Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci del lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 presieduta da Tina Anselmi


La situazione che si delinea al termine del lungo processo sin qui ricostruito è pertanto contrassegnata da due connotati fondamentali: 1) Gelli ha acquisito nella seconda metà degli anni settanta il controllo completo ed incontrastato della Loggia Propaganda Due, espropriandone il naturale titolare e cioè il Gran Maestro;

2) la Loggia Propaganda Due non può nemmeno eufemisticamente definirsi riservata e coperta: si tratta ormai di una associazione segreta, tale segretezza sussistendo non solo nei confronti dell'ordinamento generale e della società civile ma altresì rispetto alla organizzazione che ad essa aveva dato vita. Rileviamo inoltre che le due ristrutturazioni seguite alla « demolizione » votata dalla Gran Loggia nel 1974 furono strettamente interdipendenti alle vicende personali di Licio Gelli tanto nella loro genesi quanto nel loro risultato finale, secondo quella logica di identificazione tra la Loggia Propaganda e Licio Gelli che, sin dall'ingresso di questi in massoneria, fu dai massimi dirigenti di Palazzo Giustiniani programmata e perseguita secondo una non smentita linea di comportamenti.

Furono infatti i responsabili della comunione che, manovrando statuti e procedure interne, crearono una situazione nella quale le insegne della massoneria venivano a fungere da schermo o, se si preferisce, da pretesto ad un organismo avente natura e finalità affatto peculiari.

Ma sia ben chiaro che tali anomalie altro non furono se non il frutto di processi interni alla istituzione che a questa organizzazione aveva dato origine, che aveva consentito si evolvesse verso l'assetto finale, guidandone con accorta regia lo sviluppo, che ne aveva infine tutelata la forma particolare di organizzazione raggiunta.

Concludendo la ricostruzione di queste vicende la Commissione può pertanto affermare che la Loggia P2 può a buon diritto essere definita una loggia massonica, secondo la terminologia adottata dalla legge di scioglimento votata dal Parlamento, per la primaria considerazione che la sua forma degenerativa rispetto alla comunione di appartenenza fu dalla stessa, nella espressione dei suoi vertici elettivi, consapevolmente voluta e realizzata.

Volendo capire le ragioni che sottostanno all'abnorme situazione che abbiamo delineato — anche al fine di evitare l'espressione di sommari giudizi che finirebbero per coinvolgere, con suo ingiusto danno, chi per tali vicende non porta responsabilità alcuna o comunque ha una responsabilità estremamente limitata — è necessario formulare alcune considerazioni finali di ordine generale.

Va in primo luogo dichiarato che il ruolo e le attività di Licio Gelli erano conosciuti, anche se in modo parziale e frammentario, nell'ambito dell'intera comunità massonica, presso la quale il fenomeno Gelli e le sue possibili implicazioni erano in qualche modo note e non pacificamente accettate, poiché è certo che esse costituirono punto di dissenso e di scontro all'interno della famiglia massonica: ne fanno fede la mai sopita lotta condotta dai cosiddetti « massoni democratici » nonché il voto dei Maestri Venerabili che decretarono la demolizione della Loggia P2 nel corso della Gran Loggia di Napoli.

Se dunque si pervenne alla situazione dianzi delineata fu in sostanza soprattutto, come si è dimostrato, grazie all'influenza che Gelli riuscì ad esercitare sui vertici del Grande Oriente. I rapporti non chiari di reciproca dipendenza, se non di ricatto, che egli instaurò con i Gran Maestri e con i loro collaboratori diretti, ampiamente documentati presso la Commissione, offrono un quadro di compromissione degli organi centrali di governo della famiglia massonica giustinianea che ampiamente giustifica e spiega le tormentate vicende ripercorse nelle pagine precedenti.

Sono vicende queste che richiedono un approfondito esame del rapporto tra Licio Gelli e la massoneria, per il quale dobbiamo, come punto di partenza, muovere dalla affermazione, prima ribadita, che la Loggia Propaganda è una loggia massonica inserita a pieno titolo nella comunione massonica di più antica tradizione e di più vasta affiliazione di aderenti.

La realtà dei fatti è incontestabilmente quella di un organismo presente nella comunione di appartenenza come entità integrata secondo peculiari prerogative che ad essa venivano riconosciute dagli statuti e dalla pratica stessa di vita dell'associazione: la connotazione della Loggia P2, secondo l'ordinamento massonico, era quella di essere una loggia coperta.

Come poi questa copertura sia stata gestita dai dirigenti responsabili, anche in violazione degli statuti dell'associazione, evolvendo verso forme di vera e propria segretezza, questo è argomento che nulla inferisce nel nostro discorso, poiché è palese che quanto viene stabilito nello specifico ordinamento massonico e quanto in esso viene operato, anche in sua violazione, nessuna influenza esplica nell'ambito dell'ordinamento giuridico generale, alle cui sole previsioni normative ci si deve riportare in sede di analisi giuridica e di valutazione politica del problema.

A tal fine possiamo affermare che l'adozione di forme di copertura dirette verso l'esterno come verso l'interno della comunione di appartenenza costituisce indubbia connotazione di segretezza ed è soltanto a fini di mera confusione che si può spostare il tema del discorso sulla presunta segretezza o meno della massoneria, poiché se è certo, secondo la pregevole notazione di un autore, che la massoneria non è una associazione segreta, è per altro certo che essa è una associazione con segreti, e uno di questi era la Loggia Propaganda Due.

Appare alla Commissione incontrovertibile, secondo l'analisi sinora condotta, che la Loggia P2 era a) una loggia massonica, b) dotata di segretezza, ma la posizione di queste due affermazioni non esaurisce il problema ed anzi potrebbe, se ci si arrestasse a questa prima soglia interpretativa, condurre ad una rappresentazione dei fatti monca se non del tutto inesatta.

Bisogna infatti riconoscere che una spiegazione della Loggia P2 risolta tutta in chiave massonica non spiega il fenomeno nella sua genesi più profonda e nel suo sorprendente sviluppo successivo. Per rendere esplicita questa affermazione non si può non riconoscere come Licio Gelli appaia, sotto ogni punto di vista, un massone del tutto atipico: egli non si presenta cioè come il naturale ed emblematico esponente di una organizzazione la cui causa ha sposato con convinta adesione, informando le sue azioni, sia pur distorte e censurabili, al fine ultimo della maggior gloria della famiglia; Licio Gelli in altri termini non sembra sotto nessun profilo, nella sua contrastata vita massonica, un nuovo Adriano Lemmi, quanto piuttosto un corpo estraneo alla comunione, come iniettato dall'esterno, che con essa stabilisce un rapporto di continua, sorvegliata strumentalizzazione.

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