Nuove e vecchie dichiarazioni quindi, lette ora nel loro complesso e nella loro complementarità, si illuminano e si valorizzano a vicenda. Non è azzardato affermare che se i nuovi elementi raccolti fossero già stati presenti nei procedimenti ormai conclusi probabilmente essi sarebbero giunti a conclusioni diverse: condanne e non assoluzioni
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci dell’ordinanza del 18 marzo 1995, “Azzi+25” di Guido Salvini, il giudice che a Milano provò, a più di vent’anni di distanza dai fatti avvenuti, a far condannare responsabili e complici di una stagione di sangue
Nuove e vecchie dichiarazioni quindi, lette ora nel loro complesso e nella loro complementarità, si illuminano e si valorizzano a vicenda.
Non è azzardato affermare che se i nuovi elementi raccolti fossero già stati presenti nei procedimenti ormai conclusi probabilmente essi sarebbero giunti a conclusioni diverse: condanne e non assoluzioni. Si ponga attenzione a questi tre esempi:
- nella seconda istruttoria relativa alla strage di Piazza Fontana, condotta dai giudici di Treviso (la c.d. Pista nera, aperta nel 1971 e che seguì l’incriminazione a Roma di Pietro Valpreda), uno degli elementi di accusa era costituito dalle testimonianze di Franco Comacchio il quale, fra l’altro, aveva riferito che Angelo Ventura, fratello di Giovanni, uno o due giorni prima della strage, durante un viaggio in macchina gli aveva confidato che ci sarebbero state di lì a poco “una marcia di fascisti a Roma e qualcosa di grosso nelle banche”.
La veridicità di tali affermazioni è stata confermata in questa istruttoria da Vincenzo Vinciguerra (cfr. int. al G.I. in data 13.1.1992) ed egli ha anche dettagliatamente spiegato il senso della manifestazione fissata a Roma per il 14 dicembre 1969 e che doveva costituire, subito dopo gli attentati, il preordinato appuntamento per chiedere, mobilitando la piazza di destra, un governo forte contro la "sovversione".
- un altro testimone d’accusa, Guido Lorenzon, sempre nell’ambito dell’istruttoria condotta dai giudici di Treviso, aveva dichiarato che il suo amico Giovanni Ventura si era mostrato a perfetta conoscenza, disegnando anche uno schizzo, delle caratteristiche del passaggio sotterraneo che univa i due edifici della Banca Nazionale del Lavoro di Roma e a conoscenza anche del punto ove la borsa con l’ordigno poteva essere collocata opportunamente fuori dal campo visivo dei passanti.
Ed infatti in questa nuova istruttoria Carlo Digilio ha riferito che l’ordigno nel sottopassaggio della B.N.L. di Roma era stato collocato da un componente del gruppo grazie al rapporto operativo e di fiducia con Giovanni Ventura e che la perfetta conoscenza del sottopassaggio era stata possibile grazie alla complicità del figlio di un funzionario della stessa banca (cfr. int. al G.I. 16.4.1994).
- nel corso dell’istruttoria contro la struttura romana di Ordine Nuovo (proc. Addis Mauro ed altri) alcuni pentiti, fra cui Sergio Calore, Paolo Aleandri e Gianluigi NAPOLI, avevano a più riprese dichiarato che l’esplosivo per i quattro grandi attentati della primavera del 1979 (in danno del Campidoglio, del carcere di Regina Coeli, e dei palazzi del C.S.M. e del Ministero degli Affari Esteri), commessi dall’area di Costruiamo l’Azione (erede di Ordine Nuovo), era stato fornito dai veneti ed in particolare da Massimiliano Fachini e che tale esplosivo, forse usato anche per la strage di Bologna, aveva le seguenti caratteristiche: era esplosivo del tipo T4, proveniente da residuati bellici - sopratutto mine anticarro -, ripescato dai veneti in un laghetto tramite un loro subacqueo e che essendo “sordo”, cioè difficile da innescarsi, poteva esplodere solo utilizzando un doppio detonatore.
Tali indicazioni, confermate per quanto era possibile anche dalle perizie, trovano ora pieno riscontro nelle dichiarazioni rese da Carlo Digilio in questa istruttoria a partire dall’ottobre 1993.
Infatti, Carlo Digilio ha raccontato con moltissimi dettagli che il dr. Carlo Maria Maggi e gli altri militanti del gruppo veneto si rifornivano ripescando esplosivi dai laghetti di Mantova tramite un sub, disponevano di mine anticarro che lo stesso Digilio aveva avuto modo di vedere e dai cui veniva estratto il T4, e discutevano della necessità di usare doppi detonatori realizzati anche utilizzando le spolette delle bombe a mano SRCM.
