I fondi che Mes e Next generation Eu in Italia dedicano alla sanità riguardano quasi esclusivamente le cure: rimettere in sesto gli ospedali, mettere a regime le cartelle sanitarie elettroniche, potenziare le cure domiciliari. Tutte cose sacrosante, che rispondono alle lacune più evidenti messe in luce dalla tempesta perfetta di Covid-19. Manca però una cosa: la prevenzione e la sanità territoriale, in particolare una vera integrazione fra salute e ambiente. Si tratta di un lapsus grave, che manca di rispondere alla prima istanza del gigantesco programma di finanziamento che in Italia ci si ostina a chiamare Recovery fund anziché Next generation Europe.

Il programma non è pensato tanto per portare a compimento con soldi europei progetti già in cantiere, e nemmeno per ripianare i debiti che nel frattempo il nostro paese ha maturato. La filosofia del programma discende dall’European green deal. La nuova frontiera posta con forza nell’agenda politica dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen è il contrasto sistematico al cambiamento climatico e alle altre emergenze ambientali, da realizzarsi con una profonda trasformazione dell’economia, del lavoro e dell’azione ambientale e sanitaria, da considerarsi come un tutt’uno.

I progetti da sottoporre alla Commissione europea presuppongono l’aver inteso pienamente questo cambio di rotta. Come esperti di epidemiologia, prevenzione e salute ambientale ci preme quindi spiegare per sommi capi quello che l’Europa ci sta chiedendo, e che tipo di risposta si aspetta.

Le esposizioni ambientali, che costituiscono un danno rilevante per la salute in Italia e in Europa, sono ben riassunte dall’ultimo rapporto della Agenzia europea dell’ambiente (Eea, 2020). L'inquinamento dell'aria, in particolare per l’uso di combustibili fossili, è il principale fattore ambientale responsabile di un numero elevato di decessi e di malati ogni anno nell’Unione europea, seguito a ruota dall’inquinamento acustico. Gli impatti del cambiamento climatico sulla salute costituiscono l’altro grande capitolo della salute ambientale, sia per i suoi effetti immediati (ondate di calore, estremi di freddo e inondazioni) che di lungo periodo, come la diffusione di malattie da vettori, o di origine idrica e alimentare.

I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia anche per le infrastrutture, il cibo, la biodiversità e di conseguenza la produttività agricola. Ci sono poi altri fattori di rischio ben noti in Italia, con le particolarità relative a specifiche aree del paese (per esempio la pianura padana, i siti contaminati, gli impianti industriali, le situazioni urbane particolarmente compromesse). L’organizzazione delle città e dei luoghi di vita è un fattore di rischio molteplice a causa delle modalità di trasporto inquinanti, rumorose, che non favoriscono l’attività fisica, e che si accompagnano al mancato sviluppo di aree verdi.

Verso un’economia verde

Un settore di particolare importanza per l’intervento è quello dell’agricoltura e degli allevamenti per il loro contributo al riscaldamento globale e all’inquinamento, per l’uso di pesticidi con conseguente impatto negativo sugli insetti impollinatori e sulla biodiversità, per l’aumento della antibiotico-resistenza a causa dell’uso massivo di antibiotici nella sanità animale. Connesso all’agricoltura è il tema della produzione di cibo che contribuisce in modo importante al sovraccarico planetario, soprattutto attraverso l’allevamento intensivo, responsabile fino al 13 per cento dei gas serra, a cui sono legati il benessere animale, il consumo spropositato di acqua, suolo ed energia, e non ultima l’alimentazione obesogena di buona parte della popolazione.

Se queste sono alcune fra le priorità a livello europeo, quali sono le innovazioni, quali i settori di intervento prioritario? La risposta è semplice e complessa al tempo stesso. Occorre una decisa svolta verso l’economia verde e una politica fondata sul concetto di “co-benefici”: modifica delle abitudini alimentari con una riduzione dei consumi di carne, miglioramento della qualità dell’aria con la riduzione radicale dei combustibili fossili, promozione dell’attività fisica e cambiamento strutturale del trasporto e dell’organizzazione urbana verso il trasporto attivo (piedi e bicicletta).

Tutte azioni che contribuiscono a mitigare il cambiamento climatico e a prevenire le malattie croniche.

Sono anche le opportunità che la pandemia ci offre e che occorre saper cogliere con uno sforzo di integrazione delle competenze e professionalità nel nostro Paese, senza improvvisazioni.

L'imposizione del lockdown ha visto, ad esempio, cambiare la domanda di trasporto a causa del lavoro agile da casa. Molte città hanno incoraggiato l'uso della bicicletta e l'ampliamento delle piste ciclabili e pedonali, ma con timidezza e senza svolte radicali. La pandemia ha suscitato un ampio dibattito sul destino del trasporto, sulla possibilità di co-benefici di salute aumentando l’attività fisica, su come si possano progettare nuovi veicoli “sostenibili” e la mobilità come servizio, in modo da proteggere la salute delle persone e aumentare la fiducia nel trasporto pubblico. Insomma, il tema di una città diversa, con una migliore pianificazione del territorio, del verde pubblico e del suo uso, e dei trasporti (da privato motorizzato a pubblico ed attivo) può portare a città neutre dal punto di vista delle emissioni di gas serra, più vivibili e più sane.

Dialogare di più

La possibilità che le strutture impegnate nella tutela e nella promozione della salute pubblica e dell’ambiente siano realmente in grado di incidere sulle politiche non sanitarie è al momento limitata. Nel 2007 fu lanciato un accordo intersettoriale dal titolo “Guadagnare salute”, ma da allora molto poco è stato fatto. Questa è l’occasione per aumentare il dialogo fra i diversi comparti dell’amministrazione pubblica intorno a queste nuove priorità e per creare canali di comunicazione non occasionali con i settori dello sviluppo economico, del trasporto, dell’urbanistica, dell’agricoltura e dell’economia.

Occorre, cioè, creare la possibilità che le evidenze scientifiche acquisite in materia di integrazione ambiente-salute vengano tradotte in scelte consapevoli nella formulazione delle politiche. Indispensabile è in ogni caso garantire una integrazione del Servizio sanitario nazionale (Ssn) con il Sistema nazionale della protezione ambiente (Snoa). Da tempo cercano a fatica il confronto, ma manca un quadro di riferimento istituzionale. Per quanto riguarda l’ambiente ben due progetti del ministero della Salute hanno posto le basi per il lavoro comune. Il ministero aveva anche promosso una taskforce ambiente e salute. Tutto lavoro che ora può essere valorizzato.

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