Deve ritenersi che le rilevate anomalie ed omissioni nella rituale documentazione fotografica di luoghi, reperti e tracce, concorrendo in maniera non trascurabile alla dissimulazione di un quadro indiziario univocamente orientato ad un evento omicidiario volontario, ebbero una significativa e indubbia rilevanza nella rappresentazione della morte di Giuseppe Impastato quale conseguenza di un «incidente sul lavoro» di un presunto terrorista
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per un mese pubblichiamo ampi stralci della “Relazione sul Caso Impastato”, elaborata dal Comitato della Commissione Parlamentare Antimafia della XIII° Legislatura, sull’uccisione di Peppino Impastato
Il fascicolo fotografico.
Quanto osservato per i rilievi planimetrici vale ancor più per il cosiddetto fascicolo fotografico che, a tutt’oggi, appare addirittura mancante agli atti del procedimento penale.
Eppure da una pluralità di fonti si desume che molte fotografie vennero scattate fin dalle prime ore del mattino del 9 maggio:
Si è già detto della esistenza di specifici reperti fotografici effettuati dai carabinieri sul luogo dell’esplosione e non risultanti negli atti processuali: si tratta delle «fotografie scattate dai carabinieri subito dopo il fatto» esaminate dal perito Pietro Pellegrino, ma non allegate alla sua relazione.
Lo stesso maresciallo Travali nel processo verbale di sopralluogo a sua firma del 9 maggio dà atto che «sul posto sono state scattate delle fotografie».
La Commissione ha acquisito ed esaminato copia di un «fascicolo fotografico a seguito della morte di Impastato Giuseppe classe 1948 da Cinisi», realizzato dal Nucleo operativo della Compagnia dei carabinieri di Partinico. Ma questo fascicolo, a firma «Il Maresciallo Ordinario Comandante del Nucleo Operativo Francesco Di Bono», privo di indice e di relazione, consta di sole 9 (nove) fotografie, tutte prive di legenda e mancanti di qualsiasi elemento descrittivo, che ritraggono da più posizioni i resti degli arti inferiori di Impastato Giuseppe.
In questo «fascicolo fotografico» non vi è alcuna inquadratura del binario interrotto dall’esplosione, dei frammenti di rotaia (v. sub a), della posizione degli altri reperti individuati e descritti nei verbali di sopralluogo (chiavi, zoccoli, ecc.), né dell’autovettura fiat 850 parcheggiata in uno spiazzo poco distante dal luogo dell’esplosione, nei pressi di una casa disabitata.
Tantomeno risultano presenti in questo fascicolo (trasmesso anche all’A.G.) fotografie di campo largo, idonee a documentare l’area dell’evento e dell’intervento della polizia giudiziaria, che ordinariamente vengono effettuate in occasione di qualsiasi sopralluogo.
Queste anomalie non meritano ulteriori commenti.
Ancora in argomento va rilevato che tra le copie degli atti processuali acquisite dalla procura della Repubblica di Palermo non è stata trovata traccia delle fotografie di cui è fatta menzione nel «processo verbale di ispezione dei luoghi» redatto alle ore dieci circa del giorno 13 maggio del 1978 dal sostituto procuratore della Repubblica di Palermo Francesco Scozzari, in occasione del sopralluogo condotto dallo stesso magistrato unitamente al maggiore Antonio Subranni ed al capitano Emanuele Basile, a periti di ufficio e di parte e con l’assistenza di «elementi della Squadra scientifica dei carabinieri del reparto operativo di Palermo».
L’atto istruttorio condotto dal Pubblico Ministero Scozzari nell’economia della relazione merita una autonoma e specifica trattazione. Sul tema specifico della carenza di idonei reperti fotografici negli atti processuali, merita di essere sottolineata una circostanza che riconduce immediatamente al «sopralluogo Scozzari».
Quattro giorni dopo lo scoppio dell’ordigno, in quel mattino del 13 maggio, nel corso della « ispezione del caseggiato in prossimità del quale fu rinvenuta in sede di primo sopralluogo l’autovettura Fiat 850 di pertinenza di Impastato Giuseppe» vengono individuati e asportati importanti reperti recanti tracce ematiche, che successivamente i periti indicheranno dello stesso gruppo dell’Impastato.
Il magistrato nel procedere all’ispezione del caseggiato evidenzia innanzitutto che esso si presenta composta da due distinte unità immobiliari «non comunicanti». E, relativamente alla prima di esse, verbalizza che «nel vano descritto è stato fatto un minuzioso rilevamento fotografico con particolare riferimento alla traccia lasciata dalla asportazione della pietra che si assume macchiata di sangue, alla pietra che i periti hanno ritenuto portante traccia di materia verosimilmente organica ed al sedile».
