Elaborando dati dell’Eswd (European severe weather database), la Coldiretti riporta che «con l’ultima ondata di maltempo sono oltre 1.200 gli eventi estremi che si sono verificati fino a ora in Italia nel 2021, con un aumento del 56 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso tra nubifragi, alluvioni, trombe d’aria, grandinate e ondate di calore».

Sempre secondo lo studio e i dati di Ispra le precipitazioni sempre più intense e frequenti, con vere e proprie bombe d’acqua, si abbattono su un territorio reso più fragile dalla cementificazione e dall’abbandono con il risultato che sono saliti a 7.252 i comuni italiani, ovvero il 91,3 per cento del totale, che sono a rischio idrogeologico. Siamo di fronte in Italia alle conseguenze dei cambiamenti climatici con una tendenza alla tropicalizzazione e il moltiplicarsi di eventi estremi con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense e il rapido passaggio dal caldo al maltempo.

Nel 2020 lo Eswd aveva censito per l’Italia quasi 1.300 eventi meteorologici estremi connessi al cambiamento climatico, il valore più alto mai registrato dopo l’anno record 2019. E dal 2008 al 2020 si sono moltiplicati otto volte e sono cresciute tutte le tipologie di eventi estremi: più 1.200 per cento le raffiche di vento, più 1.100 per cento le grandinate, più 580 per cento le piogge intense e più 480 per cento le trombe d’aria, talora sotto forma di tornado.

La Terra e lo squilibrio energetico

È trascorso circa un mese dal rapporto del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite e una serie di eventi politico-economici a livello mondiale lo hanno già messo nel dimenticatoio. Tra l’altro i cambiamenti climatici sottolineati potevano sembrare non così drammatici quando se ne è parlato: aumenti della temperatura di un decimo di grado all’anno, qualche millimetro in più del livello del mare, qualche ghiacciaio scomparso. Ma forse poco si è sottolineato come cambiamenti apparentemente piccoli possono con il tempo avere grandi effetti sul pianeta, specialmente a livello regionale. I piccoli cambiamenti, infatti, si accumulano nel tempo e ora si è arrivati al punto in cui la loro influenza sta contribuendo a dannose ondate di calore, siccità e precipitazioni estreme che non possono essere ignorate. Il lavoro delle Nazioni Unite è più chiaro che mai: il cambiamento climatico, causato da attività umane come la combustione di combossili, sta avendo effetti dannosi sul clima come lo conosciamo e questi effetti stanno rapidamente peggiorando.

Per capire ancora meglio questo fatto concentriamo qui l’attenzione sullo squilibrio energetico che la Terra ha subito negli ultimi anni. Il Sole bombarda la Terra con un flusso costante di circa 173.600 terawatt di energia sotto forma di radiazione solare. Facendo i debiti calcoli tra energia riflessa e quella utilizzata dai fenomeni meteorologici, compreso il ciclo dell’acqua, si scopre che circa 460 terawatt rimangono imbrigliati nell’atmosfera. Ed è qui che si concentra il problema: quell’energia in eccesso, intrappolata dai gas serra nell’atmosfera, è l’energia che sta riscaldando il pianeta. Questo è lo squilibrio energetico della Terra o, in altre parole, il riscaldamento globale. In confronto al flusso naturale di energia che ci arriva dal Sole, 460 Tw sembrano pochi, meno dell’1 per cento. Di conseguenza, è una quantità di energia che all’uomo sembra impercettibile.

Ma, per avere un’idea di cosa voglia dire quel valore, si pensi che la quantità totale di elettricità generata in tutto il mondo nel 2018 è stata di circa 2,6 Tw. Se si guarda a tutta l’energia utilizzata nel mondo anche per il riscaldamento, l’industria e i veicoli, si arriva a circa 19,5 Tw. In questo modo si capisce come lo squilibrio energetico della Terra sia davvero enorme.

Prima che le prime industrie iniziassero a bruciare grandi quantità di combustibili fossili nell’Ottocento, la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera era stimata attorno a 280 parti per milione di volume. Nel 1958, quando Dave Keeling iniziò a misurare le concentrazioni atmosferiche al Mauna Loa alle Hawaii, quel livello era salito a 310 parti per milione. Oggi il valore è salito a circa 415 parti per milione, un aumento del 48 per cento. Varie ricerche hanno dimostrano che oltre il 90 per cento dell’energia extra immessa dall’uomo va negli oceani, dove provoca l’espansione dell’acqua e l’innalzamento del livello del mare. Lo strato superiore degli oceani ha iniziato a riscaldarsi intorno agli anni Settanta. All’inizio degli anni Novanta, il calore raggiungeva i mille metri di profondità. Nel 2005 riscaldava l’oceano anche al di sotto dei 1.500 metri. E tutto questo sta influenzando il livello dei mari. Misurato dai satelliti, dal 1992 al 2012 è aumentato a un ritmo di circa 3 millimetri all’anno. Da allora, è aumentato di circa 4 millimetri all’anno. In 29 anni è cresciuto di oltre 90 millimetri. Se 90 millimetri non sembrano molto, in realtà, in alcune regioni, questo effetto ha portato a inondazioni croniche, in modo particolare durante le alte maree, come accade ad esempio a Miami, San Francisco e Venezia. Le mareggiate costiere sono più alte e molto più distruttive, soprattutto a causa degli uragani. Una parte di quell’energia extra, circa 13 terawatt, va nei ghiacciai che si fondono. Il ghiaccio marino artico in estate è diminuito di oltre il 40 per cento dal 1979. Parte dell’energia in eccesso scioglie i ghiacci terrestri, come i ghiacciai e il permafrost in Groenlandia, in Antartide, i quali immettono più acqua negli oceani che va ad innalzare ulteriormente il livello del mare. Un po’ di energia penetra nella terra, circa 14 terawatt. Ma finché la terra è bagnata, molta energia si trasforma in evapotraspirazione, vaporazione e traspirazione nelle piante, che inumidiscono l’atmosfera e alimentano i sistemi meteorologici. È quando c’è una siccità o durante la stagione secca che gli effetti si accumulano sulla Terra, attraverso l’essiccazione e l’avvizzimento delle piante, l’innalzamento delle temperature e un aumento notevole del rischio di ondate di calore e incendi. Sopra gli oceani, il calore extra fornisce un’enorme risorsa di umidità per l’atmosfera. Questo diventa calore latente nelle tempeste che alimentano gli uragani e i temporali, portando a drammatiche inondazioni, come hanno sperimentato le persone in molte parti del mondo negli ultimi mesi.

