La Stop Ecocide Foundation ha raggiunto un risultato al quale si lavorava da anni: una definizione legale di ecocidio da proporre alla Corte penale internazionale dell’Aia come nuovo crimine da perseguire come quelli di guerra, contro l’umanità, di aggressione o di genocidio. Sono 165 parole che potrebbero cambiare la percezione pubblica e la scala di come vengono affrontate legalmente le crisi ambientali. La definizione comincia così: «L’ecocidio è un atto illegale o sconsiderato commesso con la consapevolezza della sostanziale possibilità di arrecare un danno grave, diffuso o a lungo termine sull’ambiente».

È un altro fronte di qualcosa che stiamo vedendo crescere davanti ai nostri occhi: cittadini e organizzazioni che affidano ai tribunali la speranza di un cambiamento. La definizione di ecocidio e una sua possibile adozione sono una cosa diversa dalle sentenze contro Shell, il governo olandese, tedesco o francese, ma nasce nello stesso clima, per rispondere allo stesso bisogno: si fa poco, i governi sono impreparati, i meccanismi politici sono lenti mentre i tribunali stanno dando risposte più interessanti.

Un nuovo crimine

L’ecocidio è una forma di innovazione legale, non è facile creare un nuovo crimine internazionale da zero. Rispetto agli altri crimini di cui si occupa la Corte dell’Aia, una delle novità dell’ecocidio è che non deve necessariamente esserci un danno contro le persone per poter accusare una persona o un’azienda di ecocidio. «Gli altri crimini si focalizzano esclusivamente sugli esseri umani e il loro benessere. Anche questo lo fa, ma introduce un nuovo approccio non antropocentrico, mettendo l’ambiente al centro della legge internazionale», ha detto Philippe Sands, docente di diritto internazionale all’University College di Londra e capo del gruppo di esperti sull’ecocidio.

Ci sono alcuni aspetti interessanti: la proposta non fa esempi diretti, per non puntare il dito contro singoli paesi e per non irrigidire la possibile applicazione della legge. Però esempi si possono fare: per come è stata scritta, è pensata per perseguire la distruzione della foresta amazzonica o una catastrofe ecologica come quella in Sri Lanka, ma anche – sottolineano alcuni analisti, ma anche gli stessi esperti che hanno scritto la definizione – l’estinzione irreversibile di una specie: la morte dell’ultimo rinoceronte bianco settentrionale potrebbe configurarsi come ecocidio al pari del crollo di una piattaforma petrolifera in mare.

Il turno della politica

Di ecocidio si parla da decenni, dai tempi dell’uso massiccio dell’agente arancio in Vietnam. Il primo politico a spingere una sua adozione fu il primo ministro svedese (assassinato nel 1986) Olof Palme, a una conferenza dell’Onu per l’ambiente a Stoccolma nel 1976. Per decenni però ecocidio è stato un concetto accademico buono da mettere sui cartelli delle manifestazioni ambientaliste, finché il clima (in ogni senso) non è cambiato. Di recente è entrato nel lessico morale e nelle intenzioni politiche di leader potenti e ascoltati, da papa Francesco a Macron. È entrato nel nostro orizzonte comune, ma a un livello molto teorico, finché la Stop Ecocide Foundation non ha lavorato per specificare cosa sia un ecocidio.

Da qui a vederlo entrare nella legge internazionale la strada è in ogni caso lunga: per aggiungere i crimini di aggressione ci vollero vent’anni. Secondo la fondazione, in questo caso potrebbe volerci meno, nell’ordine dei cinque anni. Serve che uno degli stati che aderiscono al Trattato di Roma (al quale mancano grandi inquinatori come Stati Uniti, Russia, Cina e India) presenti formalmente la proposta. I due terzi dei paesi membri devono approvarla, e poi devono ratificare la modifica internamente. La fondazione ha presentato gli strumenti legali, ora tocca alla politica decidere cosa farne.

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