Siamo da tempo alle prese con esempi disparati di negazionismo scientifico, cioè di negazione di fenomeni fisici e naturali descritti sulla base di studi rigorosi, come è il caso del cambiamento climatico o meglio della crisi climatica.

Il negazionismo scientifico, e climatico in particolare, è insidioso perché ha l’obiettivo di instillare il dubbio che le prove siano deboli e incomplete, di rafforzare lo scetticismo, alimentare la sfiducia verso la scienza e la sottovalutazione politica.

L’elefante nella stanza

Nonostante la mole enorme e la qualità indiscutibile dei risultati scientifici conseguiti sulla crisi climatica e sulle responsabilità delle attività umane nell’arco degli ultimi decenni, si sono continuate a registrare voci dissonanti.

A proposito del recente studio di World Weather Attribution sull’alluvione in Emilia Romagna dal titolo “Limitato ruolo netto del cambiamento climatico nelle forti precipitazioni primaverili in Emilia-Romagna”, si sono levate sia posizioni a supporto del negazionismo climatico sia voci critiche perché le variabili considerate erano scarse.

Si tratta di due facce della stessa medaglia, poiché, come giustamente sottolineato da Ferdinando Cotugno su Domani, «lo studio non smentisce l’esistenza di un’emergenza climatica e la necessità di frenare velocemente l’aumento delle emissioni di gas serra: il problema è come la complessità della scienza viene ricevuta nel dibattito italiano e come il negazionismo di media e politica possa sfruttare questo studio».

Il World Weather Attribution è un gruppo di ricerca fondata nel 2014, formato da prestigiose istituzioni accademiche e di ricerca, con la missione di produrre rapporti in tempi rapidi, per dare indicazioni di intervento; il campo specifico è lo studio della probabilità che gli eventi estremi (ondate di calore, siccità, tempeste) possano essere attribuiti al cambiamento climatico.

Infatti, nelle conclusioni del citato rapporto sull’alluvione recente si suggeriscono «misure di adattamento a eventi estremi (ad esempio siccità, calore, inondazioni) che hanno anche co-benefici per il benessere della società e la biodiversità e che possono aumentare la resilienza di questa regione agli eventi estremi futuri. Le soluzioni basate sulla natura, la protezione sociale e il miglioramento della pianificazione urbana sono solo alcuni esempi».

Contro ogni evidenza logica, l’elefante nella stanza a volte non è sufficiente di per sé e deve essere indicato e compreso. È interessante ricordare la distorsione cognitiva, nota come “effetto Dunning e Kruger”, nella quale individui poco esperti e poco competenti in un certo settore tendono a sovrastimare la propria preparazione nel settore stesso, addebitando le  valutazioni negative come a un giudizio errato sulla propria persona, non sull’argomento trattato.

Negazionismo non da oggi

È utile ricordare che già nel 1972 usciva il Rapporto sui limiti della crescita, meglio noto come Rapporto Meadows, voluto dal Club di Roma istituito nel 1968, e che dal 1990 al 2022 si sono succeduti sei rapporti del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (Ipcc).

Nel secolo scorso il dibattito si era polarizzato tra le conseguenze previste dai sostenitori della scarsità delle risorse naturali (erano gli anni della crisi petrolifera e dei mercati cerealicoli) e quelle dei fiduciosi sostenitori dello sviluppo tecnologico per superare le crisi, ma veniva anche posto con forza il problema dei limiti fisici del modello di sviluppo e consumo. Dal 1990 i rapporti dell’Ipcc, delle agenzie dell’Onu (Unep sull’ambiente, Oms sulla salute), dell’Unione europea, di riviste scientifiche come il Lancet Countdown (conto alla rovescia!), basati sull’analisi sistematica della letteratura scientifica, costituiscono una base così rilevante da far sostenere all’Oms che il cambiamento climatico è la minaccia più importante per l’umanità intera.

Gli scenari previsti per aumenti di temperatura planetaria fino a 1,5 °C, e per temperature superiori, sono corredati di limiti di incertezza previsionale ma, e qui sta il punto chiave, anche assumendo lo scenario più ottimista, le conseguenze previste vanno dal grave al disastroso.