Quindi dà atto che «...eseguiti i rilevamenti fotografici la pietra, dai periti come sopra notata, viene asportata per costituire reperto».
Anche nella seconda unità immobiliare, con ingresso a lato nord, il Pubblico Ministero Scozzari dispone che si proceda «all’accurato rilevamento fotografico dei vani». Altrettanto dicasi per uno straccio individuato all’esterno del caseggiato.
L’accurata verbalizzazione dell’ispezione evidenzia il rilievo che a questo atto processuale attribuisce il magistrato, che conseguentemente avverte l’importanza di una particolareggiata repertazione fotografica dei luoghi.
Ma tali fotografie non risultano tra gli atti pervenuti nella disponibilità di questa Commissione.
Va sottolineato che i rilievi del giorno 13 risultano effettuati da elementi della Squadra scientifica dei carabinieri del reparto operativo di Palermo, e cioè da personale alle dirette dipendenze del maggiore Subranni, che partecipò personalmente all’ispezione Scozzari, ed ebbe pertanto una diretta percezione dell’esistenza di tracce ematiche all’interno del casolare.
Sempre in tema di rilievi fotografici – ma questa volta in riferimento alla presenza e all’operatività, il giorno 9 maggio, in Cinisi, di carabinieri addetti a rilevamenti fotografici – deve essere tenuto presente il contenuto della ricostruzione degli avvenimenti del 9 maggio effettuata da Giosuè Maniaci, Faro Di Maggio, Andrea Bartolotta e altri compagni di Giuseppe Impastato, e riportata nello scritto «Testimonianze dei compagni di radio Aut»:
Faro Di Maggio: «Erano le otto e già avevano fatto tutto, già alle otto i carabinieri sono andati via, hanno portato via la macchina di Peppino e sono andati in caserma».
Andrea Bartolotta: «Io e Faro tentavamo di avvicinarci al binario perché ci avevano detto che era saltato sul binario. C’era tutto lo spiegamento di pubblica sicurezza, siamo stati subito additati dalla gente ... e ci hanno bloccato subito. Il tono fin dalle prime battute era molto perentorio: «non vi potete avvicinare, non si può avvicinare nessuno», e c’era altra gente che era vicina ai binari, mentre noi non potevamo avvicinarci. Gente di Cinisi, persone qualunque che non si capiva perché potevano stare lì. Siamo stati trattenuti almeno una cinquantina di metri dalla casa che c’è prima dei binari. Oltre il muretto. Ci hanno detto: «voi non avete dove andare, dovete presentarvi subito in caserma». Il tono era chiarissimo».
Faro Di Maggio: «Siamo andati in caserma e c’era la macchina di Peppino posteggiata davanti. Io l’ho aperta, ed ho guardato che cosa c’era: c’era un pezzo di filo che pendeva, quello che hanno detto che era servito per fare l’attentato, avrò lasciato le impronte, poi è venuto un carabiniere che ha detto che la macchina non si poteva toccare, era sequestrata. Ma l’avevano già toccata tutti ...».
Giosuè Maniaci: «Prima di entrare in caserma abbiamo sostato nella piazzetta e c’era un carabiniere che aveva una 6x6 e avrà scattato migliaia di foto a noi».
Per quanto sopra evidenziato, deve ritenersi che le rilevate anomalie ed omissioni nella rituale documentazione fotografica di luoghi, reperti e tracce, concorrendo in maniera non trascurabile alla dissimulazione di un quadro indiziario univocamente orientato ad un evento omicidiario volontario, ebbero una significativa e indubbia rilevanza nella rappresentazione della morte di Giuseppe Impastato quale conseguenza di un «incidente sul lavoro» di un presunto terrorista.
La singolare vicenda di un reperto descritto dai carabinieri come «pezzo di stoffa» con attaccature di materiale solido color piombo.
Tra le vicende relative a reperti che subiscono un destino singolare, tale da oscurarne del tutto l’importanza, oltre a quella delle «tre chiavi», già descritta, va menzionato il rinvenimento di un pezzo di stoffa colore nocciola sporco delle dimensioni di cm. 40 x 60 circa che presenta attaccature di materiale solido color piombo ad un angolo e in altre parti due macchie [di colore] nero probabilmente di catrame ed una certa quantità di catrame attaccata.
La stoffa in questione, malgrado le dimensioni, non viene individuata nel corso del primo sopralluogo. È consegnata ai carabinieri di Cinisi alle 19,10 del 13 maggio da Faro Di Maggio, Benedetto Manzella e Gaetano Cusumano che dichiarano di averla rinvenuta nello spiazzo antistante la casa rurale di contrada «Feudo» lì «dove ... poco più avanti era stata lasciata parcata l’autovettura appartenente a Impastato Giuseppe».
