C’è una domanda che aleggia sulla transizione ecologica in Italia: quale sarà il ruolo della destra, in termini di idee, visione, preparazione, conflitto, opposizione? Tra fondi europei e vertici internazionali, tutte le forze politiche avranno bisogno di un’identità ecologica, chi non ne ha una dovrà fare in fretta a metterla in piedi, procurandosi non solo progetti e opinioni ma anche una bibliografia di riferimenti culturali, utili per commentare, capire e farsi capire. Da componenti della maggioranza, Lega e Forza Italia contribuiranno a indirizzare i fondi del Next Generation Eu e la transizione ecologica, uno dei due sottosegretari al ministero guidato da Roberto Cingolani è la leghista Vannia Gava, già in quella posizione nel Conte I.

Fratelli d’Italia è all’opposizione, ma tra un paio d’anni potrebbe confrontarsi con questa materia da forza di governo. Una visione chiara e identificabile è anche una questione di sopravvivenza politica a lungo termine. Come raccontava il ricercatore Enzo Risso su questo giornale, l’86 per cento degli italiani oggi ritiene impellente parlare di ambiente. Il 97 per cento degli elettori di Forza Italia, il 92 per cento di quelli della Lega e l’80 per cento di quelli di Fratelli d’Italia giudica il problema del surriscaldamento globale sempre più pressante.

Risposte diverse

La domanda sul futuro ecologico dell’Italia e del pianeta sarà nell’orizzonte di ogni schieramento, ma le risposte non potrebbero essere più diverse. Al di là delle precarie larghe intese del presente, la lotta ai cambiamenti climatici è il più politico dei temi, tira in ballo la visione della società, dell’economia, dei diritti e del lavoro.

Una mappa per capire come sarà l’ecologia vista da destra la offre Francesco Giubilei, che pochi mesi fa ha pubblicato un libro intitolato Conservare la natura: perché l’ambiente è un tema caro alla destra e ai conservatori. L’anno di nascita dell’autore è un buon indizio sulla ricomposizione politica che dovrà esserci su questo tema nel mosaico di forze che chiamiamo destra italiana.

Giubilei appartiene a una nuova generazione di conservatori, è del 1992 e nel suo libro riannoda fili, traccia genealogie culturali e politiche ma è anche consapevole che per il suo mondo di riferimento siamo all’anno zero o quasi. A livello accademico il pensiero ecologista conservatore negli ultimi decenni è stato vivace, ma tra svolta di Fiuggi, partito liberale di massa berlusconiano, ascesa del populismo e del sovranismo, non ha mai trovato il modo di sfondare nelle agende, è rimasto recintato nei saggi, nelle riviste di area, nelle associazioni collegate ai partiti, nella galassia dei giornali e degli eventi identitari.

«Il centrodestra italiano deve fare autocritica, perché è vero che la tematica non è mai stata sufficientemente affrontata», riconosce Giubilei, «la destra italiana deve iniziare a costruire la sua tradizione e deve sbrigarsi, perché alle urne si affaccia una generazione sempre più post-ideologica. Per i nati dal 2000 in poi l’ambiente sarà il tema centrale. In Germania i Verdi prendono il 20 per cento, in Austria sono al governo con i conservatori. In Italia questi temi saranno intercettati dai partiti generalisti: o la destra trova il modo di arrivarci in modo intelligente o tra dieci anni ci troveremo a organizzare convegni sul perché non riesce a conquistare il voto dei giovani, proprio come in passato li si faceva sul perché il mondo della cultura la snobbava».

Oggi Boris Johnson, con limiti ed errori (come la catastrofica scelta di non ostacolare la costruzione di una centrale a carbone), è molto più avanti della destra italiana per l’approccio climatico. Il 20 febbraio l’Economist ha scritto che il Regno Unito ha decarbonizzato più velocemente di qualsiasi altro paese ricco. È una strada partita da lontano, nel 2006 David Cameron visitava da leader dei conservatori l’Artico, per verificare il cambiamento climatico e promettere il suo impegno. Una volta al governo non sarebbe andata benissimo, ma il viaggio se non altro testimoniava una precocità, nel cogliere il senso dei temi, che qui non si è mai vista.

Politica lessicale

Torniamo all’Italia. La politica richiede posizionamento, individuazione di avversari, ricerca di punti di riferimento e parole d’ordine. Partiamo da qui: le parole, perché Giubilei ne fa anche una questione lessicale. La questione, in sintesi brutale, è questa: i conservatori non sono ambientalisti, sono ecologisti. «L’ambientalismo è globalista, Greta Thunberg è il suo emblema, vede l’uomo come antitetico all’ambiente, un nemico, sono tutti figli di Malthus, il loro sottotesto mai dichiarato è la denatalità. Gli ambientalisti di sinistra vedono gli esseri umani come il problema della Terra».

