La comunicazione della Commissione europea è arrivata allo stesso tempo come una sorpresa, come una smentita dell’atmosfera che si respira da due anni nell’Unione e come uno sprone politico a fare meglio: l’Ue è a un solo punto percentuale dal raggiungere i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra al 2030.

E ora che la rotta sembra salda, la partita sarà tutta spostata sul 2040: a breve i 27 paesi dovranno trovare il modo di mettersi d’accordo sul prossimo gradino, quanto decarbonizzare nei prossimi 15 anni. La raccomandazione della scienza (in particolare dell’Esabcc, European Scientific Advisory Board on Climate Change) e la scelta della Commissione sono entrambe fissate su un numero piuttosto ambizioso: tagliare le emissioni del 90 per cento.

Per mesi è sembrato improbabile che in questa situazione politica i paesi scegliessero una strada così pro-clima, ma la Commissione sembra ancora orientata a mantenere questo orizzonte, nonostante diversi paesi (tra cui l’Italia, qualche settimana fa, per bocca del ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin) abbiano chiesto un più moderato 80 o almeno 85 per cento di taglio.

L’analisi dei risultati 

A presentare il risultato al 2030 era stata la vice-presidente della Commissione, Teresa Ribera, volto europeo del clima insieme all’olandese Woepke Hoekstra: «Siamo in grado di confermare il nostro impegno di mantenerci in linea con gli obiettivi climatici», ha detto Ribera. «Questo risultato mostra come l’agenda verde porti investimenti e prosperità, e che siamo in grado di gestire il percorso di decarbonizzazione».

L’analisi della Commissione parte dai 27 piani nazionali energia e clima: se tutti gli impegni presi dai paesi venissero mantenuti (ed è comunque un «se» non del tutto trascurabile), la riduzione delle emissioni al 2030 sarebbe del 54 per cento, vicinissimo a quel 55 per cento che era l’obiettivo fissato dall’Ue.

Per la Commissione, questo risultato è la prova che la via europea sta funzionando, nonostante le difficoltà del contesto politico internazionale e interno, e che non va abbandonata. Il Green Deal si sta dimostrando un progetto resiliente e flessibile, e la flessibilità è anche la strategia di Ursula von der Leyen per convincere i paesi a sposare l’idea di una Unione climaticamente ambiziosa anche oltre il 2030, accettando la riduzione delle emissioni del 90 per cento.

La nuova versione del 90 per cento proposto dalla Commissione potrebbe includere le tecnologie di rimozione della CO2 dall’atmosfera (un’opzione che parte della comunità scientifica e tutto l’ambientalismo rigettano) così come i crediti di carbonio generati secondo il nuovo meccanismo coordinato dalle Nazioni Unite, quello frutto degli accordi della Cop29. Sono due modi per mantenere l’obiettivo, rendendolo allo stesso più facile da raggiungere.

Nuovi equilibri 

Ci sarà anche un nuovo contesto politico in Europa: dal 1 luglio la presidenza di turno passerà dalla Polonia alla Danimarca, uno dei paesi più climaticamente ambiziosi dell’Unione. I risultati delle elezioni in Polonia saranno un altro ago della bilancia, la Polonia è un paese dalla transizione difficile (per il fortissimo legame col carbone ma anche per una delle destre più negazioniste del continente).

Intanto, la ministra della transizione ecologica francese Agnes Pannier-Runacher ha incontrato a Pechino l’ex inviato della Cina per il clima Xie Zhenhua, che di recente ha ricevuto un ruolo ufficiale di facilitatore per la Cop30 in Brasile. Sono prove tecniche di una nuova leadership climatica Europa-Cina? Molto dipende da quando e come l’Ue presenterà il suo Ndc, l’impegno climatico previsto dall’accordo di Parigi.

Dai contenuti di questo Ndc, che sarebbe dovuto essere stato già annunciato ma sul quale i conflitti interni all’Unione hanno causato parecchi ritardi, dipenderà molto della credibilità europea nei confronti dei paesi sud globale, che saranno pronti a fidarsi dell’Ue solo se e quando si dimostrerà in grado di essere coerente nel lungo termine sulle proprie politiche (a differenza degli Stati Uniti).

Intanto la Cina continua a tessere la sua tela per riempire il vuoto americano: il ministro degli esteri Wang Yi ha annunciato 100 nuovi progetti climatici per le isole del Pacifico, in Africa sono già 1.5 i GW di capacità solare installata grazie a Pechino, che sta intensificando anche la cooperazione con i paesi del Golfo. Intanto negli ultimi mesi, secondo il centro studi E2, sono stati cancellati 14 miliardi di investimenti in energia pulita negli Stati Uniti.

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