Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci dell’ordinanza del 18 marzo 1995, “Azzi+25” di Guido Salvini, il giudice che a Milano provò, a più di vent’anni di distanza dai fatti avvenuti, a far condannare responsabili e complici di una stagione di sangue


Nel paragrafo B) del documento Azzi, si legge che egli sarebbe stato invitato dal "Colonnello" (uno dei militari con cui il gruppo era in contatto) ad accettare un trasferimento a Casale Monferrato, (la caserma da cui provenivano anche i detonatori), al fine di entrare in contatto in quella zona con elementi proletari che potessero servire a conoscere esattamente certe "locazioni" vicine a Feltrinelli. Nelle righe successive del paragrafo B) e al paragrafo C) si parla poi della "cassetta", indicata fra virgolette e sottolineata nel documento certamente per l'importanza dell'argomento.

Tale "cassetta" sarebbe stata preparata dal "Colonnello" a La Spezia con materiale da lui fornito e la

decisione di farla ritrovare era stata comunicata ad Azzi da Giancarlo Rognoni il quale lo aveva poi inviato dal "Colonnello".

In un primo momento il gruppo pensava di far ritrovare, insieme alla famosa "cassetta", i tagliandi delle borse collegate alla strage di piazza Fontana, ma poi il progetto era stato accantonato poichè sarebbe stato esagerato.

I "tagliandi" sarebbero stati consegnati a Rognoni e sarebbero attualmente nelle mani di Ferri : così si legge nel paragrafo C) del documento. Si tratta della cassetta trovata sull'appennino ligure subito dopo l'attentato fallito di Azzi (paragrafo B). Questi sono i dati riportati nel documento relativamente ai due episodi ed è opportuno subito segnalare che le due vicende - il progetto relativo ad una "locazione" di Feltrinelli e quello di far rinvenire i "tagliandi" insieme alla "cassetta" - sono di estrema importanza in quanto entrambe riguardano la disponibilità dei timers da parte del gruppo milanese in un momento successivo alla strage di piazza Fontana ed entrambe si ricollegano quindi a circostanze che erano già emerse nel corso dei dibattimenti a carico di FREDA, VENTURA, FACHINI e DELLE CHIAIE, ma che purtroppo erano state sottovalutate o non credute e che trovano invece in questo documento, risalente al 1974, e nei riscontri operati da quest'Ufficio, una sorprendente anche se forse tardiva conferma.

Con le vicende concernenti la progettata provocazione in danno di Feltrinelli e la disponibilità dei timers dopo la strage, da parte di uomini legati alla cellula veneta, si entra effettivamente nel cuore degli elementi decisivi che erano stati posti a carico del gruppo veneto e che purtroppo, per mancanza in passato di altri riscontri, non erano stati correttamente valorizzati.

Esaminiamo separatamente le due questioni che sono comunque collegate sul piano logico e temporale. Sin dai primi interrogatori, resi dopo la loro scelta di collaborazione, IZZO e CALORE (vedi rispettivamente int. al PM di Firenze, 18.1.1984, vol. 10, fasc. 2, f. 21 e al PM di Milano, 3.2.1987, vol. 10. fasc. 1, f.4) avevano parlato del progetto del gruppo La Fenice, d'intesa con Massimiliano Fachini all'epoca ancora libero, di collocare parte dei timers usati il 12.12.1969 in una villa di proprietà di Giangiacomo Feltrinelli al fine di farli ritrovare dai Carabinieri e di riportare quindi le indagini e orientare nuovamente l'opinione pubblica sulla "pista rossa" per la strage di Piazza Fontana.

Sergio Calore aveva appreso di questo progetto - che era poi stato abbandonato per circostanze imprecisate - direttamente da Nico Azzi, mentre Angelo Izzo ne aveva avuto notizia, sempre in carcere, da Edgardo Bonazzi il quale lo aveva appreso anch'egli da Nico Azzi.

Tale episodio - confermato anche nel corso della presente istruttoria (cfr. int. Izzo, 22.1.1991, f.2 e Calore, int. 15.2.1991 f.2) - costituisce la prova decisiva del fatto che il gruppo veneto di O.N. disponesse dei timers ancora dopo gli attentati e costituisce quindi la prova della falsità della tesi difensiva di Franco Freda secondo cui egli li aveva sì acquistati prima della strage, ma solo per consegnarli ad un fantomatico cap. HAMID dei Servizi Segreti algerini.

