The answer is blowin’ in the wind, è il ritornello di una delle canzoni più famose di Bob Dylan del 1962, che ha dato luogo a diverse interpretazioni: la risposta se ne va nel vento, ascoltala nel vento, cercala nel vento, è nascosta nel vento, mentre il finale è inequivocabile: per quanto tempo si deve guardare in alto prima di riuscire a vedere il cielo? e quante orecchie bisogna avere prima di ascoltare la gente piangere? e quanti morti ci vorranno affinché si sappia che troppa gente è morta?

In tempi di crisi climatica e di pandemia gli interrogativi sono di stringente attualità e la gravità delle minacce non permette di lasciare le risposte nel vento.

Ma perché vengono invece lasciate al vento?

Scienza, politica ed economia

A fronte dell’allineamento del messaggio tra le principali agenzie e organismi scientifici sulla gravità dello stato degli ecosistemi e del cambiamento climatico è evidente la reazione sfasata del mondo politico ed economico.

Ma oltre che registrare lo scarso impegno nel considerare le prove disponibili non si può evitare di interrogarsi sulle cause.

In discussione infatti ci sono equilibri naturali e condizioni esistenziali di vitale importanza per il futuro prossimo e, almeno sulla posta in gioco e sull’urgenza, il corpo delle conoscenze acquisite dovrebbe permettere una convergenza dei soggetti con responsabilità di governo.

Dal Summit per la terra di Rio de Janeiro nel 1992, alla prima COP sui cambiamenti climatici tenuta nel 1995 a Berlino, dopo tante conferenze e tante speranze, la 21esima Conferenza delle Parti di Parigi del 2016 aveva segnato un primo grande risultato con un patto climatico globale e condiviso. Da allora si sono accumulati risultati scientifici sempre più solidi e, viceversa, si è andato indebolendo l’impegno a rispondere alla crisi globale, fino alle deludenti COP26 di Glasgow 2021 e COP27 di Sharm el-Sheikh 2022.

I dati disponibili

Eppure i dati disponibili sulle modificazioni indotte dalle attività antropiche non dovrebbero lasciare adito a sottovalutazioni, basta qualche esempio: all’inizio dell’agricoltura c’erano circa 6.000 miliardi di alberi e oggi sono la metà; i pesci allevati sono oltre 80 milioni di tonnellate, pari a quelli prelevati dalla pesca; le popolazioni animali sono diminuite di circa il 60 per cento solo negli ultimi 40 anni; l’85 per cento della popolazione mondiale vive nei centri urbani e le 300 città più grandi ne contengono il 22 per cento; per il periodo 2030-2050 l'Organizzazione mondiale della sanità stima oltre 250mila decessi all’anno anno in più nel mondo a causa del cambiamento climatico; le stime dell’aumento di malattie per ogni grado in più di temperatura sono impressionanti: oltre il 3 per cento di mortalità cardiovascolare e mortalità respiratoria.

L’iniziativa Countdown (conto alla rovescia!) della prestigiosa rivista scientifica The Lancet offre da tempo dati aggiornati e messaggi che mettono la salute al centro delle azioni sui cambiamenti climatici. Nel Rapporto 2022 sono riportati numeri che parlano da soli a proposito della posta in gioco:

Anziani e bambini sono stati esposti a 3,7 miliardi di giorni in più di ondate di calore potenzialmente letali nel 2021 rispetto al periodo 1986-2005, con colpi di calore e altri effetti avversi per la salute fisica e mentale;

L'esposizione umana a giorni di elevato pericolo di incendio è aumentata nel 61 per cento dei Paesi nell’ultimo ventennio;

Nel decennio 2012-21 la superficie globale colpita da siccità estrema per almeno un mese l'anno è stata del 29 per cento in più rispetto al cinquantennio precedente.

Il cambiamento climatico influenza la distribuzione e la trasmissione di molte malattie infettive (esempio, le condizioni favorevoli alla trasmissione della Dengue è aumentata di circa il 12 per cento dal 1951-60 al 2012-21).