A destra invece ci si identifica con la parola ecologia, perché «porta una visione che considera l’uomo e la natura parte di un unico grande insieme». L’ecologista di destra sembra a disagio a parlare di emissioni climalteranti e cambiamenti climatici, fenomeni che non riconoscono i confini e sfuggono a letture sovraniste, richiedono dialogo trans-culturale e cooperazione. Il discorso ecologista conservatore è più a suo agio a parlare di suolo, terra, nazione, produzione agricola, borghi, aree interne, economia circolare, biodiversità, mobilità sostenibile, chilometro zero.

È la lettura di Wendell Berry, scrittore venerato da Michael Pollan e premiato da Obama con la National Humanities Medal. Berry non possiede schermi e si fa intervistare solo per lettera, è il profeta dell’America rurale vista come colonia interna e del mangiare come atto agricolo. Non avranno tutti letto Berry, ma l’idea è filtrata: l’agricoltura come principale campo di applicazione dell’ecologia conservatrice.

Un altro pezzo fondamentale è il cristianesimo. «Quando parliamo di uomo e ambiente in un unico grande insieme, ovviamente parliamo del Creato», aggiunge Giubilei. La visione cristiana è patrimonio comune ma è un grande collante del pensiero ecologista di destra, fornisce quella che potremmo definire una grammatica di base. Non solo l’ecologia integrale di papa Francesco, citata da Draghi nel suo discorso al Senato, che provoca disagio per la sua critica alla proprietà privata, ma il pensiero del vescovo francese Dominique Rey, o l’enciclica Centesimus annus di Giovanni Paolo II, nella quale parlava dell’errore antropologico dell’uomo, che «si sostituisce a Dio e cosi finisce col provocare la ribellione della natura». Un

altro frammento importante della grammatica generativa cristiana per un’ecologia conservatrice viene da Benedetto XVI, con l’enciclica Caritas in Veritate, che predica il «dovere gravissimo» dell’uomo contemporaneo «di consegnare la terra alle nuove generazioni in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla».

L’identità

Cristianesimo e terra sono due pilastri, il terzo lo spiega Matteo Luca Andriola, autore del libro La nuova destra: «L’identità. La tradizione. La protezione dei cibi locali affiancata a quella dei dialetti, una preservazione ambientale che è anche culturale, in senso olistico». Nel suo libro Andriola traccia quell’albero genealogico del populismo contemporaneo che risale al pensiero di Alain de Benoist, il fondatore della nouvelle droite francese, il filosofo delle piccole patrie, dell’ecologia come ostilità al progresso, della decrescita come ritorno alla comunità.

Con altre radici culturali, arriva a conclusioni non diverse il filosofo britannico Roger Scruton, scomparso all’inizio del 2020 e salutato da Boris Johnson come massimo pensatore conservatore moderno. Secondo Scruton «non c’è causa più coerente con la visione conservatrice della causa ambientale, perché tocca tre idee fondamentali: la lealtà trans-generazionale, la priorità del locale e la ricerca di una casa da tramandare alle future generazioni». Ed è sull’idea di “locale” che anche Giubilei insiste come chiave di lettura per leggere l’ecologia di destra presente e futura: «Il pensiero ambientalista di sinistra dice di pensare globalmente e agire localmente, il conservatore invece pensa localmente per avere un effetto nazionale».

Proteggi la tua casa, la tua terra, la tua frutta, la tua comunità, la tua lingua e così salverai il mondo, più o meno funziona così. È uno dei motivi per cui spesso il negazionismo climatico si è annidato in certe frange della destra: non solo interessi economici e diffidenza per la scienza, ma l’incapacità di accettare gli effetti di fenomeni globali sulla comunità ristretta, il fatto che bruciare idrocarburi cambi il clima sulla contea. «Il problema è che l’agenda è stata creata dai globalizzatori», scriveva sempre Scruton, «ci dicono che problemi globali hanno bisogno di soluzioni globali, ma queste implicano perdita di sovranità e la resa a trattati che ci legano le mani».

Destra di governo

Cosa arriva di questa tradizione nella destra politica italiana? Solide radici culturali, se guardiamo alla destra d’opposizione, cioè a Fratelli d’Italia. Tracce sparse di sensibilità, invece, se guardiamo alla destra di governo, cioè Lega e Forza Italia. In ogni caso un modo di leggere il mondo. La Lega, azionista forte del governo, ha un’essenza divisa, il costante dualismo tra la Bocconi di Giorgetti e le corna di Pontida. C’è una destra pragmatica, legata al mito industriale, allo sviluppo economico, alle esportazioni, alla produzione. E una identitaria, sospettosa della modernità, critica della globalizzazione, nostalgica e sempre alla ricerca di nuovi confini da sorvegliare, che si ritrova in Scruton e de Benoist.

