Il segretario generale dell'Onu António Guterres ha eletto il simbolo di questa COP27: non sappiamo come si chiamerà, o dove verrà al mondo, ma prima della fine del vertice sul clima, a metà novembre, nascerà il bambino o la bambina che ci faranno superare quota otto miliardi di esseri umani.

«È per baby 8 billion che esiste questa conferenza sul clima, per le domande che ci farà sul mondo in cui vivrà».

Guterres ha lanciato questa suggestione politica al summit di capi di stato e di governo che ha inaugurato il ventisettesimo incontro dell’Onu sui cambiamenti climatici, le due settimane di negoziato iniziate domenica ed entrate nel vivo nella giornata di lunedì a Sharm El Sheikh, in Egitto.

È l’appuntamento più politico e meno tecnico del vertice, quello che ci permette di capire cosa si intende per progresso sul clima, quanta volontà c'è di raggiungerlo, quanto consenso c’è tra i paesi e i blocchi. Per l'Italia è stata soprattutto il debutto sulla scena della diplomazia climatica di Giorgia Meloni.

Pozzi e trivelle

Leaders gather for a photo at the COP27 U.N. Climate Summit, in Sharm el-Sheikh, Egypt, Monday, Nov. 7, 2022. (AP Photo/Nariman El-Mofty) Associated Press/LaPresse Only Italy

La presidente del Consiglio si è fatta anticipare in Egitto dalla scelta di riaprire pozzi e far ripartire le trivelle alla ricerca di gas nel mare Adriatico, una scelta contraria alle raccomandazioni dell'organo scientifico delle Nazioni Unite (IPCC) e a quelle dell'Agenzia internazionale dell'energia, che prevede il declino di tutte le fonti fossili - gas compreso - già dalla metà di questo decennio.

Ed è una via contraria all'invocazione di Guterres, le cui parole sembrano anno dopo anno sempre più delle preghiere: «Serve un patto di solidarietà per il clima o sarà un patto di suicidio collettivo per l'umanità».

Il governo italiano nelle prime settimane ha navigato in direzione opposta alla scienza del clima, fondamento di COP27, gettando le basi per nuovi livelli di dipendenza dai combustibili fossili.

Non è chiaramente l'unico paese a trovarsi in questa posizione, ma il fronte dello status quo energetico è diventato più forte dopo le elezioni del 25 settembre.

Questa però è soprattutto la COP della finanza, del ripensamento e della ristrutturazione dei fondi per i paesi in via di sviluppo.

In questo il governo italiano sta facendo i suoi compiti a casa e ha presentato ieri a COP27 il suo nuovo fondo per il clima, con una dotazione di 840 milioni di euro.

È il contributo italiano a uno degli obiettivi di questo vertice: rafforzare il flusso di aiuti per la transizione energetica e l'adattamento dei paesi in via di sviluppo.

È un risultato frutto della continuità di lavoro garantita dall'inviato speciale per il clima Alessandro Modiano, destinato a emergere sempre di più nel passaggio da Roberto Cingolani a Gilberto Pichetto Fratin.

Il fondo ha una dotazione inferiore ai 4,7 miliardi di euro che dovrebbero essere il contributo italiano, ma è un passo avanti rispetto alle carenze del passato (condivise con quasi tutte le economie più ricche) ed è un piccolo recupero di quella credibilità internazionale intaccata dalla spinta sul gas che, tra le altre cose, contraddice anche gli impegni presi dall’Italia alla precedente conferenza sul clima, COP26 di Glasgow.  

E Regeni?

Egypt's flag flaps in the wind near Al Sahaba mosque ahead of the COP27 U.N. Climate Summit, Saturday, Nov. 5, 2022, in Sharm el-Sheikh, Egypt. (AP Photo/Peter Dejong)

L'altra storia dal vertice riguarda ovviamente il rapporto tra l'Italia e l'Egitto dopo l'omicidio di Giulio Regeni. A Sharm Meloni non si è potuta sottrarre alla stretta di mano ad Al Sisi, padrone di casa del vertice sul clima più sorvegliato e restrittivo di sempre, e ha poi dedicato al presidente egiziano un incontro bilaterale a porte chiuse in cui, secondo note ufficiale, si è discusso di energia, rinnovabili, migranti e diritti umani. Il rapporto tra Italia ed Egitto è plasmato da un intreccio di affari e interessi ricordati da un rapporto della Ong Recommon uscito ieri.

L'Italia è il primo partner commerciale europeo dell'Egitto, il quinto partner egiziano al mondo. Il 20 per cento delle riserve di gas di Eni si in trovano il Egitto. Snam ha di recente acquisito il 25 per cento della società proprietaria del gasdotto Arish-Ashkelon, il gasdotto della pace, tra Israele ed Egitto (e un altro bilaterale di Meloni a Sharm è stato proprio con Israele).

L'assicuratore pubblico Sace, controllato dal ministero dell'economia e delle finanze, è esposto per più di 4 miliardi con l'Egitto. Insomma, il nuovo governo ha ereditato un groviglio di interessi e non ha fatto altro che portarlo avanti. Da questo punto di vista ha solo raccolto le eredità precedenti.

Ma è sulla visione energetica che il nuovo governo è particolarmente affine a quello egiziano: sia per Meloni che per Al Sisi il gas rappresenta una fonte di energia intorno alla quale si può costruire un futuro di prosperità, nonostante l'Agenzia internazionale dell'energia (organismo spesso considerato conservatore) abbia comunicato poche settimane fa che dal loro punto di vista il gas non si può più considerare fonte di transizione.  

Rafforzare questa lettura del gas come soluzione ai problemi causati dal gas è uno degli obiettivi politici dell’Egitto, ed è una visione che il governo di Meloni ha sposato in pieno. «L’Italia farà la sua parte», ha detto Meloni, alla fine di un intervento in assemblea plenaria arrivato in tarda serata, con un’ora in mezzo di ritardo rispetto ai programmi, circostanza che ha innervosito la delegazione italiana.

La presidente del Consiglio ha rivendicato in questa sede internazionale degli stessi obiettivi europei che il suo governo ha promesso di ostacolare o sottoporre a referendum nazionali. L’annotazione più politica e meno diplomatica rispetto all’ordinaria amministrazione delle parole che si devono dire in questi contesti è stata però il richiamo al «paradossale fatto che i paesi più impegnati nella decarbonizzazione sono anche quelli che rischiano di pagarne di più il prezzo». Un evidente riferimento alla Cina e all’India, i cui leader non sono a Sharm el Sheikh.

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