Sulla base dei dati disponibili per il 2020, si stima che in Italia c’è stata una consistente riduzione delle emissioni di gas serra, prevalentemente a causa delle restrizioni dovute al Covid-19. Anche se si è ancora in attesa di avere tutte le informazioni necessarie per una stima definitiva, nello scorso anno le emissioni nel nostro paese sono state inferiori del 9,8 per cento rispetto al 2019 a fronte di una riduzione prevista del pil pari all’8,9 per cento. I dati sono stati rilasciati dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e a quanto sottolinea l’Istituto stesso, non sono ancora definitivi, ma gli ordini di grandezza in gioco sono quelli rilasciati. L’andamento stimato è dovuto alla riduzione delle emissioni per la produzione di energia elettrica (-12,6 per cento), alla minore domanda di energia in generale e alla riduzione dei consumi energetici in quasi tutti i settori industriali, dall’industria (-9,9 per cento) ai trasporti (-16,8 per cento) fino al riscaldamento (-5,8 per cento) per la chiusura parziale o totale degli edifici pubblici e delle attività commerciali. Stando ai dati a livello nazionale nel 2020 la domanda di energia elettrica è calata del 5,3 per cento e la produzione dei combustibili fossili del 6,4 per cento. In questo contesto le fonti rinnovabili sono arrivate a soddisfare anche il 38 per cento della domanda. Anche i trasporti su strada sono fortemente diminuiti e, conseguentemente, i consumi di benzina, gasolio, e Gpl sono scesi rispettivamente del 19 per cento, del 15 per cento e del 19 per cento sempre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Anche i consumi di gas per il riscaldamento domestico e commerciale sono diminuiti del 7 per cento nel 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019. La “buona” notizia è “buona” solo a metà, in quanto non è diminuendo l’attività industriale che si può risolvere il problema delle emissioni di gas-serra perché in tal caso, ovviamente, lo sviluppo economico non andrebbe da nessuna parte. Tra l’altro la penisola italiana ha visto una crescita della temperatura media superiore alla media del pianeta, in quanto sul nostro paese il valore è di circa 1,7° superiore rispetto agli inizi degli anni Ottanta, contro una media globale di +0,8°. La trasformazione ecologica voluta dal nuovo governo dunque non può prescindere da questi dati.

Catturare anidride carbonica

L’attività umana sta immettendo nell’atmosfera terrestre l’equivalente di circa 35-40 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Una situazione che porterà la temperatura del pianeta a un valore di 1,5° celsius superiore rispetto ai livelli preindustriali entro il 2040. Secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), sarebbe necessario non superare proprio l’1,5° Celsius per evitare gli impatti più pericolosi del cambiamento climatico sul nostro pianeta. In questo contesto sempre più spesso gli scienziati riconoscono che le tecnologie a emissioni negative e quelle nate per rimuovere e sequestrare l’anidride carbonica dall’atmosfera, saranno una componente essenziale della strategia dei prossimi anni per mitigare il cambiamento climatico. Con questo fine il Lawrence Berkeley National Laboratory (Berkeley Lab), un laboratorio di ricerca multidisciplinare del dipartimento di Energia americano, sta lavorando su varie tecnologie ad emissioni negative. Una assai promettente in fase di sviluppo nei laboratori è la cattura del carbonio utilizzando il materiale chiamato Mof, o “strutture metallo-organiche”. Jeffrey Long, della Divisione di scienze dei materiali del Berkeley Lab e del College of Chemistry della UC Berkeley, sta lavorando su questo materiale da diversi anni. Un Mof è un tipo di materiale solido altamente poroso che si comporta come una spugna, in grado di assorbire grandi quantità di una specifica molecola di gas, come ad esempio, l’anidride carbonica. Simili materiali sono studiati da circa 20 anni anche se dall’ultimo decennio c’è una vera e propria corsa alla ricerca perché c’è stata un’esplosione di applicazioni sempre più pratiche al di là di quelle ambientali.