Solo dopo dieci giorni, nella nota n. 4304/22–3 di prot. «P» datata 23 maggio 1978 della stazione dei carabinieri di Cinisi, indirizzata al PM Signorino e, per conoscenza, al reparto operativo del gruppo di Palermo e al comando compagnia di Partinico, si menzionano «alcuni reperti» presentati da Di Maggio Faro, Manzella Benedetto e Cusumano Gaetano.
In essa si legge, in particolare, che n. 2 pezzi di stoffa rinvenuti vicino alla casa rurale abbandonata (e, come si è detto, a disposizione dei militari dal 13 maggio) – unitamente ad altri reperti – verranno depositati presso la cancelleria della procura di Palermo. Fra gli atti acquisiti dalla Commissione parlamentare presso gli uffici del Reparto operativo del gruppo dei carabinieri di Palermo è stata rilevata corrispondenza tra quel reparto e il comando della stazione dei carabinieri di Cinisi (cfr. la nota n. 25/9) datata 25 maggio 1978, pertinente «n. 2 ricevute relative ai reperti versati in data odierna presso la cancelleria del locale tribunale».
Tra gli atti la missiva all’ufficio reperti, datata 25 maggio 1978, relativa a reperto costituito da: «un pezzo di stoffa a fiorellini bleu, bianchi e verdi che presenta tre piccoli buchi prodotti da bruciature ed un pelo attaccato all’orlo di uno dei buchi; un pezzo di stoffa color nocciola misurante cm. 40 x 60 che presenta tracce di materiale solido color piombo nonché due macchie di catrame e con catrame attaccato; n. 4 frammenti di pietre che presentano tracce nerastre rinvenute all’interno della stalla Venuti da giovani compagni, in atti generalizzati, del deceduto Impastato Giuseppe...».
Altri resti organici – unitamente ad una pietra con apparenti tracce di sangue – vengono ritrovati da amici dell’Impastato il pomeriggio del 12 maggio, ma questo ritrovamento sarà oggetto di separata ed approfondita trattazione nell’ambito della vicenda relativa al reperimento di pietre insanguinate. La missiva di trasmissione del reperto di stoffa con una macchia di colore piombo risulta formata dal Reparto operativo del gruppo di Palermo e reca la firma del maggiore Antonio Subranni.
Essa, come si è detto, è datata 25 maggio 1978.
Un reperto dal destino singolare
Il destino di questo reperto è singolare: nessuno se ne occupa e nessuna analisi e nessun specifico accertamento viene su di esso effettuato. Nessuno deve avere preso in considerazione l’opportunità di verificare se quella sostanza gelatinosa potesse fornire tracce interessanti per l’individuazione di esplosivi e per l’eventuale accertamento della loro provenienza. Nella perizia balistica disposta dal Pubblico Ministero non vi è alcun richiamo al reperto di tela di sacco rinvenuto e consegnato ai carabinieri il 13 maggio.
Come perso nel nulla, esso non è preso in debita considerazione da alcuno. Nemmeno dopo che, nel corso della formale istruzione, Faro Di Maggio con una lunga testimonianza, riferisce nuovi particolari sia in ordine al sopralluogo effettuato nel casolare, sia in ordine alle fotografie scattate alle macchie di sangue ivi rilevate, sia, infine, alla consegna ai carabinieri di «un telo di sacco imbevuto di sostanza solidificata argentata».
Eppure la testimonianza Di Maggio evidenzia le sostanziali diversità nelle descrizioni di questo reperto. Di Maggio descrive al giudice istruttore un telo di sacco «imbevuto di sostanza solidificata argentata».
I carabinieri nel verbale del 13 maggio descrivono il reperto come «un pezzo di stoffa di colore nocciola sporco che presenta attaccature di materiale solido colore piombo». Poi nella nota al PM Signorino parlano genericamente di «alcuni reperti presentati da Di Maggio Faro ed altri», riservandosi di trasmettere in cancelleria «n. 2 pezzi di stoffa».
Una modalità di verbalizzazione che ha una rilevanza superiore al dato meramente descrittivo, tenuto anche conto del fatto che l’informativa 4304/22-3 viene redatta il 23 maggio, cioè dopo dieci giorni dalla ricezione del «telo di sacco» e perviene in Procura solo il successivo 27 maggio, per essere inutilmente allegata agli atti.
Sulla tela di sacco imbevuta di sostanza solidificata argentata non sarà mai effettuato alcun accertamento.