Il pur sintetico accenno contenuto nel paragrafo B) del documento si riferisce certamente a tale progetto. Infatti con l'espressione "locazioni" (dovuta all'italiano piuttosto difficoltoso con cui si esprime il redattore del documento che aveva dovuto rapidamente appuntare quanto gli veniva confidato, senza essere prima bene a conoscenza di tali argomenti), ci si riferisce certamente ad una proprietà, un terreno o una villa di cui disponeva all'epoca la famiglia di Giangiacomo Feltrinelli a Casale Monferrato.

Con il trasferimento in tale località Nico Azzi avrebbe potuto, con una certa facilità, sfruttando rapporti amichevoli che egli poteva allacciare anche con ambienti di sinistra in una zona ove non era conosciuto, entrare in possesso di notizie che potevano rendere più agevole l'esecuzione del progetto. L'indicazione Casale Monferrato contenuta nel documento è del tutto pertinente. Infatti, come risulta dal rapporto della Digos di Milano in data 25.7.1994 la famiglia di Giangiacomo Feltrinelli (morto nel marzo del 1972 a Segrate) era proprietaria all'epoca a Villadeati nel Monferrato, in provincia di Alessandria, di un castello con annessi vasti terreni e probabilmente disponeva di un'altra costruzione simile a Odalengo Grande, sempre nel Monferrato (vedi vol. 8, fasc. 1, f.360/2). Ma vi è di pi.

Edgardo BONAZZI, iscritto al M.S.I. di Parma nonché condannato per l'omicidio avvenuto nel 1972 del giovane di sinistra Mariano Lupo e a lungo detenuto con Nico Azzi e molti altri elementi di destra, aveva assunto, nel corso delle istruttorie precedenti, un atteggiamento di chiusura totale, rifiutandosi di confermare le numerose notizie di cui, secondo Calore ed Izzo, egli era in possesso.

Nel corso della presente istruttoria, egli si è infine risolto a rivelare molte delle circostanze che aveva appreso in carcere, essendosi reso conto delle strumentalizzazioni e degli inquinamenti cui gli esponenti di O.N. si erano prestati e del conseguente venir meno nei loro confronti, proprio per questa ragione, dei doveri di solidarietà militante ed ideologica. […].

In sostanza Nico Azzi, che pur aveva chiamato in correità solo Rognoni non rivelando dopo l'arresto le altre responsabilità a livello più alto, proprio ricordando ai camerati le notevoli capacità operative e strategiche di cui aveva dato prova in passato egli stesso ed il suo gruppo, intendeva in tal modo essere nuovamente accettato senza diffidenze nell'ambiente dei detenuti della destra eversiva.

L'indicazione contenuta nel documento circa il progetto in danno di Giangiacomo Feltrinelli, espressa in tempi non sospetti e di molto precedenti la collaborazione di Calore ed Izzo, e la conferma acquisita tramite la testimonianza di Edgardo Bonazzi, sono quindi la prova conclusiva della verità di quanto avevano ribadito anche in aula i due pentiti e cioè il fatto che il gruppo veneto di O.N. disponesse, dei timers, dopo la strage, timers consegnati poi in parte ai milanesi per attuare il loro progetto a Casale Monferrato.

Tale prova, sul piano logico/indiziario sarebbe stata certamente idonea, se Izzo e Calore fossero stati

giustamente valorizzati dalla Corte, a pervenire unitamente agli altri elementi di accusa all'affermazione della responsabilità del gruppo veneto e di A.N. per l'operazione del 12 dicembre quantomeno nell'ultimo dibattimento che vedeva quali imputati Fachini e Delle Chiaie ed aveva visto in aula le testimonianze di Izzo e Calore purtroppo ed inspiegabilmente non creduti.

Passiamo ad esaminare e ricostruire il secondo episodio, strettamente connesso al primo.

Il fallito tentativo in danno di Feltrinelli che doveva essere effettuato nel Monferrato è probabilmente collocabile dopo la morte dell'editore e quindi nella seconda metà del 1972,in quanto dopo la morte violenta di Feltrinelli sul traliccio di Segrate, il rinvenimento dei timers in una sua proprietà avrebbe avuto la massima risonanza e sarebbe stato più credibile.