La presa di coscienza di tale dimensione è ancora debole, così come la consapevolezza della fallacia del paradigma della crescita illimitata come unico criterio di sviluppo.

Molte interviste del 5 giugno, Giornata mondiale dell’ambiente, erano caratterizzate da genericità e si ponevano obiettivi minimali, come l’uscita dal carbone entro pochi anni, a fronte della necessità documentata di uscire al più presto dalla dipendenza dal petrolio e dal metano.

In questo contesto di consapevolezza ancora insufficiente tutto ciò che insinua dubbio e amplifica l’incertezza sui fenomeni e sui metodi per contrastarli, come il negazionismo climatico, è rischioso e non va trascurato.

Posizioni basate sulle prove

Le opinioni negazioniste sono più insidiose rispetto al rifiuto che è un atteggiamento personale, perché l’atto di negare implica che qualcosa sia falso o errato. Conta molto anche la fiducia nella scienza, che dipende da fattori socio-economici, culturali, politici, dalle opportunità di formazione, che a loro volta influiscono sulle capacità critiche, sull’affidamento o reverenza rispetto alle fonti informative e alle istituzioni.

Ci sono studi interessanti nel mondo anglo-sassone che hanno misurato una maggiore fiducia verso le prove scientifiche da parte di rappresentanti liberali rispetto ai conservatori, legata alla diversa accettazione di alcune fonti rispetto ad altre. Non basta quindi che la scienza sia corretta e efficace per garantire una larga fiducia verso di essa e togliere terreno al negazionismo, ma occorre anche che la comunicazione scientifica sia ampia, garantita da strutture, sedi, luoghi adeguati e partecipati. Luoghi “densi” dove spiegare le differenze tra opinioni e fatti, tra interpretazioni soggettive più o meno basate su dati e posizioni basate su prove scientifiche accreditate.

La differenza di fondo sta nelle prove e nei metodi per formularle: temi duri da spiegare e tutt’altro che popolari, ma che devono e possono essere spiegati non solo ai cittadini ma con i cittadini, attraverso esperienze di citizen science o cittadinanza scientifica per dirla con Pietro Greco.

Mercanti di dubbi

Seminare dubbi e dividere l’opinione pubblica è l’obiettivo principale dei negazionisti, definiti «mercanti di dubbi» nel libro fondamentale di Oreskes e Conway del 2010. Costoro lo fanno da sempre in modo più o meno sofisticato, fornendo o meno prove a discredito della tesi criticata: la storia è ricca di esempi, dalla nocività del tabacco, all’amianto e ai pesticidi, oggi ai cambiamenti climatici. Occorre sempre fare attenzione e svelare chi sono gli scienziati-mercanti, a volte non competenti, altre volte cultori di materie non attinenti, altre volte ancora con conflitti di interessi spesso non dichiarati.

Quando invece vengono posti elementi critici scientificamente supportati siamo ben lontani dal negazionismo e si accetta la sfida di un percorso virtuoso necessario per la crescita della conoscenza.  

Nella comunicazione scientifica occorre non trascurare il rigore dei metodi ancora prima dei risultati, senza stancarsi di fronte a critiche spesso ripetitive e inconsistenti.

I temi ricorrenti dei negazionisti sono:  «il pianeta non si sta surriscaldando», sulla base di osservazioni su breve scala temporale che risentiranno di ben altra variabilità tra anni; «i modelli previsionali sono incerti e dicono cose diverse», al contrario sono validati e allineati; «ci sono fenomeni estremi in controtendenza e che ci sono sempre stati», mentre invece il problema principale sta proprio nell’accelerazione degli eventi; «le concentrazioni riscontrate di CO2 non sono pericolose per la salute umana», tacendo sul loro impatto ambientale; «le misure per ridurre l’inquinamento sono troppo costose», mentre è ampiamente dimostrato che i costi sarebbero di gran lunga inferiori rispetto ai risparmi indiretti, oltre che ai benefici e co-benefici.

La gravità della fase esige una assunzione straordinaria di responsabilità: gli scienziati sono chiamati non solo a operare con rigore ma anche a contribuire fattivamente alla comunicazione pubblica, i politici a considerare la buona scienza e promuovere la partecipazione, i decisori a prendere decisioni basate sulle prove oppure a dichiarare in modo trasparente perché non lo fanno.

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