Se potessimo rallentare il nostro bioritmo fino ad entrare in letargo potremmo respingere una notevole gamma di minacce, dall’interno del nostro organismo e dall’esterno. Il freddo estremo e la carestia sono quelli ovvi, ma sembra che il letargo abbia anche il potere di combattere alcune condizioni che affliggono gli esseri umani di oggi, tra cui il morbo di Alzheimer, l’ictus e l’infarto. Il letargo potrebbe anche contenere la chiave della longevità e della colonizzazione dello spazio. Non c’è da stupirsi allora, perché alcuni ricercatori siano desiderosi di ripristinare quella che potrebbe essere stata una caratteristica che forse avevano specie a noi affini vissute tanto tempo fa.

Va subito detto che l’idea che ominidi antichi fossero in grado di ibernarsi può sembrare inverosimile, ma prove crescenti suggeriscono che molti mammiferi non ibernanti conservano la capacità di entrare in stati di energia ridotta che in qualche modo assomiglia all’ibernazione.

«La distribuzione delle specie che vanno in letargo sull’albero dei mammiferi porta alla possibile conclusione che l’antenato comune di tutti i mammiferi fosse un animale che andava in letargo», afferma Sandy Martin dell’università del Colorado.

«E dunque è possibile che tutti noi abbiamo l’hardware genetico». Resta da vedere se i circuiti sottostanti possono essere attivati così da conferirci alcune delle proprietà protettive dell’ibernazione. Ma i potenziali risultati sono troppo grandi per non provarci. Il letargo è associato soprattutto a piccoli mammiferi, come ghiri, ricci e pipistrelli, pur con le dovute eccezioni come gli orsi ad esempio, ma è comune anche tra rettili, anfibi e persino insetti.

Letargo e ibernazione

Ma prima di proseguire, esiste una differenza tra letargo e ibernazione? Si c’è, per chi li studia in modo approfondito. In tedesco, turco e molte altre lingue, ibernazione si traduce letteralmente in “sonno invernale” ed in effetti ha una vaga somiglianza con questo. Ma confrontare il letargo con il sonno è come confrontare le mele con le arance, secondo Vlad Vyazovskiy dell’università di Oxford, che studia entrambi. «Ci sono criteri per definire il sonno e sono puramente incentrati sul cervello, mentre l’ibernazione è definito in base al metabolismo», afferma. «Ciò significa che, tecnicamente, puoi essere sveglio e in letargo o addormentato e in letargo». In sostanza, il letargo è incentrato su uno stato chiamato “torpore”, dove un animale diminuisce la sua attività fisiologica, caratterizzata da una riduzione della temperatura corporea e del metabolismo.

La durata del torpore e quanto profondo può essere varia enormemente. L’abbassamento della temperatura corporea può essere notevole e durare settimane oppure breve e comportare una diminuzione di pochi gradi. La riduzione metabolica che ne consegue può essere, di conseguenza, quasi totale o solo del 10-20 per cento. Inoltre, alcuni ibernanti entrano ed escono regolarmente dal torpore, mentre altri rimangono metabolicamente letargici per un lungo periodo.

E quel che è interessante è il fatto che: «Tra i mammiferi in letargo, c’è un continuum di ibernazione», afferma Matthew Regan dell’università di Montreal, in Canada. Ad un’estremità c’è lo “scoiattolo di terra a 13 righe” (Ictidomys tridecemlineatus), uno degli ibernanti più studiati, che abbassa la sua temperatura corporea in cicli successivi di torpore e risveglio fino a raggiungere la temperatura dell’ambiente in cui si trova.

Può rimanere in questo stato senza cibo o acqua per più di sei mesi, sospendendo molte funzioni corporee e riciclando i nutrienti chiave attraverso processi appositamente adattati. All’altra estremità del continuum vi sono specie di grandi dimensioni come gli orsi. L’orso nero (Ursus americanus), ad esempio, abbassa la sua temperatura interna di non più di 6°C circa e riduce di un quarto il suo fabbisogno metabolico, un risparmio significativo per un calo di temperatura così modesto.
«Gli orsi evidenziano altri mezzi di soppressione metabolica che sono indipendenti dalla temperatura interna. E questi meccanismi sono davvero poco conosciuti», afferma Kelly Drew dell’università dell’Alaska a Fairbanks. La maggior parte degli esperti ritiene che se mai l’uomo dovesse riuscire ad entrare in uno stato di torpore artificiale, sarebbe simile a quello di un letargo meno estremo.
«Non è possibile pensare che gli esseri umani possano scendere ai livelli dei piccoli mammiferi, ma si può ottenere un enorme risultato dalla riduzione metabolica simile a quella di un orso», afferma Hannah Carey dell’università del Wisconsin.
Potrebbe essere estremamente utile per i viaggi spaziali a lunga distanza. Per cominciare, è necessario capire quali sono gli strani processi che accadono all’interno dei corpi degli ibernanti. I più importanti risultati, da che si studia il fenomeno, sono arrivati negli ultimi anni, soprattutto per quel che riguarda l’identificazione dei geni coinvolti.
Martin è un pioniere di questa ricerca. Per decenni ha raccolto e congelato campioni di tessuto prelevati da un’ampia gamma di mammiferi durante il loro letargo. «L’idea è che la banca dei tessuti sia accuratamente programmata, in modo da ottenere informazioni sui livelli dei prodotti genici, che cambiano durante i momenti di torpore e cambiano molto rapidamente durante il periodo di riscaldamento», afferma.