Venuto meno questo progetto il gruppo milanese aveva ideato un secondo tentativo di depistaggio.

Gli stessi timers sarebbero stati collocati insieme ad una cassetta contenente esplosivo in una località dell'Appennino Ligure e tale materiale sarebbe stato fatto ritrovare subito dopo l'attentato del 7.4.1973. Poiché tale attentato, tramite le telefonate di rivendicazione, sarebbe stato attribuito ai gruppi più incontrollati dell'estrema sinistra (in particolare l'area vicina al gruppo XXII ottobre ed ai G.A.P. di Genova, già legati a Feltrinelli), tale rinvenimento avrebbe moltiplicato la sensazione di un piano terroristico globale dell'estrema sinistra ed avrebbe ottenuto proprio l'effetto voluto dai militanti de La Fenice. Il progetto era stato poi abbandonato perché ritenuto troppo rischioso (cfr. paragrafo C) del documento).

La "cassetta", pur senza i timers, era stata comunque ritrovata sull'Appennino Ligure (cfr. paragrafo B) del documento). Si osservi che nel paragrafo C) del documento, con un termine impreciso, si parla dei "tagliandi" di Piazza Fontana. Si tratta appunto di una imprecisione poiché con il termine tagliandi o tagliandini che compare nella verbalizzazione anche di alcuni atti istruttori non recenti (cfr. int. Izzo al P.M. di Firenze, 6.1.1984, f.2, vol. 10, fasc. 2; int. Sergio Latini sempre al P.M. di Firenze, 3.1.1984, f.5, vol.8, fasc.1, f.117) si intende fare sicuramente riferimento al quadrante o mascherina segnatempo applicata sui timers utilizzati il 12.12.1969.

Tale quadrante si era staccato dal timer che si trovava insieme all'esplosivo nella borsa che conteneva l'ordigno deposto alla BNL di Milano, ordigno che non era esploso.

Rimasto sul fondo della borsa al momento del primo convulso intervento, il quadrante era così sfuggito all'improvvida distruzione di tutto l'ordigno che era stato fatto brillare dagli artificieri della Questura di Milano cancellando così una importante prova materiale.

Grazie al quadrante era stato possibile tuttavia risalire alla ditta di Bologna che commercializzava tali timers muniti di quadrante e provare che l'acquisto era stato effettuato alcuni mesi prima da Franco Freda. Anche in relazione alla "cassetta" i riscontri effettuati sull'episodio riferito nel documento hanno avuto esito eccezionalmente positivo.

Infatti Edgardo Bonazzi nella testimonianza che poc'anzi si è riportata (cfr. f. 3) ha confermato che Nico Azzi gli aveva accennato ad una "cassetta" con esplosivo che doveva essere fatta ritrovare dopo l'attentato al treno per contribuirne a far ricadere la responsabilità sui gruppi di estrema sinistra. Ma non è stato solo acquisito un riscontro testimoniale.

Infatti è stato possibile accertare che la famosa "cassetta" era stata effettivamente ed ugualmente ritrovata sull'Appennino Ligure nell'aprile del 1973 e nonostante fossero trascorsi pochi giorni dall'attentato di Nico Azzi, avvenuto in una zona non distante, la proprietà dell'esplosivo era stata attribuita dalla Polizia ai gruppi già vicini a Feltrinelli!

La "cassetta" era stata infatti rinvenuta in data 21 aprile 1973 in un casolare abbandonato in località Riolo di Mezzo, sull'Appenino Ligure nell'entroterra genovese (vedi nota Digos Milano in data 29.3.1991 ed allegati, vol. 8, fasc.1, ff. 2 e seguenti).

In realtà la cassetta ed il suo contenuto erano stati scoperti alcuni giorni prima.

Un giovane di Venezia, Roberto Vergombello si trovava nell'aprile del 1973 ospite per una breve vacanza di un amico di Genova, Ettore Tagliavini. Insieme a questi aveva fatto una gita in motocicletta visitando alcuni villaggi abbandonati dell'entroterra Ligure raggiungibili solo per strade sterrate. In un casolare abbandonato i due avevano notato la cassetta di legno contenente i candelotti di dinamite che il Vergombello aveva subito riconosciuto come tali e maneggiato con attenzione avendo da poco terminato il servizo militare presso il Battaglione "Lagunari" di Venezia.