Le recenti svolte sembrano aver favorito la prima, la Lega dei fatturati, e alla prima è vicino Gian Carlo Locarni, oggi responsabile nazionale ambiente della Lega. Presidente del consiglio comunale di Vercelli, introduce così la sua identità ecologista: «Sono uno di quei fanatici che hanno sempre pulito il vasetto dello yogurt prima di buttarlo via». Sembra una battuta, ma l’economia circolare è uno dei temi ambientali su cui la Lega ha le idee più formate, eredità della tradizione di generazioni di amministratori locali. Nel programma del 2018 era quasi la metà di tutta la sezione ambiente.

La visione di Locarni, e quindi della Lega, si traduce in una formula (che Salvini ripete spesso): «Pragmatici e non ortodossi, la missione è trovare il trait d’union tra lo sviluppo economico e la protezione ambientale, uno non può essere sacrificato all’altro». Cercando idee più concrete, troviamo un fermo sostegno al gas come energia di transizione, uno dei temi più sensibili del processo di decarbonizzazione. «Noi parliamo di obiettivi lontani, 2030, 2050, ma siamo un paese energivoro e da sole le rinnovabili non possono sostenere la domanda senza costi sui cittadini. Non possiamo permetterci di dire no al gas naturale. Tutto è futuribile, ma poi si vive al presente. La transizione energetica deve essere graduale, altrimenti rischiamo di lasciare al freddo le famiglie, come successo in Texas».

E proprio il riferimento al Texas è indicativo dei conflitti politici che potrebbero sorgere nei prossimi anni, eolico e fotovoltaico visti come «di sinistra», il gas come fonte energetica populista per tenere le bollette basse e rendere le forniture sicure, come raccontava la propaganda repubblicana dopo la catastrofe in Texas, dove il collasso del sistema era stato invece causato proprio dalla poca resilienza delle centrali a gas e dell’autarchia dello stato della stella solitaria.

Fratelli d’Italia

Nicola Procaccini, ex sindaco di Terracina (Latina), è invece responsabile ambiente per Fratelli d’Italia. Quando lo contatto, spiegando le ragioni di questo articolo, per prima cosa mi dice che aspettava questa telefonata da una vita. Non deve essere un partito in cui è facile far emergere questi temi nel dibattito. È comunque un personaggio importante, già ex portavoce di Giorgia Meloni da ministro della gioventù.

«L’ecologia vista da destra è più coerente di quella vista da sinistra», spiega Procaccini, «essere conservatore significa conservare il meglio di ciò che abbiamo ereditato, è una visione di protezione che permette di tenere insieme la difesa dell’albero e del feto, delle tradizioni nazionali e dei boschi. C’è una chiusura del cerchio che una versione materialista e atea alla Timmermans o Greta non permette».

La prospettiva del partito è «un approccio meno ideologico della religione ambientalista che è nata a sinistra». Cosa significa concretamente? «Ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030 è furore ideologico che cozza la realtà, non saremo mai in grado fare la transizione in questo modo, l’Italia dipende per il 60 per cento da petrolio e carbone, mi spiegate come sia possibile privarsi di una fonte energetica così in così poco tempo?». La risposta, per Procaccini, è investire in nuove tecnologie, nel frattempo torna il richiamo alla terra: «Dobbiamo sovvenzionare l’agricoltura di precisione, favorire l’adattamento della nostra produzione».

Con la politica in fase di fragile commissariamento, la destra di lotta e soprattutto di governo è in equilibro tra responsabilità e sovranismo. La transizione ecologica sarà uno stress test per questo equilibrio, perché porta non solo opportunità, lavoro e crescita, ma anche vincoli, limitazioni, evoluzione degli stili di vita. Con una visione di ecologia basata su terra e confini, gli accordi internazionali e gli obiettivi europei di decarbonizzazione potrebbero sostituire l’euro nel ruolo di bersaglio retorico.

Tentati dallo status quo

In un’intervista del 2019 ad Askanews, il sottosegretario alla transizione ecologica Vannia Gava diceva: «L’uomo emette CO2 da quando ha scoperto il fuoco ma io mi rifiuto ai nostri giorni con gli studi fatti per ricerca e utilizzo della tecnologia di tornare all’età della pietra». Come sottolinea il politologo Marco Tarchi: «Il fondo culturale e psicologico industrialista e produttivista della Lega, di Forza Italia e dei loro alleati centristi costituisce un limite invalicabile a scelte che vadano oltre lo status quo», e aggiunge come un eventuale futuro governo di centrodestra «non andrebbe oltre l’ordinaria amministrazione in questo campo». Il rischio è che nell’attuale esperienza di governo, la destra, e in particolare la Lega di Salvini, possano pescare dalla tradizione ecologista di destra i frammenti di una propaganda sull’ecologia globalista come minaccia alla libertà e all’identità nazionale, che avrebbe come effetto e obiettivo quello di rallentare la transizione e confermare lo status quo. Cioè l’esatto opposto di “conservare la natura”.

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