La ricerca

Martin si è imposto di analizzare i campioni di tessuto nei vari momenti della vita di un animale per identificare i geni che attivano gli interruttori che controllano l’ibernazione. Una volta individuati, questi geni potrebbero essere studiati e modificati nell’uomo per imitare le proprietà benefiche conferite dall’ibernazione.
Quando Martin ha avviato la sua banca dei tessuti, la mancanza di tecnologia e risorse rendeva tutto questo estremamente difficile. Ma adesso le cose sono diverse. I progressi sono stati particolarmente notevoli in un’area di ricerca chiamata “genomica comparativa”, che confronta i genomi completi di specie diverse per identificare geni importanti.

Martin si è ritirata dalla ricerca attiva quest’anno, ma ha trasmesso il suo tesoro a una delle sue ex studentesse, Katherine Grabek, che ha co-fondato una start-up di genomica comparativa con sede in California chiamata Fauna Bio. Grabek e il suo team stanno utilizzando i risultati della banca dei tessuti, insieme a una serie di altre informazioni, per dare vita a farmaci in grado di replicare i benefici dell’ibernazione.
Ad esempio, lo scoiattolo di terra a tredici righe ricicla la sua urea per preservare i nutrienti, pulisce le placche cerebrali dannose comunemente associate all’Alzheimer negli esseri umani, mitiga la sensibilità all’insulina che deriva da un enorme aumento di peso prima dell’inverno e sembra non avere conseguenze negative da forti picchi e depressioni della pressione sanguigna quando esce dal letargo.
Confrontando il suo genoma con quello di oltre 50 altri mammiferi che si ibernano e non, Grabek e il suo team hanno già identificato molecole che sembrano proteggere dall’ipertensione, dalla malattia coronarica e dalle infezioni cardiache.
Sperano di identificare molecole associate ad altre condizioni che influenzano la salute umana e alla fine di utilizzare questi risultati per progettare farmaci terapeutici. Altri potenziali guadagni per la medicina provengono dalla ricerca che mira a comprendere i cambiamenti che accadono nel cervello degli ibernanti.

L’adenosina

Gran parte dell’attenzione si è concentrata su un neurotrasmettitore chiamato adenosina, che, tra le altre cose, è collegato al sonno: quando l’adenosina si lega ai recettori nell’ippocampo del cervello, l’attività neurale rallenta e ci si sente assonnati.

Nel 2011, quando Drew e i suoi colleghi somministrarono agli scoiattoli di terra artici farmaci che attivano o sopprimono queste vie dell’adenosina, gli scoiattoli entravano ed uscivano spontaneamente da stati di torpore.

Ma c’era un problema: funzionava solo in inverno, quando gli scoiattoli erano già pronti per il letargo. Il perché sembrava rimanere un mistero. Drew e il suo team tuttavia, si sono chiesti quale effetto potrebbe avere avuto l’adenosina sui mammiferi che non vanno in letargo.
Per scoprirlo, da allora hanno fatto esperimenti simili con i topi. Questi non hanno prodotto gli effetti metabolici completi osservati negli scoiattoli, ma il team ha scoperto che l’aumento dell’assorbimento di adenosina nel cervello dei ratti ha abbassato la loro temperatura corporea interna.
Inoltre, con l’assunzione di adenosina, non si sono verificati gli effetti avversi solitamente associati all’ipotermia, come i brividi e lo stress metabolico. «È davvero eccitante, perché il meccanismo dell’adenosina è straordinariamente efficace», afferma Drew. Il suo entusiasmo è legato al fatto che, negli esseri umani, l’ipotermia indotta è usata per curare l’arresto cardiaco – e ha il potenziale anche per curare l’ictus – ma i farmaci attualmente somministrati per sopprimere i brividi non funzionano a temperature molto basse.

Gli ibernanti vivono più a lungo dei non letargo della stessa taglia e nuove ricerche su pipistrelli e marmotte mostrano che, durante il letargo, i loro corpi invecchiano più lentamente. Ciò suggerisce che una migliore comprensione del torpore potrebbe fornire nuove informazioni ai ricercatori anti-invecchiamento. In futuro, potrebbero essere creati farmaci che potrebbero influenzare l’attività neurale coinvolta nell’ibernazione.

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