Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 presieduta da Tina Anselmi


Abbiamo elencato i punti di contatto che si possono fissare, sulla scorta dei nostri atti, tra Licio Gelli, la Loggia P2 e gli ambienti della destra eversiva: quelle fasce al margine, o meglio al di fuori del sistema politico legale, raggruppate sotto una variegata quantità di formule, la cui azione caratterizza la prima metà degli anni settanta, con iniziative di portata traumatica in ordine alle quali dobbiamo purtroppo constatare come ben poche siano le certezze acquisite.

I processi che su questi eventi si sono celebrati, o non sono ancora conclusi, pure a distanza di tempo, o hanno portato a sentenze che non consentono di arricchire sostanzialmente il quadro conoscitivo di dati certi dai quali muovere. Il nostro compito è quindi quello di portare al dibattito su questi fenomeni il contributo delle nostre conoscenze specifiche, cercando il possibile collegamento con quanto risulta noto, al fine di verificare la validità delle nostre tesi.

La prima constatazione riguarda la coincidenza riscontrabile tra il periodo politico così contraddistinto e la prima fase politica e organizzativa della Loggia P2. Risalta alla nostra attenzione, con evidente parallelismo, che il tono dei discorsi che si tengono nella loggia è in armonia, per quanto ci viene dai documenti, con questo contesto politico esterno di propositi ed azioni. Ancor più rilevante, ai nostri fini, è poi constatare, che quando nella seconda metà degli anni settanta il pericolo dell'eversione nera si avvia a scemare d'intensità, muta in parallelo il livello organizzativo e la composizione personale della loggia, considerata sotto il profilo qualitativo delle adesioni.

La loggia in doppio petto degli Ortolani e dei Calvi, caratteristica della seconda fase, ben si accompagna da un lato con la sostanziale attenuazione del pericolo nero e dall'altro con la fase politica che interviene in Italia dopo il 1976, Secondo la ricostruzione che proporremo nel capitolo seguente.

Riportandoci all'analisi della storia organizzativa della Loggia P2 ci è dato riscontrare che quelle che abbiamo delineato come due fasi organizzative di spiccata caratterizzazione, coincidono sostanzialmente con due periodi della vita nazionale da un punto di vista politico sufficientemente individuati ed il cui discrimine si pone a cavallo della metà degli anni settanta: nel 1974 viene raggiunto infatti l'apice della strategia della tensione, nel 1976 si registra il risultato elettorale che inaugura le stagioni politiche della solidarietà nazionale.

Ponendo mente a queste coordinate di riferimento dobbiamo allora sottolineare che il 1974 è un anno fondamentale non solo nella vita del Paese ma anche nella vicenda organizzativa della Loggia Propaganda, poiché è questo l'anno che si chiude con il voto della Gran Loggia di Napoli, nella quale viene sancita la demolizione della Loggia P2.

Il punto che in proposito deve sollecitare l'attenzione dell'interprete è che tale deliberazione non segue ad alcuna particolare attività nota all'interno della famiglia massonica; al contrario la relazione annuale del Grande Oratore (Ermenegildo Benedetti, appartenente al gruppo dei cosiddetti « massoni democratici ») svolta nel 1973, nel corso della quale erano state pesantemente denunciate le deviazioni politiche della Loggia P2, era praticamente caduta nel vuoto non provocando alcuna reazione nella comunione giustinianea. Non è dunque ad essa che dobbiamo riportarci per trovare la causa scatenante delle decisioni assunte nella Gran Loggia di Napoli che interviene invece, non preceduta direttamente da alcun evento interno, l'anno successivo, ovvero l'anno che registra nel maggio la strage di Piazza della Loggia e nell'agosto la strage dell'Italicus.

Quell'anno Licio Gelli aveva inviato ai suoi affiliati una lettera su carta intestata «Centro Studi di Storia Contemporanea», nella quale, secondo la ben nota tecnica gelliana più volte documentata, è dato individuare, calato nelle abituali banalità, un messaggio politico ben preciso accompagnato da una affermazione che non può non destare l'attenzione dell'osservatore: «Con il nostro buon senso, con la nostra vocazione alla libertà, dobbiamo sperare che le opposte tendenze, tutte per altro incluse nell'arco democratico-costituzionale, trovino finalmente un terreno di intesa e di incontro al fine di dare l'avvio alla esecuzione e alla programmazione di una azione intesa a conseguire una vera pace sociale, ad un autentico atto di pacificazione politica».

«Non è allarmisticamente che si prevede una estate veramente calda, direi scottante per una notevole quantità di problemi estremamente impegnativi». Questa affermazione letta alla luce delle conoscenze in nostro possesso, ovvero alla riscontrata specularità tra vicende politiche e fasi organizzative della Loggia P2, al ricordato risveglio di interesse di apparati investigativi nei confronti di Lcio Gelli che cade proprio nel 1974, alla citata «demolizione» votata dalla Gran Loggia di Napoli, viene ad acquisire un significato ben diverso da quello di innocue lamentazioni sulle disfunzoni del sistema come a prima vista potrebbe apparire.

Ci troviamo, infatti, di fronte ad un concordante quadro di elementi conoscitivi che tutti si armonizzano tra loro in univoco senso: quello di denunciare un legame tra quelle attività eversive e Licio Gelli, poiché se una coincidenza è non solo possibile ma probabile, una serie di coincidenze come quella denunciata è piuttosto indicativa di un rapporto di connessione e di causalità.

