Non sono bastate le circa 7.000 email inviate al Quirinale dagli attivisti per frenare la firma del cosiddetto decreto “eco-vandali” da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Un’ulteriore stretta nei confronti di chi protesta contro le attuali politiche ambientali e climatiche e una presa di posizione da parte del governo che manda un messaggio a tutto il mondo dell’attivismo: chi manifesta, deturpa il patrimonio artistico e culturale, blocca il traffico, può essere punito con multe salatissime (si arriva fino ai 60mila euro), rischiando anche fino a cinque anni di carcere.

Le legge, voluta dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e passata al Senato già a luglio dello scorso anno, è stata pubblicata in gazzetta ufficiale il 22 gennaio.

«Oggi è una bella giornata per la cultura italiana e, in particolare, per il patrimonio artistico e architettonico della nazione», ha commentato il ministro in una nota ufficiale. «D’ora in poi, chi arrecherà dei danni al patrimonio culturale e paesaggistico sarà costretto a pagare di tasca propria il costo delle spese per il ripristino integrale delle opere».

Presa di posizione 

Il ddl segna un passaggio fondamentale per la libertà di manifestazione e protesta non violenta nel nostro paese. Nonostante non siano mancati negli ultimi mesi gli arresti, i fogli di via e i processi per direttissima nei confronti di chi protesta.

Ne è un esempio la condanna dei tre attivisti di Ultima Generazione che hanno subito una pena di sei mesi – successivamente sospesa – per i reati di violenza privata e interruzione di pubblico servizio.

Assolti per danneggiamento aggravato, manifestazione non autorizzata e violazione di fogli di via, il giudice – e questa forse è la novità - ha riconosciuto le circostanze generiche «dell’aver agito per un alto valore morale».

«È ridicolo che sia stata tutta questa prontezza per creare un ddl ad hoc nei confronti del movimento», commenta Laura Paricini, attivista di Ultima Generazione. «Le pene per questi reati ci sono già. Solo che ora sono ancora più severe». Lo dimostra la misura cautelare nei confronti dei 12 attivisti arrestati, per tre giorni tenuti in carcere e tuttora sottoposti al provvedimento di obbligo di dimora per il blocco stradale a Fiumicino dello scorso 4 dicembre.

Una stretta che sembra andare in una sola direzione: quella di bloccare sul nascere le possibili iniziative e di minare l’idea stessa di protesta, dato che il rischio di incorrere in sanzioni spesso spropositate rispetto agli atti compiuti è oggi reale. «Sappiamo che nel momento in cui avviene una repressione e perché stiamo andando nella direzione giusta», aggiunge Paricini. «Avevamo messo in conto che sarebbe arrivato un momento del genere».

In cerca di un “nemico”

Dopo l’appello al presidente Mattarella, che pure nel discorso di fine anno dichiarava che «I giovani si sentono fuori posto. (...) Un disorientamento che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa», molti tra loro si chiedono il motivo dell’astio di una certa classe dirigente nei confronti degli attivisti.

«Perché il nostro governo non vede l’ora di scagliarsi contro noi attivisti per il clima, inasprendo le pene, con processi che come accade nella maggioranza dei casi decadono?», si chiede Carlotta Sarina, giovane attivista e musicista. «Perché diventa invece conciliante con i trattatori che bloccano il traffico? Il nostro messaggio non è così chiaro?». Domande lecite, che riassumono un pensiero piuttosto chiaro: «Limitare la libertà di espressione a fasi alterne è una minaccia per la nostra democrazia».

Il mondo dell’attivismo infatti si sta mostrando più come un vero e proprio movimento culturale, nato dal basso e che, come nel caso di Sarina, promuove la discussione e la riflessione anche attraverso l’arte.  «A Venezia mentre gli attivisti parlavano siamo stati insultati dai passanti. Ma quando ho iniziato a suonare il contrabbasso sono tutti rimasti in silenzio. È stato emozionante».

Un concerto improvvisato sul Canal Grande tinto di verde (con l’innocua fluoresceina sodica), come accadde nel 1968, quando l’artista ecologista argentino Nicolás García Uriburu, colorò di smeraldo il canale principale della città lagunare.

Insomma era già successo, ma nel frattempo è cambiato il modo in cui l’opinione pubblica giudica queste iniziative, che pur sono divisive e oggettivamente polarizzanti.

Ma Sarina, nonostante la giovane età, sembra avere le idee chiare. «La reazione alle proteste dovrebbe essere il dialogo. Invece di reprimere le nostre voci, ci aspetteremmo che le istituzioni aprissero le porte per discutere ciò che chiediamo». E lancia un’idea, una proposta a tutto il mondo dell’attivismo, che potrebbe fare da ponte con chi si sente colpito da un certo modo di protestare.

«Non possiamo dare la colpa a chi non ascolta, dobbiamo cambiare metodo di comunicazione. La musica e l’arte in generale possono aiutare. La nostra voce sia lo strumento migliore per mandare un messaggio a tutti».

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