Per gli attentati di Roma, alcuni dei quali in sostanza stragi per poco mancate, e per la strage alla Stazione di Bologna sono stati condannati solo alcuni autori materiali (Marcello Iannilli a Roma, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro a Bologna), mentre sono stati assolti Fachini e gli altri veneti accusati di avere fornito l’esplosivo e di avere spiegato agli autori materiali come dovesse essere usato.
È lecito presumere che se le nuove dichiarazioni fossero già state disponibili nell’ambito di tali procedimenti, l’esito dei dibattimenti sarebbe stato probabilmente diverso.
Deve comunque essere sottolineato che gli elementi di prova raccolti nel corso di quattro anni di istruttoria sono caratterizzati da un alto livello di credibilità e di stabilità.
Raramente, infatti, una affermazione concernente una circostanza importante per il processo è rimasta isolata.
Nella quasi totalità dei casi gli episodi o le circostanze che sono emerse sono sorrette dalle dichiarazioni di due o più imputati o testimoni, rese separatamente, oppure da una dichiarazione testimoniale corroborata da un obiettivo elemento di riscontro.
Inoltre, gli imputati e i testimoni più significativi sono stati sentiti più volte e quindi le loro affermazioni sommano alla spontaneità e al disinteresse, che è proprio di coloro che hanno accettato di parlare "gratuitamente" del loro passato, anche il carattere della reiterazione.
In tema di concordanza e convergenza degli elementi di prova raccolti si ponga attenzione ai seguenti esempi:
- del traffico di bombe a mano fra il gruppo di Rognoni e quello di Signorelli hanno parlato sia Calore sia Izzo e tale circostanza trova riscontro nel rinvenimento di numerose bombe a mano, dello stesso tipo di quelle usate a Milano, nella disponibilità di vari militanti vicini negli anni ’70 al prof. Paolo Signorelli;
- l’approntamento da parte di ufficiali dei Carabinieri e del S.I.D. dell’arsenale di Camerino è indicato in uno dei documenti rinvenuti in Viale Bligny, a Milano, in cui si faceva il nome di Guelfo Osmani come persona che aveva collaborato a tale operazione. Il capitano Antonio Labruna ha confermato l’esattezza di tale indicazione e infine Guelfo Osmani ha raccontato interamente la storia della provocazione di Camerino;
- il capitano Antonio Labruna ha raccontato che numerosi nastri contenenti le registrazioni dei suoi colloqui con Orlandini ed altri congiurati, sopratutto quelli contenenti i nomi di Licio Gelli e di alti ufficiali all’epoca in servizio, non erano stato volutamente trasmessi alla magistratura. Il racconto di Labruna è stato corroborato dalla materiale produzione da parte di questi di copie dei nastri al tempo occultati e dalla testimonianza del maresciallo Esposito, già suo dipendente presso il Reparto D del S.I.D.;
- il rapporto organico fra gli uomini del M.A.R. e alti ufficiali dei Carabinieri e dell’Esercito è stato per la prima volta ampiamente chiarito da Gaetano Orlando e in seguito Carlo Fumagalli, responsabile dell’organizzazione, ha confermato buona parte delle circostanze rivelate dall’Orlando;
- Vincenzo Vinciguerra ha spiegato di avere partecipato con il gruppo di Guerin Serac all’organizzazione di una serie di attentati contro Ambasciate d’Algeria in varie capitali europee nell’estate del 1975. Vinciguerra aveva indicato nell’americano Jay Simon Salby uno degli elementi operativi dell’organizzazione. Proprio le impronte digitali di Salby sono state trovate sulla borsa contenente l’ordigno inesploso deposto dinanzi all’Ambasciata d’Algeria a Roma;
- il manoscritto rinvenuto nell’abitazione del generale Maletti subito dopo la sua fuga in Sudafrica e intitolato “caso Padova” esplicita il progetto, effettivamente realizzatosi, di "chiudere la fonte Gianni Casalini" affinchè non rivelasse particolari sulla responsabilità del gruppo FREDA negli attentati del 1969. La veridicità e l’effettivo concretizzarsi del piano di Maletti sono stati confermati dal personale del Centro C.S. di Padova e in parte dallo stesso Casalini. Inoltre è stato accertato che una relazione contenente notizie provenienti da Casalini è stata distrutta presso il Comando della Divisione Pastrengo dei Carabinieri di Milano;
- il ruolo del gruppo di Venezia come struttura operativa nella progettazione e nell’esecuzione dei più gravi attentati all’interno del gruppo ordinovista veneto è stato concordemente e con ricchezza di particolari descritto da due persone che erano ben inserite in tale ambiente, e cioè da Vincenzo Vinciguerra e Carlo Digilio i quali hanno indicato appunto nel gruppo di Venezia la struttura operativa e più coperta e protetta.
Si può quindi affermare che nessun grave elemento di accusa proviene da una voce generica o isolata, ma invece da una costellazione di dichiarazioni e di circostanze che fra loro si integrano come i tasselli di un puzzle.
© Riproduzione riservata



