeva, che era quello di vedere riconosciuta la sua innocenza rispetto all’accusa di fare pane di Cosa nostra, sovvertendo il pronostico di un esito sfavorevole del giudizio d’appello ancora pendente nell’ambito del procedimento in cui era stato già condannato per il reato di associazione mafiosa. E tutto ciò in cambio di una profferta di disponibilità dello stesso Ciancimino a collaborare per una soluzione “politica” della situazione di allarme per l’escalation della violenza mafiosa, o comunque ad offrire i suoi servigi e le sue conoscenze e relazioni per venire a capo del problema.

Ma una linea di doveRosa prudenza nel valutare i fatti osservando la massima aderenza a ciò che è stato realmente accertato suggerisce una diversa conclusione.

È certo infatti che Ciancimino non insistette più di tanto nella sua richiesta di colloquio riservato (anche se l’on. Violante ha dichiarato che tale richiesta gli fu rinnovata anche in occasione di un secondo incontro con Mori [...]), o comunque si rassegno e si adeguò all’indicazione del presidente Violante che lo aveva invitato, sempre per il tramite di Mori, a presentare direttamente alla commissione Antimafia formale richiesta di audizione, ove tenesse ad essere sentito (senza che, peraltro, lo stesso Violante assumesse alcun impegno al riguardo).

Non si può quindi escludere che l’obbiettivo immediato di Vito Ciancimino fosse proprio quello di essere finalmente ascoltato dalla Commissione Antimafia, per potere dispensare le sue “verità (sui grandi delitti politici, sulla presunta e a lui ritenuta certa matrice politica delle stragi, su Tangentopoli e quant’altro), e rilanciare da una pubblica e prestigiosa tribuna la sua credibilità politica e personale, non disgiunta dalla velata minaccia di essere depositano di indicibili segreti sulle collusioni politico-mafiose affaristiche.

Le esigenze di Don Vito

E in tale prospettiva, la sua esigenza di un colloquio riservato con Violante, nella qualità da questi rivestita di Presidente della Commissione Antimafia, scaturiva da una serie di precedenti decisamente negativi, poiché per almeno quattro volte le Commissioni Antimafia precedenti a quella presieduta dall’on. Violante avevano rigettate le sue richieste di audizione (talvolta adducendo a pretesto, secondo le doglianze reiterate dallo stesso Ciancimino in alcuni suoi scritti, l’irricevibile condizione posta, in una delle istanze presentate in passato, di una diretta televisiva o comunque di una pubblicità della sua audizione: condizioni alle quali adesso era pronto a rinunciare).

Egli avrebbe quindi voluto strappare al Presidente Violante — e poteva farlo solo in un colloquio a quattrocchi — la promessa o l’assicurazione che questa volta la sua richiesta di essere sentito dalla Commissione Antimafia sarebbe stata accolta.

Detto questo, non si può formulare una previsione postuma su cosa sarebbe potuto germinare da un colloquio riservato se il Presidente Violante avesse accolto quella richiesta che invece respinse con fermezza. Ed è anche probabile che Vito Ciancimino non si sarebbe fatta scappare l’opportunità di perorare anche la causa delle sue vicissitudini giudiziarie. Ma da qui ad ipotizzare che essa abbia costituito anche un tentativo ordito con la complicità di Mori di tessere un lembo della trama occulta di una potenziale trattativa tra lo stato e Cosa nostra ovviamente ne passa.

Quel che è certo è che Mori si adoperò per assecondare le richieste di Ciancimino. E lo fece incontrando più volte il Presidente Violante, anche in epoca pRossima ma successiva al 21 ottobre, ovvero in un frangente in cui la trattativa tra il Ros e Ciancimino si era bruscamente interrotta, stando alla narrazione dei due ufficiali, per avere essi opposto alla domanda su cosa avessero da offrire una richiesta semplicemente irricevibile (come quella che i boss latitanti si consegnassero). E, in teoria, in quei giorni i contatti tra loro erano sospesi: sarebbero ripresi solo dopo che Ciancimino maturò la decisione di “passare il Rubicone” e richiamò (non Mori, ma) il Capitano De Donno.

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