Caro direttore, ho letto con qualche stupore l’articolo che Giorgio Meletti ha scritto ieri sul cambio del nome del ministero che mi è stato affidato, da “ministero delle Infrastrutture e dei trasporti” a “ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili”.

La sorpresa deriva dal fatto che il giornalista scriva «dell’illusione (o dell’imbroglio) di cambiare l’Italia con i nomi dei ministeri» proprio su un giornale che ha scelto come nome una parola evocativa come “domani”. Ricordo bene l’articolo con cui lei presentò il suo progetto editoriale e immagino quante riflessioni siano state fatte per scegliere un termine che comunicasse esattamente il senso di tale progetto. Una volta che il nome è stato scelto, questo le ha forse evitato di dover lavorare duramente sulla realizzazione di quel progetto? Ovviamente no. Questo vuol dire che un nuovo giornale per il solo fatto di chiamarsi “Domani” sia in grado di assicurare che il nostro paese diventerà migliore? Ovviamente no.

La stessa cosa vale per il cambiamento di nome del ministero, il quale indica una nuova direzione strategica, in piena coerenza con altre scelte fatte da questo governo, a partire dalla creazione del ministero per la Transizione ecologica.

Ovviamente, come per portare verso il successo una testata giornalistica, così il lavoro per assicurare all’Italia infrastrutture e un sistema di mobilità sostenibili è molto complesso e lungo, ma indispensabile per cambiare le politiche che hanno contribuito a portare l’Italia su un sentiero di sviluppo insostenibile, a partire dal forte consumo di suolo o dal grave deterioramento di alcune infrastrutture che tanti lutti e danni hanno provocato.

Meletti ironizza sul lavoro che ci aspetta per cambiare le targhe sulle porte, la carta intestata, ecc. Vorrei segnalargli che, grazie alla digitalizzazione delle procedure, oggi gran parte della corrispondenza non è più cartacea e immagino che le attività che cita siano nulla rispetto al lavoro che lei, direttore, ha dovuto fare per avviare un nuovo progetto editoriale, invece di restare una firma sia pur molto prestigiosa di un giornale già esistente. Ma su un punto Meletti ha ragione: per essere efficace, il cambio di nome del ministero richiede un cambiamento culturale. Ma non solo di chi ci lavora (cosa su cui ci siamo già attivati), ma anche di chi osserva da fuori il suo funzionamento.

Per questo, caro direttore, sono sicuro che i giornalisti che lavorano a Domani aiuteranno tutti noi a fare scelte migliori per il futuro di questo paese, evitando facili ironie, ma svolgendo appieno quel ruolo di sorveglianza dell’operato del governo che è la forza della stampa indipendente. Ma queste cose lei le sa molto meglio di me. Cordiali saluti e auguri di buon lavoro

Risponde Giorgio Meletti:

Mi dispiace che il ministro Giovannini trovi ironico un articolo che voleva essere serio e preoccupato e privo di quelle “facili ironie” che ci si vorrebbe proibire, perché si sa, il “ruolo di sorveglianza” della stampa è sacro ma nelle forme e nei modi che piacciono ai ministri. Caro ministro, non c’è alcuna ironia nel segnalarle che i suoi dirigenti e funzionari si scambiano per via digitale lettere scritte su carta intestata e allegate alle mail come pdf. Stia tranquillo, a me la notizia della rivoluzione digitale è giunta un po’ prima della sua cortese segnalazione e molto prima che ai ministeri ed enti pubblici dove ha fatto la sua brillante carriera. Dovrebbe saperlo. È vero che l’idea di fondare questo giornale ha costretto editore e direttore a trovargli un nome. Si fa dai tempi di Gutenberg, serve per consentire ai lettori di chiederlo in edicola senza doversi esprimere a gesti. Purtroppo il ricorso a questo stravagante paragone conferma che il ministro reputa assolutamente normale che un politico al momento della nomina indichi la sua “direzione strategica” ribattezzando dicastero. Secondo il suo metro, dunque, il ministero delle Infrastrutture avrebbe dovuto cambiare nome altre cinque volte negli ultimi dieci anni. Ma se lo mettevano al Lavoro lo ribattezzava ministero della Piena occupazione? E al ministero della Salute avrebbe aggiunto, come programma politico, “di ferro”? Stiamo al punto. Se vuole dire in che direzione vuole portarci, lasci perdere il folcloristico cambio di nome del ministero e risponda con un sì o con un no a qualche semplice domanda: la Tav Torino-Lione, concepita 30 anni fa, è un’infrastruttura sostenibile? Il piano economico e finanziario per le autostrade Aspi, che Paola De Micheli ha concordato con Atlantia e gli ha lasciato in eredità, è sostenibile? Basteranno due suoi monosillabi per sapere che cosa aspettarci da questo governo.

 

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