Il processo di dédiabolisation, di normalizzazione, del Rassemblement national e della sua leader Marine Le Pen è solo di facciata: il partito, e la candidata all’Eliseo, restano di destra estrema. Lo stesso tipo di inganno vale, su più ampia scala e con conseguenze più estese, per il modo in cui Le Pen intende l’Europa. Anche se oggi dice di voler «riformare» l’Unione europea, Le Pen vuole a tutti gli effetti sgretolarla.

Il popolo non esiste

«Il popolo europeo non esiste, di conseguenza non esiste alcuna sovranità europea». Questa affermazione pronunciata da Le Pen mercoledì sera, durante il confronto tv con Macron, è il sintomo della profondità con la quale la leader disconosce la dimensione europea. Il «popolo» è il feticcio per eccellenza di Le Pen, perché – come ha notato Luc Rouban di Sciences Po – «il populismo poggia sull’argomento che il popolo sappia cosa è giusto per sé», e che Le Pen sappia cosa vuole il popolo. In questo caso, la leader non contesta «l’oligarchia» di Bruxelles, non attacca l’establishment. Rinnega l’esistenza stessa del «popolo» europeo. Questo è il primo elemento che indica che Le Pen non vuole, come invece racconta, «riformare» l’Ue. Ne mina le fondamenta.

La nazione e la deriva

«Non è vero che voglio far uscire la Francia dall’Ue, io voglio modificarla per farla diventare un’Europa delle nazioni» dice Le Pen. L’argomento è lo stesso di un altro grande sgretolatore dell’Ue, il premier ungherese Viktor Orbán. I due sono non a caso sodali, sia fra loro che con Vladimir Putin. Orbán non dice di voler indebolire l’Ue, anzi il 6 aprile ha persino citato la Conferenza sul futuro dell’Europa, trascurata invece dai leader europeisti. Ma la evoca per sabotarla, e per vendere la sua narrazione, che è la stessa di Le Pen. «Crediamo nella nazione, e questa idea avrà un rinascimento in Europa centrale», dice Orbán. Non un’Unione europea, e di europei, ma un’«alleanza di nazioni», come la chiama anche Le Pen.

La exit di fatto

«Serve una organizzazione vestfaliana, non un’utopia». Quando Le Pen evoca un’Europa delle nazioni, dove peraltro la Francia «è una potenza», intende una uscita di fatto dall’Ue. Non lo ammette, e si limita a constatare che «Brexit non è stata poi un disastro». Ma le sue proposte nazionaliste disarticolano il mercato comune, e i suoi piani xenofobi – come la «preferenza nazionale» – anche l’idea di diritti condivisi. «Popoli sovrani! Se sarò eletta all’Eliseo, farò valere la supremazia della giurisdizione nazionale!», ha detto Le Pen a ottobre quando è scoppiato lo scandalo Polexit. Il suo piano è disconoscere l’ordinamento europeo, e picconarlo sfruttando lo strumento democratico dei referendum.

A favore di Putin

«Lei ha riconosciuto l’annessione della Crimea, e nel 2015 ha contrattato con Mosca un prestito che deve ancora ripagare: lei dipende dal potere russo e da Putin», è l’accusa di Macron. Per finanziare l’ultima campagna, Le Pen ha preferito rivolgersi al sodale, di Putin: ha contrattato un prestito con una banca ungherese vicina al premier.

Ma al di là dei tentativi recenti di dissimularlo, il legame con Putin è ben presente nei piani della leader del Rassemblement national. In disaccordo con l’embargo di petrolio e gas, dice che «non possiamo fare harakiri nella speranza di far male alla Russia». Continua a ribadire che vuole portare la Francia fuori dal comando integrato della Nato. Sostiene pure che «dopo il trattato di pace in Ucraina, bisogna mettere in opera un riavvicinamento strategico dell’alleanza atlantica con la Russia». Mentre con Mosca si vuole «riavvicinare», Le Pen predica il distacco da Berlino.

Sgretolamento interno

«La Germania ha interessi divergenti da noi. Rappresenta il negativo assoluto dell’identità strategica francese». Stando a Le Pen, le differenze «sono inconciliabili e bisogna ritirare la cooperazione» con Berlino. Ma il punto non è solo la rottura del duo franco-tedesco, o l’argomento della competizione egemonica tra Parigi e Berlino: in realtà quello che la candidata al ballottaggio prospetta è una disarticolazione diffusa della politica europea. «Basta con il federalismo, va rimpiazzato con il bilateralismo!», dice – e condisce questa intenzione con attacchi «ai tecnocrati» di Bruxelles.

La retroguardia d’Europa

Una retrospettiva dei voti del Rassemblement all’Europarlamento mostra che la vocazione filorussa arriva fino a tempi recenti: a dicembre, gli eurodeputati del gruppo di Le Pen non hanno appoggiato la risoluzione che sosteneva sovranità e integrità territoriale dell’Ucraina, e che condannava il dispiegamento militare russo lungo la frontiera. L’opposizione alla risoluzione che nell’autunno 2020 condannava l’avvelenamento di Aleksej Navalny va letta assieme all’endorsement fatto dall’oppositore di Putin a Macron.

Ma proprio come i sodali ungheresi, l’estrema destra francese non si limita a disarticolare l’Ue dal lato geopolitico. Ne attacca anche valori e diritti, anche perché accompagna il proprio pragmatismo a campagne identitarie aggressive. Dunque anche se Le Pen sostiene di volere «una diplomazia femminista», quando nel novembre 2020 l’Europarlamento ha condannato la Polonia per aver ridotto ancor di più il diritto all’aborto, i suoi eurodeputati hanno votato contro. Si sono opposti anche a iniziative per la parità salariale, per non parlare dei diritti Lgbt: mentre l’Ue condannava la legge omofoba ungherese e le zone anti Lgbt polacche, i lepeniani andavano in direzione opposta. Con Le Pen presidente, in Ue sarebbe seppellita anche l’ambizione climatica: in futuro vuole smantellare le pale eoliche, e anche se ora nega di voler uscire dall’accordo di Parigi per il clima, vuol farlo saltare di fatto. Un po’ come con l’Ue.

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