L’aria può contenere circa il 4 per cento in più di umidità per ogni aumento di temperatura di 0,55 gradi Celsius e l’aria sopra gli oceani è circa dal 5 per cento al 15 per cento più umida di quanto non fosse prima del 1970. Come conseguenza si ha circa il 10 per cento di aumento della pioggia quando i temporali raccolgono tale umidità in eccesso. Gli eventi meteorologici estremi si sono sempre verificati, ma le influenze umane ora li stanno spingendo oltre i loro limiti precedenti.

Pioggia in Amazzonia

Una recente pubblicazione dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr su Global Change Biology, con una ricerca condotta in collaborazione con l’Università di Utrecht (Paesi Bassi), rivela che il peso del disboscamento sulla piovosità della regione amazzonica è maggiore di quanto si pensasse e potrebbe portare fino a una riduzione annuale del 55-70 per cento. La foresta amazzonica genera una parte della pioggia che cade nella sua stessa zona, poiché preleva acqua dal suolo e la traspira nell’aria circostante e sovrastante e in questo modo si auto-sostiene.

«Piccoli cambiamenti nell’umidità dell’aria, dovuti alla presenza o meno di alberi, possono portare a grandi cambiamenti nella pioggia osservata», dice Mara Baudena, ricercatrice del Cnr-Isac e prima autrice della ricerca. «Queste amplificazioni finora non erano state considerate. In questo studio sono stati analizzati dati di precipitazione e umidità dell’aria per più di dieci anni a scala oraria su un’ampia parte della foresta amazzonica e delle aree confinanti, in combinazione con dati e modelli sviluppati in lavori precedenti dall’Università di Utrecht nei Paesi Bassi, che calcolano come l’umidità venga traspirata dalle piante e trasportata dai venti in tutta l’Amazzonia».

Le conclusioni dicono che, nel caso più estremo in cui l’intera foresta fosse disboscata, la precipitazione annuale nell’area scenderebbe del 55-70 per cento. Sottolinea tuttavia, Arie Staal, dell’Università di Utrecht: «I dati vanno però trattati con prudenza: queste nuove stime sono un importante passo avanti del nostro livello di conoscenza, ma non sono prive di incertezze e approssimazioni. È per questo che dovremo proseguire la ricerca con metodi diversi per confermarle». Gli autori confidano comunque che il risultato ottenuto sia qualitativamente significativo. «Anche una relativa deforestazione potrebbe avere effetti più drammatici del previsto sulle piogge, sulla foresta e sulle zone confinanti, sede di coltivazioni e allevamenti che sono spesso all’origine della deforestazione stessa», conclude Baudena.

Lo Speedy Gonzales degli asteroidi

Lo ha scoperto l’Osservatorio interamericano di Cerro Tololo in Cile grazie ai dati raccolti dalla Dark Energy Camera (DeCam) da 570 megapixel ed è stato definito come l’asteroide più veloce del sistema solare. Con un diametro di circa 1 chilometro, 2021 Ph27 (questo il nome ufficiale dell’asteroide) si avvicina al Sole ogni 113 giorni, fino ad una distanza minima di poco più di 19 milioni di chilometri. È così vicino, in termini astronomici, che la temperatura superficiale raggiunge i 500 gradi centigradi. È l’elevatissima velocità che gli permette di avvicinarsi così tanto al Sole senza precipitare su di esso. Scott Sheppard, l’astronomo del Carnegie Institution for Science spiega: «La temperatura superficiale è sufficiente per fondere il piombo. Tuttavia per il momento resiste a tale inferno. La sua elevata inclinazione orbitale (di circa 32 gradi) fa supporre che potrebbe trattarsi di una cometa estinta poi posizionatasi sull’orbita attuale, dopo essere passata vicino a uno dei pianeti interni». Probabilmente la fine di 2021 Ph27 è già segnata: la sua orbita è instabile e nell’arco di pochi milioni di anni si schianterà su Mercurio, su Venere o sul Sole e se ciò non dovesse avvenire, molto probabilmente sarà espulso dal sistema solare interno a causa della forte influenza gravitazionale degli stessi pianeti.

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