Disillusi, ma determinati. Disposti a impegnarsi e decisi a non fare sconti a nessuno. Sul tema dell’ambiente, della lotta ai cambiamenti climatici, della trasformazione green della nostra società, gli italiani sono dichiaratamente orientati. La consapevolezza green, nel nostro Paese, è stato un processo di sedimentazione lungo e lento. Alla fine del secolo scorso, una quota non secondaria di persone, oscillante tra il 40 e il 50 per cento, giudicava il tema dell’ambiente come una moda. Oggi sono rimasti una sparuta minoranza (14 per cento), con l'86 per cento degli italiani che giudica impellente, e non una moda, parlare di ambiente, di green economy, di sostenibilità negli acquisti di prodotti e servizi.

La consapevolezza ecologica

Ci troviamo di fronte a un fenomeno complessivo caratterizzato da due dinamiche: un ambientalismo de-ideoligizzato e un ecologismo, un total green, partecipativo. Il tema dell’ambiente ha perso i connotati ideologici ed è diventato patrimonio della stragrande maggioranza degli italiani. Ne è la riprova la sensibilità ai temi ambientali che aleggia in tutti gli elettorati. L’ambiente non è più ritenuto una moda dal 95 per cento degli elettori del Pd, dall’82 per cento degli elettori della Lega, ma anche dall’80 per cento di quelli di Forza Italia, dall’82 per cento di quelli di Fratelli d’Italia, nonché dall’83 per cento dei Pentastellati e dall’87 per cento delle persone non collocate politicamente. La necessità di fare dei sacrifici, per far fronte al surriscaldamento della terra e invertire la rotta, trova concordi nove italiani su dieci. Ne sono convinti il 92 per cento dei supporter di Matteo Salvini, il 97 per centro di quelli di Silvio Berlusconi, Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio. Un po’ più freddini, ma sempre con quote di disponibilità alte, gli elettori di Giorgia Meloni (80 per cento).

I disastri ambientali passati

L’evoluzione della consapevolezza ecologica è stato un processo lento e sospinto da una lunga serie di eventi. Hanno contribuito le tante conferenze internazionali sul clima finite nel nulla. Il ricordo (spesso sfocato, ma presente) dei tanti disastri ambientali che hanno costellato gli ultimi quarant’anni: dal reattore nucleare di Cernobyl (1986), all’incidente alla centrale nucleare di Fukushima (2011); dal disastro di Bhopal (India 1984, in cui la fuga di pesticidi dalla fabbrica dell’Union Carbide ha ucciso circa 4.000 persone e si stima che negli anni successivi siano morte altre 20.000 persone), alla petroliera Exxon Valdez del 1989 (con 40,9 milioni di litri di petrolio in mare), all’esplosione della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon (2010), che ha riversato nel Golfo del Messico milioni di barili di petrolio. Senza dimenticare il Great Pacific Garbage Patch, l’isola di plastica che galleggia nel Pacifico, o gli eventi più recenti come la fuoriuscita di diesel e lubrificanti nel fiume Ambarnaya (Siberia 2020); il riversamento di olio combustibile da un cargo nelle Mauritius (2020); gli incendi della foresta amazzonica (2019). Inondazioni, tempeste e incendi hanno causato, nel 2019, più di 4.500 vittime, secondo il rapporto dell’Ong Christian Aid. Nel 2020, il rapporto dell’Ong britannica, oltre alle migliaia di morti, conteggia anche la bolletta economica che il mutamento climatico ha fatto pagare, nel corso dell’anno, al nostro pianeta: oltre 100 miliardi di dollari di danni.

Una ecologia partecipativa

Il tema dell’ambiente, per effetto del susseguirsi degli eventi e dell’incapacità dei governi di trovare un vero accordo sul tema, ha cambiato identità. Non è più un argomento per pochi attivisti; non è più un aspetto cui prestano attenzione le persone più impegnate e/o benestanti; ma è diventato parte integrante della coscienza e dei valori della maggioranza delle persone. Una trasformazione che sta alimentando la seconda dinamica. Se venti-trenta anni fa, la partita ambientale era argomento delegato ai governi e, per la maggioranza delle persone, non coinvolgeva il modo individuale di vivere e fare acquisti, oggi è sempre di più un tema di azione specifica del singolo; un aspetto su cui, in modo concreto, la maggioranza delle persone pensa di doversi impegnare, di dover fare la propria parte. Si sta delineando una forma di total green, di ecologia partecipativa. Un’ecologia che, come sottolinea il filosofo francese Edgar Morin, non è né integralista, né militante. Non intende convertire le persone al culto della Terra, ma è consapevole del valore strategico (totale, concreto, partecipato) dell’ecologia per le nostre vite, la nostra civiltà, i nostri modi d’agire, i nostri figli, il nostro futuro. Un’ecologia profondamente critica sia con il paradigma del profitto, sia con la subalternità esasperata alla tecno-economia.

Non siamo di fronte a impeti di protesta, bensì a una consapevolezza sedimentata, a una spinta a ripensare la società e il modo di agire delle imprese e di ogni persona. Un’ecologia partecipativa che non è più disposta a fare sconti a governi, multinazionali o a qualunque tipologia d’impresa. Una vision che non vuole più cedere al ricatto lavoro e crescita contro ambiente, ma pretende dai leader politici, dagli imprenditori, dai manager e da tutti i cittadini, un atteggiamento propulsivo ed efficiente nel partecipare, e nell’essere dediti, alla costruzione di un nuovo paradigma ecologico dello sviluppo economico e sociale.

 

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