Il vino in pericolo

Dalla possibile scomparsa dell’uva Merlot alla perdita di ulivi in Nord Africa, non c’è dubbio che gli impatti del cambiamento climatico saranno avvertiti dagli agricoltori di tutta la regione mediterranea. Per questo, gli scienziati stanno studiando nuove tecniche di coltivazione e previsioni climatiche accurate, in un’area che sta subendo aumenti della temperatura più rapidi della media, con possibili forti riduzioni di precipitazioni nel prossimo futuro. Già ora i produttori di vino ne sentono gli effetti. «Il cambiamento climatico non è solo qualcosa del futuro ma sta accadendo ora. Vediamo un aumento delle temperature medie, e questo ha già un impatto sulla coltivazione della vite», ha detto Josep Maria Solé Tasias, coordinatore di Visca, un progetto che studia le tecniche di potatura per aiutare i vigneti ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Temperature più elevate fanno maturare le uve troppo presto, prima che i loro aromi abbiano avuto la possibilità di svilupparsi completamente. Nel sud-ovest della Francia, le famose uve Merlot e Sauvignon blanc della regione di Bordeaux dovrebbero essere tra le prime vittime dei cambiamenti climatici e quindi i produttori di vino stanno testando varietà di uve più resistenti e più simili a quelle dell’Europa meridionale e orientale. Un’altra soluzione è trovare appezzamenti di terreno in posizioni più fredde più a nord del paese o a quote più elevate. «Ma per le piccole aziende vinicole sarà difficile fare investimenti così grandi», dice Solé Tasias. «Quindi Visca sta provando alcune tecniche agricole innovative per vedere se si possono ridurre al minimo i danni». Queste includono la “forzatura del raccolto”, che comporta la potatura delle viti in modo che le uve maturino il più tardi possibile. Ma decidere quando potare è difficile: troppo presto o troppo tardi nella stagione di crescita influirebbe notevolmente sul raccolto. Per questo Visca ha sviluppato previsioni stagionali che aiutino gli agricoltori a valutare i periodi migliori per applicare queste tecniche. Usano dati dettagliati sui vigneti, inclusi posizione, tipo di terreno e varietà di uva, per stimare quando le viti produrranno gemme o quando l’uva inizierà a maturare, oltre a prevedere temperature e precipitazioni. Ma a differenza delle previsioni meteorologiche a breve termine, che possono prevedere con precisione se ci sarà gelo o caldo nell’arco di 72 ore, le previsioni stagionali fino a sei mesi in anticipo sono molto meno certe. «E anche sapere come usarle è complesso», dice Solé Tasias. «Gli agricoltori al momento non sanno esattamente come confrontarsi con esse, in quanto sono abituati a prendere decisioni solo a breve termine». Una previsione stagionale potrebbe ad esempio dire che c’è il 60 per cento di probabilità che ci possa essere un’estate particolarmente calda. Se un agricoltore ritarda la maturazione delle proprie uve in base a questo presupposto, potrebbe perdere il raccolto se l’estate poi si rivela normale. Per aiutare gli agricoltori Visca lavora per creare un elenco di azioni basate su ciascuna previsione stagionale: ad esempio, acquistare più sostanze antiparassitarie per affrontare un possibile picco nel numero di parassiti o potare le viti per ritardare la vendemmia, ma anche per far fronte ai rischi finanziari associati a ciascuna opzione che potrebbe non andare a buon fine.

La maggior parte delle ricerche dicono che gli impatti a lungo termine dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo saranno gravi.

«Nei prossimi decenni quest’area potrebbe avere un aspetto molto diverso rispetto a oggi. Potremmo avere specie di animali o insetti completamente diverse che potrebbero arrivare dai tropici, e potremmo sperimentare la perdita della biodiversità locale», ha spiegato il dottor Alessandro Dell’Aquila, co-coordinatore del progetto Med-Gold, che sta sviluppando servizi climatici per produttori di pasta, olio d’oliva e vino. «Potremmo anche avere meno acqua disponibile, anche per scopi agricoli. E la regione potrebbe subire un numero maggiore di (gravi) ondate di calore». Parti d’Europa potrebbero aprirsi per la prima volta alla produzione di vino e olio d’oliva, mentre altre aree potrebbero vedere un collasso. «Ci sono alcune idee per spostare gli ulivi verso nord, in quanto alcune aree del Mediterraneo, ad esempio il Nord Africa, potrebbero diventare troppo calde». Allo stesso modo, mentre la produzione di vino si è recentemente ampliata nel Regno Unito e in Danimarca, alcuni vini dell’Italia meridionale potrebbero diventare estremamente rari entro il prossimo decennio.

© Riproduzione riservata