Al momento tuttavia i due amici non avevano pensato di denunziare quanto scoperto alla polizia.

Alcuni giorni dopo il rientro a Venezia, Vergombello aveva letto sui giornali dell'uccisione dell'Agente Marino a Milano ed aveva mentalmente associato i due fatti (raramente una intuizione si è dimostrata in seguito così pertinente) ed aveva deciso di informare la polizia di quanto scoperto recandosi presso la Questura di Venezia (cfr. verbale s.i.t. Vergombello, in questa istruttoria, 21.3.1994 vol. 8, fasc.1, f.85/7). La Questura di Venezia che all'epoca aveva raccolto la segnalazione di Vergombello pur senza redigere uno specifico verbale, aveva avvisato la Questura di Genova, e personale dell'Ufficio Politico di tale Questura aveva rinvenuto nel pomeriggio del 21 aprile, il materiale nel casolare.

Si noti che la data della scoperta della "cassetta" corrisponde esattamente ai giorni immediatamente

successivi al 7 aprile 1973, giorno del fallito attentato di Nico Azzi avvenuto a non molti chilometri di distanza. Infatti Vergombello ha ricordato che l'escursione sull'Appennino Ligure, era avvenuta pochi giorni prima del momento in cui era apparsa sul giornale la notizia dell'uccisione dell'Agente Marino a Milano durante gli scontri del 12 aprile 1973.

Quindi, intorno al 7 aprile 1973 la cassetta era stata già depositata nel casolare .

Come emerge dal verbale di sequestro, dai rilievi fotografici dell'epoca (vol. 8, fasc. 1, ff. 75 e seguenti) e dalla perizia disposta allora dal P.M. di Genova la cassetta di legno (che portava impresso il marchio di una fabbrica di esplosivi) conteneva 228 candelotti di dinamite e accanto ad essa vi erano ben 456 detonatori ed una notevole quantità di miccia a lenta combustione e di miccia detonante.

Ma, come già accennato, ciò che più interessa per la presente istruttoria, sono le valutazioni contenute nel rapporto in data 23.4.1973 della Questura di Genova.

Infatti in tale rapporto, immediatamente successivo al ritrovamento del materiale, si rileva, certamente in buona fede che la zona intorno a Riolo di Mezzo e cioè il tratto di Appennino fra Bargagli e Torriglia era sempre stato indicato come luogo di nascondiglio di materiale esplodente ed erano stati fatti numerosi sopralluoghi soprattutto durante le indagini, seguite alla morte di Feltrinelli, sui componenti della banda Gap di Genova già legata all'editore. (vedi nota Digos Milano 23.4.1991, vol.8 fasc.1 f.34).

Effettivamente la zona di Riolo di Mezzo era una fra quelle segnate con una crocetta nella cartina topografica rinvenuta nel furgone abbandonato nei pressi del traliccio di Segrate in occasione della morte di Giangiacomo Feltrinelli e tale zona era stata quindi oggetto delle attenzioni della Procura di Milano che aveva sollecitato perlustrazioni e controlli (cfr. nota citata, Digos Milano).

La Questura di Genova era quindi giunta alla conclusione che il materiale rinvenuto appartenesse a gruppi come i Gap o la banda XXII ottobre e cioè all'estrema sinistra. Si noti che tale cartina rinvenuta a Segrate era stata ampiamente pubblicizzata sulla stampa e quindi non era stato difficile collocare la cassetta nel punto giusto.

La Procura di Milano, che stava indagando sulla morte di Giangiacomo Feltrinelli, aveva addirittura richiesto ai colleghi di Genova, copia degli atti e, pur non essendo poi emersa alcuna analogia fra l'esplosivo di Riolo di Mezzo e l'esplosivo rinvenuto nel corso delle indagini relative al gruppo Feltrinelli (vol. 8, fasc. 1, f. 69), non solo la Questura di Genova ma anche i giornali avevano collegato quanto rinvenuto nel casolare sull'Appennino alle attività dei gruppi dell'estrema sinistra.