Ed è di conforto alla nostra ipotesi constatare che tale collegamento venne individuato o comunque presentito sia all'interno che all'esterno della comunione massonica e che la sua individuazione non fu poi senza conseguenze, poiché all'interno della massoneria si avviò da quel momento quel processo di ristrutturazione che valse a rendere definitivamente ancor più segreta la Loggia e ad espellere dalla comunione i cosiddetti «massoni democratici».

Quanto agli ambienti esterni abbiamo ricordato il destino non favorevole nel quale incorsero gli ufficiali della Guardia di Finanza che avevano lavorato alle informative, ed abbiamo anche alzato un velo di dubbio sugli esiti della carriera dell'ispettore Santillo che, adesso sappiamo, era responsabile agli occhi di Gelli non solo delle tre note già commentate, ma dell'accanimento con il quale aveva seguito la pista individuata, tramite l'ispettore De Francesco.

Notiamo che terza autorità costituita ad individuare un collegamento Gelli-eversione nera, sarebbe stato il giudice Occorsio che comunque andò incontro ad un tragico destino: una coincidenza questa, e non certo la prima nella nostra storia, che riteniamo comunque doveroso, con piena autonomia di giudizio, sottolineare.

Quello che ci chiediamo allora è se Licio Gelli e la sua loggia siano in tutto identificabili con situazioni che si ponevano decisamente al di fuori del sistema democratico e comunque quale tipo di rapporto avessero stabilito con tali realtà.

Certo è che la connotazione nera di Gelli e della sua loggia è quella consegnata all'iconografia ufficiale, per la quale non si è mai mancato di insistere sui trascorsi fascisti e repubblichini del Venerabile: questa almeno era l'immagine che di lui ampiamente pubblicizzava la stampa durante quegli anni, prima che Gelli e la sua organizzazione provvedessero a costituirsi quella radicale mimetizzazione che abbiamo studiato nel primo capitolo.

Ma che questa non sia la vera o per lo meno l'unica chiave di lettura del fenomeno ci viene offerto dall'osservare la trasformazione intervenuta nella seconda fase della Loggia P2, che alla luce di un attento studio del fenomeno verrà a dimostrarsi in realtà come una accorta operazione di adeguamento, all'insegna della continuità, alla situazione politica mutata.

Vedremo infatti come Licio Gelli non abbia difficoltà a dismettere i panni del fascista quando di essi non avverte più la necessità in ragione del cambiamento dei tempi e del succedersi delle fasi politiche. Il Gelli che si muove all'insegna del piano di rinascita democratica e che in quel contesto controlla il Corriere della Sera — non interferendo con la linea d'appoggio alla politica di solidarietà nazionale — è pur sempre lo stesso Gelli che nel verbale di riunione di loggia del 1971 identificava il nemico da battere in un'area di forze definite «clerico-comunismo».

In quella riunione nella quale era stata « messa al bando la filosofia », si erano tenuti discorsi che, se per molti versi anticipano nel contenuto il piano di rinascita democratica, peraltro si situano in un contesto politico marcatamente diverso da quello nel quale il piano verrà a collocarsi. Ma per comprendere allora se e quale interpretazione unitaria si possa dare a questi dati è forse opportuno entrare, sia pure per un istante, nella logica del sistema di potere gelliano e, «messa al bando la filosofia», cercare di vedere i fatti e gli avvenimenti, al di là del loro primo apparente significato.

A tal fine riprendiamo lo spunto relativo al golpe Borghese per notare come il colpo di Stato al quale il principe nero tramava, non manca di presentare alcuni aspetti di sorprendente anacronismo. Vogliamo cioè fare riferimento a quel che di vagamente ottocentesco che il piano nel suo insieme lascia trasparire nella sua ideazione, fondata come è su un'analisi politica a dir poco approssimativa, come quando ignora il peso che nel sistema hanno partiti e sindacati e trascura la loro capacità di mobilitazione in tempo reale di vaste masse di cittadini.

Pensare di fronteggiare una situazione quale di certo sarebbe ipotizzabile in una simile deprecata evenienza con un proclama letto alla radio sembra a dir poco superficiale. Come altresì si mostra superficiale il piano nei suoi risvolti attuativi, tra i quali gioca un ruolo decisivo il famoso contrordine, sulla cui paternità sappiamo quali dubbi esistano e quali possibili riferimenti ci conducano a Licio Gelli o a persone a lui vicine. Questo contrordine rappresenta per noi molto più che un banale disguido attuativo, quale sembra a prima vista, perchè in realtà si cela in esso la chiave di lettura politica di tutta l'operazione.

Una operazione che nella mente di chi stava dietro le quinte mirava più all'effetto politico che il golpe tentato poteva provocare in termini di reazione presso l'opinione pubblica e la classe politica, che non al reale conseguimento di una conquista del potere, che il piano poteva garantire solo ai pochi e non molto provveduti congiurati che si esposero in prima persona.

Per contro quando si pensi al giustificato clamore che l'evento suscitò all'epoca — e che solo adesso, nella prospettiva storica, è possibile ridimensionare — non sembra un forzare l'interpretazione affermare che il colpo di Stato tentato e non consumato, esperì comunque i suoi sperati effetti politici alternativi: in altri termini se il piano operativamente fallì, politicamente per qualcuno fu un successo perché pose sul tappeto come possibile realtà l'ipotesi che in Italia esistevano forze ed ambienti pronti ad un simile passo.

Ponendoci allora ad un livello di analisi meno approssimativo, non possiamo non rilevare che la consistenza concreta, in termini politici, del golpe Borghese appare di poco maggiore, secondo una evidente analogia, di quella del governo sostenuto dai militari e presieduto da Carmelo Spagnuolo, del quale si discusse nella riunione a Villa Wanda del 1973.

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