E ciò anche se con la «richiesta di indagini» datata 11 maggio 1978 indirizzata al Sig. comandante del Reparto operativo dei carabinieri di Palermo (leggasi il maggiore Antonio Subranni), il Pubblico Ministero procedente aveva espressamente richiesto l’accertamento della provenienza del materiale esplodente.
Questa richiesta resterà infatti inevasa (e mai più rinnovata).
E la stessa sorte toccherà ad alcuni pezzi di pietra con tracce apparentemente ematiche raccolti dagli amici di Impastato e consegnati ai Carabinieri, sui quali non risulta mai effettuata alcuna indagine tecnica.
Gli accertamenti di interesse balistico.
Come risulta dal fascicolo processuale, l’incarico di «perizia tecnica di ufficio» conferito dal PM Signorino al perito balistico Pietro Pellegrino risale al 19 maggio.
Il Pm propone tre quesiti: 1) Tipo di esplosivo usato nella morte di Impastato Giuseppe; 2) La ricostruzione della dinamica della morte; 3) Quant’altro risulta utile alle indagini. Il perito accetta l’incarico e chiede 40 giorni per rispondere per iscritto ai quesiti (ma depositerà la propria consulenza il 28 ottobre 1978).
Nel verbale di incarico nulla si legge circa i reperti oggetto di perizia. Essi non vengono neppure indicati, nemmeno per relationem. In sostanza, da quell’atto non è dato comprendere su cosa lavorerà il perito. Solo all’atto del deposito della Relazione (28 ottobre 1978) si saprà che il sig. Pietro Pellegrino «allo scopo di acquisire elementi utili per l’indagine», aveva consultato i carabinieri della caserma Carini, sede del comando provinciale, il perito prof. Paolo Procaccianti, incaricato di svolgere esami chimici sui reperti, ed aveva esaminato le fotografie scattate dai Carabinieri subito dopo il fatto.
Quanto alle «fotografie scattate dai carabinieri subito dopo il fatto» nulla di più è dato conoscere, perché non furono allegate dal perito alla propria dissertazione, né se ne hanno altre tracce, eccezion fatta per quelle già indicate.
Ci si deve pertanto attenere ai brevi riferimenti effettuati dal Pellegrino, che pertanto vanno integralmente riportati: « Dalla documentazione fotografica si evince inoltre che un tratto di binario ferroviario è stato divelto dall’esplosione ed asportato di netto, tra le due traverse di legno. Dalla modalità di come il binario è stato tranciato e dalle tracce che si possono osservare sulla fiancata di una delle traverse di legno, si può dedurre che doveva trattarsi di esplosivo ad alto potere dirompente e ad elevata velocità di detonazione».
Una perizia sugli atti!
Una perizia sugli atti dunque, atteso che in essa non vi è alcuna menzione di rilievi o analisi su reperti di interesse per gli accertamenti di natura chimico-balistica, quali ad esempio, gli spezzoni di rotaia, l’area interessata all’esplosione, oltre al citato « pezzo di stoffa color nocciola recante tracce di sostanza color piombo ».
Né il sig. Pietro Pellegrino – che, come si legge dalla carta intestata allo Studio Pellegrino, si dichiara oltre che consulente tecnico del tribunale di Palermo, Membro della Confèdèration internationale des associations d’experts, aggregata all’ONU» – riferisce di diretti sopralluoghi o ispezioni di reperti.
In sostanza la perizia Pellegrino si riporta agli esiti del lavoro del perito chimico, e, in particolare, alle analisi effettuate « su un frammento di stoffa repertata sul luogo » ove erano state rinvenute tracce di binitrotoluene (o DNT – dinitrotoluene) e trae delle ulteriori deduzioni dall’osservazione di reperti fotografici che non risultano agli atti!
Le conclusioni della « perizia » Pellegrino saranno di seguito esaminate.
Allo stato è necessario evidenziare che nella relazione di perizia Caruso–Procaccianti (depositata anch’essa il 28 ottobre 1978) si legge che la ricerca per le polveri da sparo allo scopo di evidenziarne « residui incombusti » fu effettuata sul frammento della mano destra di Impastato attraverso il metodo del guanto di paraffina e « su un frammento della camicia di lana (a piccoli scacchi verdi e marrone chiaro, su fondo beige) sottoposto ad esame con una miscela di acetone: metanolo 1/1 e con successiva analisi cromatografica su strato sottile e gas-cromatografica. Tale accertamento aveva consentito di rilevare tracce di dinitrotoluene (DNT).
Con la stessa metodica i periti Caruso e Procaccianti avevano poi proceduto sullo straccio di tessuto « fantasia » per abito da donna con tracce di materia nerastra, rinvenuto e repertato durante il sopralluogo giudiziario del 13 maggio 1978. Detta ricerca aveva dato esito negativo.
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