Nel breve viaggio da Milano a Bologna una normale auto diesel emette trenta chili di anidride carbonica (CO2), lo stesso peso delle nostre valigie. Noi stessi, con la respirazione emettiamo ogni giorno un chilo di CO2. Ma la CO2 è una molecola strana, non ha odore, non è colorata, è impalpabile. I nostri sensi non la percepiscono e quindi per noi semplicemente non esiste. In compenso, da quando ci si è resi conto che troppa CO2 nell’atmosfera provoca danni climatici, la CO2 è divenuta un nemico da combattere, un inquinante da eliminare. Dimenticando che la CO2 è anche vita, è la fonte di carbonio a cui attinge tutta la biosfera, ed è pure quello che resta di ogni organismo vivente una volta che avrà concluso il proprio ciclo di vita sulla Terra.

Anche noi, tolta l’acqua, siamo fatti sostanzialmente di carbonio, componente essenziale di proteine, carboidrati, lipidi, e tutte le sostanze essenziali per la nostra esistenza. Tutto grazie all’azione fondamentale di quel complesso processo che è la fotosintesi clorofilliana grazie cui due sostanze semplici e abbondanti, l’acqua e l’anidride carbonica, si combinano sfruttando l’energia luminosa per formare catene complesse di atomi di carbonio.

Effetto riscaldante

Negli ultimi due secoli il crescente fabbisogno di energia ha determinato un consumo imponente di combustibili fossili i cui prodotti finali sono CO2 e acqua. Era inevitabile che prima o poi questa CO2 finisse per accumularsi nell’atmosfera. La prova decisiva arrivò verso la fine degli anni Cinquanta quando Charles Keeling mise a punto uno strumento per misurare basse concentrazioni di CO2 nell’aria, parliamo di parti per milione (ppm). Le misure di Keeling mostrarono già a inizio degli anni Sessanta che la CO2 stava lentamente aumentando. Allora si parlava di 315 ppm, nel 2019 siamo arrivati a 415 ppm.

La CO2 non è tossica, altrimenti non potremmo bere acqua gassata, birra e prosecco. Ma ha un altro problema insidioso: cattura la radiazione solare riflessa dalla superficie terrestre, e la riemette. È il famoso “effetto serra”. Il primo a realizzare che la CO2 ha un effetto “riscaldante” fu un matematico, Joseph Fourier, che nel 1824 grazie a dei calcoli intuì che doveva esserci un effetto riscaldante dei gas presenti in atmosfera. Ma che questo potesse avere effetti sul clima divenne chiaro solo negli anni Sessanta del Novecento, quando i primi modelli matematici mostrarono che si andava verso un progressivo ma inesorabile riscaldamento del pianeta.

Una vera e propria svolta avvenne poi a cavallo del nuovo secolo grazie a una serie di misure fatte sui ghiacci dell’Antartide. Grazie a nuove tecnologie divenne possibile estrarre campioni di ghiaccio a 3-4000 metri di profondità e analizzare la composizione dell’aria e la variazione della temperatura media su un arco di 800mila anni scoprendo che in questo lungo lasso di tempo la concentrazione di CO2 è rimasta sempre tra 180 e 300 ppm, per poi impennarsi e crescere di 100 ppm nell’ultimo mezzo secolo. Da qui l’allarme: le emissioni di CO2 vanno bloccate prima che sia troppo tardi.

Azioni possibili

Oggi i combustibili fossili producono l'80 per cento della nostra energia e oltre 35 miliardi di tonnellate di CO2 ogni anno (il resto, circa 5,5 miliardi di tonnellate, è dovuto al consumo di suolo). A seconda delle azioni che intraprenderemo potremo contenere l’aumento di temperatura a fine secolo tra 1 e 2 °C. Ma se non faremo nulla raggiungeremo le 1000 ppm con un catastrofico aumento di temperatura media di 4-5 °C. Per non parlare del fatto che la CO2 disciolta in acqua genera un aumento di acidità che danneggia fauna e flora acquatiche.