Gli stessi ricercatori accompagnano i dati con messaggi:

  • Il cambiamento climatico sta esacerbando l'insicurezza alimentare, gli impatti sulla salute da caldo estremo, le epidemie di malattie infettive e gli eventi meteorologici estremi pericolosi per la vita;
  • I governi continuano a sovvenzionare i combustibili fossili con centinaia di miliardi di dollari all'anno, importi paragonabili ai loro bilanci sanitari, mentre non ci sono fondi sufficienti per la transizione spedita verso un'energia accessibile, sana e a zero emissioni di carbonio;
  • I decisori possono ancora realizzare sistemi energetici più resilienti, salvando almeno 1,2 milioni di vite grazie a un'aria più pulita, 11,5 milioni di vite grazie a diete più sane, riducendo la povertà energetica e creando città più sane e vivibili.
  • Infine, cosa molto importante, c’è accordo nel ritenere che gli impatti ambientali riguarderanno soprattutto i sottogruppi più vulnerabili, con un aumento delle diseguaglianze di genere, della marginalizzazione sociale ed economica, dei conflitti e delle migrazioni.

L’opinione pubblica è sempre più sensibile ai temi ambientali, ad esempio nel sondaggio di Eurobarometro del 2021, il 93 per cento degli intervistati considera il cambiamento climatico un problema grave e il 78 per cento molto grave, mentre viene ritenuto il problema più grave che il mondo deve affrontare.

I tanti dati a disposizione sia sulle previsioni sia sui danni già osservati, sebbene scioccanti, non sembrano impressionare sufficientemente chi dovrebbe usarli per politiche pubbliche. Evidentemente i gruppi di potere si sentono così forti da mettere a tacere anche fenomeni che potrebbero portare al taglio del ramo su cui sono seduti, oppure pensano di poter cambiare ramo.

Viene in mente il XXVI canto dell'Inferno dantesco, in cui Ulisse racconta il proprio peccato di hybris (cioè orgogliosa tracotanza del potere) per essersi spinto con la propria nave troppo oltre le colonne d'Ercole fin quasi a raggiungere il purgatorio.

Insieme alla messe di dati e nozioni occorre alfabetizzare anche su concetti e ragionamenti.

La grande accelerazione

La “grande accelerazione” avvenuta dopo la seconda guerra mondiale ha portato da una parte ad aumenti della produttività economica e miglioramenti di salute e condizioni materiali per larghe fasce di popolazione, dall’altra a impatti ambientali che determinano condizioni diverse da quelle degli ultimi 10.000 anni: si può pensare che questo esperimento con il futuro della civiltà umana non sia straordinariamente pericoloso?  E se si, sulla base di quali prove scientifiche? Infatti, anche per contrastare o falsificare una ipotesi occorre avere in mano ipotesi alternative, solide e non fantasiose.

Per quali motivi i risultati scientifici vengono poco o niente considerati per prendere decisioni?

Quattro elementi di riflessione a cascata:

  • Nella società capitalistica consumistica il valore dominante è l’economia, con l’assioma della crescita lineare senza limiti, che pervade anche i Paesi ad economia pianificata, in cui i giganti economici sotto il controllo del potere centrale corrono con la stessa impostazione, producendo pari o peggiori danni ambientali. Come uscire da questo sistema? Tante sperimentazioni in corso possono dare le prime risposte a questa domanda cruciale. A patto di evitare impostazioni tecno-ottimistiche o semplificazioni che non vedono l’indissolubile connessione tra transizione ecologica e sociale;
  • La cultura generale e quella scientifica in particolare sono deboli, nutrite con moltitudini di dati e nozioni più che con la capacità di collegare, mettere in relazione, prendersi cura. Costruire una cultura equilibrata su scienza e tecnica diventa essenziale per incidere sul cambiamento climatico;
  • Lo stupore e la paura del pericolo non vanno evitati, ma indirizzati per accrescere la consapevolezza e per fornire elementi utili alla risoluzione dei problemi;
  • Non sono ancora disponibili luoghi e sedi adeguati a far dialogare scienza e politica a livelli che siano appropriati a prendere decisioni, stanze di ascolto e camere di compensazione di interessi, che potrebbero rivelarsi solo apparentemente lontani. Vanno trovate.

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