Erano migliaia i giovani attivisti per il clima che hanno sfilato venerdì 1 ottobre per le strade di Milano dal Castello Sforzesco fino al Mico per chiedere giustizia climatica ai grandi della Terra. 

La manifestazione è iniziata al termine dei lavori di Youth4Climate, l’evento organizzato da Onu e governo italiano che riunisce 400 giovani delegati da tutto il mondo con l’obiettivo di produrre un documento di richieste ai ministri della Pre-Cop26.  

Ma fuori dai palazzi dei delegati ufficiali c’è un intero mondo di attivisti che è rimasto inascoltato e che oggi tornerà a far sentire la sua voce alla “Global March for Climate Justice”. Dal corteo sarà presentato un contro-documento dal titolo la “Dichiarazione per il futuro” che risponde a quello ufficiale prodotto nelle sale del Youth4Climate.  

«Le nostre proposte coincidono con le indicazioni della scienza e con le misure necessarie a rendere questa transizione davvero giusta. Sono proposte necessarie, note da decenni, ma di cui talvolta la politica fa finta di dimenticarsi», afferma Filippo Sotgiu, tra i portavoce nazionali di Fridays for future.

Il documento è il frutto di oltre 3 giorni di lavoro, discussioni e dibattiti all’interno della Climate Open Platform, rete che riunisce oltre 130 realtà tra cui solo per citarne alcune: Fridays for future, Greenpeace, Legambiente, WWF, A Sud, Associazione Terra!, Mani Tese, Per il clima, fuori dal fossile!, ActionAid, Isde, Fondazione Finanza Etica, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, Rete della Conoscenza, Libera.  

Rispetto alle soluzioni un po’ edulcorate prodotte dai giovani delegati internazionali qui si scende nel merito delle proposte, con richieste specifiche su diversi assi tematici: diritti umani; acqua, cibo e risorse; lavoro ed energia; economia e finanza; saperi; città, territori e comunità per una transizione sistemica.  

I 400 di Y4C hanno chiesto ai governi un maggiore un maggiore coinvolgimento dei giovani nelle decisioni relative alle politiche sui cambiamenti climatici e una transizione energetica rapida con investimenti su rinnovabili e efficienza energetica, una finanza per il clima che regoli le emissioni di CO2 e misure per creare una società più consapevole dei cambiamenti climatici che punti su educazione e coinvolgimento delle comunità locali.  

Le richieste che oggi arriveranno, invece, dagli attivisti per il clima si spingono oltre e pretendono azioni specifiche molto più radicali.  Sul fronte dei diritti umani nel documento si chiedono azioni forti come il riconoscimento nella normativa a livello internazionale del diritto umano al clima, il finanziamento immediato del Green Climate Fund e la cancellazione del debito dei paesi più poveri.  

Ad oggi «gli strumenti di governance climatica non vincolano i soggetti privati ma soltanto gli Stati. Il riconoscimento nel diritto internazionale del diritto umano al clima è necessario per costringere gli Stati e le imprese a prendersi le loro responsabilità» afferma Marica Di Pierri, portavoce di A Sud.

Acqua, energia e giustizia

Sul fronte energetico si chiede la fuoriuscita dal carbone entro il 2025, di contro al 2030 dei delegati, precisando che la transizione energetica non deve essere realizzata attraverso nuove centrali a gas o con false soluzioni come l’idrogeno blu derivato dal gas.  

Per quanto riguarda il tema delle risorse le idee sono chiare: si domanda il loro ritorno alla gestione pubblica con politiche che promuovano l'agroecologia contadina, la riduzione dei consumi idrici e la ristrutturazione delle reti.  

Anche sul fronte ci sono punti di intervento precisi: stop al sistema del merito che svilisce la formazione a privilegio di pochi, “prodotto di quel modello neoliberista che ha creato l’attuale emergenza climatica” un’uscita immediata delle aziende inquinanti da scuole e università.  

«È necessario che scuole e università assumano un ruolo di guida nella transizione ecologica non solo del mondo industriale ma di tutta la società. Il settore pubblico che deve spingere affinché la transizione sia cosa di tutti», afferma Arianna Petrosino, coordinatrice di Rete per la conoscenza.  

Sul tema lavoro, poco presente nella riflessione dei delegati, si ribadisce il no ad una “transizione ecologica” come alibi per giustificare i processi di ristrutturazione aziendale. Tra le richieste: una legge contro le delocalizzazioni che impedisca di decentrare la produzioni in Paesi con scarsa tutela del diritto del lavoro e dell’ambiente.

E infine la finanza: una carbon tax globale e una  tassa sulle transazioni finanziarie degli speculatori, che trasferisca il denaro dalla speculazione a progetti di mitigazione e di adattamento.

Un documento che ha saputo offrire una sintesi delle tante realtà che ogni giorno si battono per giustizia climatica sul territorio e che esprime una visione del mondo in chiave ecologista. «Le soluzioni ci sono, le proposte anche. Vediamo adesso sei il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani si degnerà di ascoltarle», conclude Renato Di Nicola della rete nazionale Per il clima, fuori dal fossile. 

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