In sostanza la provocazione ideata dal gruppo La Fenice in danno di Giangiacomo Feltrinelli e dei gruppi di estrema sinistra, rivelata dal documento Azzi e confermata dalle confidenze di Azzi a Bonazzi, per un evento casuale era autonomamente e parzialmente riuscita, anche se l'arresto in flagranza di Nico Azzi (che aveva reso impossibile il collegamento fra l'attentato al treno e la "cassetta") e gli esiti disastrosi e controproducenti per la destra della manifestazione di Milano del 12 aprile, ne avevano grandemente ridimensionata la potenzialità offensiva e non era stato possibile dare all'opinione pubblica l'immagine di un piano terroristico globale ordito dall'estrema sinistra.

Infine, non è stato possibile identificare, per la scarsità dei dati disponibili, il "Colonnello" di La Spezia che sarebbe stato in contatto con Giancarlo Rognoni ed avrebbe fornito il materiale esplosivo necessario per l'approntamento della "cassetta".

Tuttavia dagli atti istruttori del G.I. di Padova dr. Tamburino ed anche dalla testimonianza resa nel corso della presente istruttoria da Roberto CAVALLARO emerge che La Spezia era uno dei punti di forza della congiura della Rosa dei Venti in quanto molti militari di stanza in tale città avevano aderito al progetto di golpe e proprio per tale ragione l'avv. De Marchi, responsabile del gruppo genovese, sovente si recava a La Spezia per incontri con i militari relativi alla messa a punto del progetto (cfr. dep. Cavallaro, 30.10.1991, f.2).

È quindi del tutto plausibile che l'esplosivo ed il restante materiale necessario per confezionare la "cassetta" siano stati forniti a Rognoni e ad Azzi da un Ufficiale aderente al progetto della Rosa dei Venti ed in servizio a La Spezia.

Si noti, tornando per un momento all'argomento dei timers, che le indicazioni, sempre convergenti, relative a tali congegni, percorrono tutte le fasi processuali di piazza Fontana, anche con riferimento ad avvenimenti successivi al 1973, quasi a dimostrare la loro centralità nella vicenda della strage e degli altri attentati contemporanei di cui costituiscono la prima e più importante prova materiale.

La disponibilità dei timers equivale infatti alla prova della responsabilità per i cinque attentati in cui sono stati usati o quantomeno alla prova della vicinanza a coloro che li avevano eseguiti.

[…] Le testimonianze di Calore, Izzo, Francia, Pozzan e i nuovi elementi costituiti dal documento Azzi e dalla testimonianza di Edgardo Bonazzi si saldano quindi nella ricostruzione della detenzione e del percorso dei timers che potevano essere usati per una provocazione nei confronti dell'estrema sinistra ma che nello stesso tempo costituivano un'arma di pressione e di ricatto nei confronti di Freda da parte di chi di tali congegni avesse o potesse avere la disponibilità.

Concludendo, l'acquisto, l'utilizzo ed il percorso dei timers dimostrano ancora una volta di essere , anche alla luce dei nuovi sviluppi connessi al progetto di provocazione in danno di Feltrinelli ed alla questione della "cassetta", la chiave di volta della vicenda processuale di Piazza Fontana.

I nuovi elementi acquisiti consentono di ritenere ormai certe le seguenti circostanze:

- La detenzione dei timers, dopo la strage e quindi la falsità dell'"alibi" di Franco Freda costruito tramite la figura inventata del col. Hamid.

- L'internità del gruppo La Fenice, cui erano stati consegnati i timers o parte di essi, alla strategia stragista quantomeno in una fase successiva agli attentati del 12 dicembre .

- L'esistenza di più progetti di depistaggio volti a far ritornare l'attenzione, proprio tramite il ritrovamento dei timers in circostanze di luogo riconducibili all'estrema sinistra, su una falsa pista "rossa" o "anarchica" per la strage di piazza Fontana.

Tali progetti di depistaggio sono collocabili fra la fine del 1972 e la primavera del 1973, e cioè nei mesi precedenti e poi in concomitanza con l'attentato al treno del 7 aprile 1973.

Non si dimentichi che in quel momento la situazione processuale degli imputati della cellula veneta

attraversava una fase cruciale perché il parziale cedimento di Ventura e le sue semi-confessioni, iniziate proprio nel marzo 1973 (fra l'altro Guido Lorenzon e Tullio Fabris avevano già testimoniato di aver visto un timer nelle mani di Giovanni Ventura) rischiavano di provocare il tracollo dell'intera linea difensiva e di portare gli inquirenti, con un effetto a domino, sino al disvelamento delle più alte responsabilità e coperture. […].

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