Dovremo quindi smettere di produrre CO2 nei prossimi decenni, cosa che però è molto difficile se non addirittura impossibile, come spiegherò tra poco; ma dovremo anche pensare di ripulire l’aria dalla CO2 in eccesso che si è accumulata in due secoli di utilizzo senza freni di combustibili fossili. Una sfida gigantesca. Anche quando avremo effettuato una transizione energetica completa alle fonti rinnovabili, varie attività umane continueranno a produrre CO2: il consumo di suolo, legato a una popolazione mondiale in continua crescita, la produzione di cemento, pure in costante aumento, per non parlare del trasporto navale e aereo per cui ci vorrà davvero molto tempo prima di poter utilizzare delle batterie. Infine, la produzione di molti dei beni che utilizziamo, dalle materie plastiche, ai farmaci, dai tessuti al packaging si basa su processi che partono dal petrolio e producono CO2. Quindi, potremo ridurre fortemente le emissioni di CO2, ma non azzerarle.

Riutilizzare la CO2

Ecco che si pone il problema del riutilizzo. La CO2 è una “preziosa” materia prima. Se riuscissimo a simulare i processi di fotosintesi naturale con sistemi artificiali, ossia con fotocatalizzatori in grado di usare la luce solare per trasformare CO2 e acqua in sostanze utili (metanolo, metano o altri idrocarburi) saremmo a cavallo. Prototipi di “foglie artificiali” esistono ma per ora hanno efficienze troppo basse per essere interessanti. Peraltro, anche la fotosintesi naturale non è poi così efficiente, convertendo solo lo 0,1 per cento dell’energia solare catturata. La ricerca della fotosintesi artificiale continua ma la strada sembra lunga.

Per riutilizzare la CO2 possiamo però contare su un’altra sostanza strategica: l’idrogeno. Grazie a reazioni chimiche note, si può combinare la CO2 con l’idrogeno con appositi catalizzatori per produrre sostanze utili, inclusi veri e propri combustibili. L’idrogeno oggi viene prodotto a partire dal metano con un processo in cui alla fine oltre a idrogeno si produce anche CO2. È l’idrogeno grigio, che diventa “blu” se la CO2 prodotta viene poi sequestrata. Ma l’idrogeno può essere prodotto per un'altra via, in modo sostenibile grazie all’elettrolisi dell’acqua.

È un processo scoperto all’inizio dell’Ottocento in cui si applica una differenza di potenziale con cui si scinde l’acqua nei suoi componenti, idrogeno e ossigeno. Se l’energia elettrica necessaria proviene da fonti rinnovabili (solare, eolico, ecc.) l’idrogeno viene prodotto senza generare CO2. È l’idrogeno verde, l’unico che potrà veramente cambiare il paradigma.

Grazie alla crescita delle fonti rinnovabili il costo di produzione dell’idrogeno verde sta scendendo dai 4-5 euro al chilo di qualche anno fa a 2,50 euro al chilo, avvicinandosi a quello dell’idrogeno grigio, 1-1,5 euro al chilo. Ma attenzione: nel costo dell’idrogeno grigio non sono inclusi i costi ambientali, che invece ci sono e sono enormi.

Passiamo al ruolo della chimica: con l’idrogeno verde si apre la strada per il riutilizzo della CO2. Ad esempio, si può decomporre la CO2 trasformandola in monossido di carbonio, CO, una molecola assai più reattiva. Già negli anni Trenta del Novecento i tedeschi avevano messo a punto un processo per produrre benzina dal carbone grazie a questo importante intermedio, il CO. In altri casi la reazione tra CO2 e H2 è diretta, e porta ai prodotti desiderati. Un impianto di questo tipo esiste da una decina di anni in Islanda, altri stanno nascendo.

Resta tuttavia un problema da risolvere. Catturare la CO2 da impianti industriali, cementifici, ecc. dove è prodotta in forma concentrata, è economicamente accessibile. Catturare la CO2 dall’aria, dove è presente in forma fortemente diluita è molto meno facile. Occorre filtrare grandi quantità di aria, e separare le piccole quantità di CO2 con elevati costi energetici. La ricerca si concentra su nuovi materiali capaci di assorbire selettivamente la CO2, e di separarla.

Una strada lunga, e largamente da esplorare. La cattura da impianti ad elevata concentrazione invece è già alla portata. Quali sono le prospettive? Grazie alla disponibilità di energia elettrica da fonti rinnovabili potremo produrre idrogeno per elettrolisi dell’acqua. L’idrogeno ha vari usi, ma è pure una importantissima molecola che può essere fatta reagire con la CO2 per produrre varie sostanze essenziali. Di CO2 continueremo a produrne, ed è comunque destinata a restare a lungo in atmosfera. Imparare a riutilizzarla è una sfida che possiamo e dobbiamo vincere.


Gianfranco Pacchioni è autore del libro W la CO2. Possiamo trasformare il piombo in oro?, edito da il Mulino

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