Come in una riscrittura brianzola della Metamorfosi di Kafka, una mattina Manuela Meloni si è svegliata nella sua casa di Vimercate e ha trovato una squadra di tecnici che stavano facendo un carotaggio a pochi metri dalla sua porta.

Era il 2021, così Manuela ha scoperto che l'ultima variante della Pedemontana, la più contestata e problematica delle tante contestate e problematiche autostrade della Lombardia, sarebbe passata a poco più di dieci metri dalla sua cascina.

Così è nato il comitato locale dal nome eloquente, "Fermiamo l'ecomostro”. È una storia interessante, perché è politicamente trasversale, va oltre la sindrome nimby (costruite quello che volete, ma non a casa nostra) e va oltre anche la decina di comuni brianzoli direttamente coinvolti.

In discussione c'è un intero modello di sviluppo nella regione più ricca d'Italia, fatto di decenni di cementificazione e disinvestimento nel trasporto pubblico, quel servizio che fino ai confini di Milano è un'eccellenza e subito dopo diventa l'inferno.

Quello che conta oggi per il comitato è fermare l'infrastruttura, che sta arrivando nella fase del progetto esecutivo, dopo la quale il piano decisionale diventa inclinato e impossibile da fermare.

Nove chilometri di compromessi

Si tratta della cosiddetta «variante D breve» della Pedemontana, tradotta dall'oscuro linguaggio della progettistica significa nove chilometri di cemento e compromessi politici.

Il disegno originario della Pedemontana, quello immaginato negli anni Cinquanta, era collegare le province di Varese e Bergamo, l'autostrada ai piedi delle Alpi.

Doveva essere completata nel 2015, è stata più volte sull'orlo della bancarotta, è stata giudicata dalla Corte dei Conti «debito per le generazioni future».

A oggi ne è stato solo completato un primo tratto, 22 chilometri su 96, il secondo e il terzo sono in fase di progetto esecutivo, il punto ora è: dove chiuderla questa Pedemontana, l'autostrada che sai dove parte ma non sai dove arriva?

La regione ha preso atto del fatto che nella bergamasca non ci sarebbe mai arrivata (troppi soldi, troppo tempo perso, troppa opposizione sul territorio) e così ha deciso di tagliare il progetto a un certo punto lungo la strada, come un libro che all'improvviso non ha più senso e quindi lo si butta via.
Quel punto è Vimercate, quel punto è la casa di Manuela Meloni. Così è nata la cosiddetta variante D breve: l'autostrada arriva a Vimercate e invece di proseguire dritta verso est come nei piani originari, taglia bruscamente verso sud, fino ad Agrate, dove si ricongiunge con la A4.

Questo anche il motivo per cui i comuni sono stati tenuti all'oscuro di tutto finché è stato possibile: la regione sapeva di avere in mano una bomba sociale e politica.

Come spiega Stefano Barazzetta, anche lui parte del comitato, «è chiaramente un progetto che oggi non sarebbe mai stato concepito da zero, perché completamente fuori tempo, ecologicamente, climaticamente, economicante».

La Pedemontana è una fallacia dei costi irrecuperabili, per la Regione va completata perché un pezzo già esiste e ormai è difficile dire che quell'investimento era sbagliato fin dall'inizio.

Cosa resta del parco

La nuova variante di chiusura però esaspera l'assurdità di tutta l'infrastruttura. Problema numero uno: in mezzo c'è un parco, il Parco Agricolo nord-est, l'ultima area verde rimasta in questo lato della Brianza orientale, ci sono i sentieri dei Cai, ci sono aziende agricole, è un parco vissuto e curato, visto l'ultimo investimento di mezzo milione di euro per rimetterlo a nuovo.

La variante della Pedemontana come una lama taglia in due il parco (che qui chiamano con la sigla, Parco P.a.n.e.), se prende il 66 per cento, che sarà cementificato, frammentando e uccidendo anche il resto: difficile andare a passeggio in un parco dentro cui passa un'autostrada.

Problema numero due: la nuova variante ha un doppione, un tratto di tangenziale est che tre chilometri più a ovest fa lo stesso tragitto.

Le mappe lo mostrano chiaramente, la tangenziale che esiste già e la variante che la regione vuole costruire sono quasi parallele, vanno da nord a sud, collegano le stesse aree, ed è difficile capire come possa servire un doppione largo da 30 a 60 metri e lungo 9 chilometri in mezzo a un parco e alle case.

Problema numero tre: comuni come Vimercate e Agrate sono allo stesso tempo vicini e lontani da Milano, su una mappa sembrano quasi dei sobborghi, ma decenni di cementificazione li hanno trasformati in una sorta di zona di sacrificio infrastrutturale, uno scambio a perdere in cui hanno rinunciato a spazio e qualità della vita senza ricevere l'unica cosa che chiedevano: un collegamento comodo con la città per i pendolari che vanno a Milano ogni giorno.

Sulla carta il progetto esiste da decenni, il prolungamento della linea verde della metropolitana, che da Cologno Nord dovrebbe arrivare a Vimercate, il progetto Godot della Brianza, se ne parla sempre, non si fa mai, in compenso ogni decennio qui c'è un nuovo svincolo, una variante, un viadotto, tutto a beneficio del traffico, soprattutto pesante.

Il precedente Brebemi

La regione ha trasformato la Brianza orientale in una terra di nessuno, su misura di chi ha solo bisogno di attraversare l'area. È un modello di sviluppo che trasforma questi paesi in futuri snodi della logistica, candidati a ulteriore cementificazione.

Come dice Paolo Pileri, docente di urbanistica del Politecnico di Milano, «queste infrastrutture generano naturalmente filiere logistiche, che a quel punto sono le uniche per cui un'area così ha valore, come successo nei comuni lungo la Brebemi».

La Brebemi (Brescia-Bergamo-Milano) è il doppione meridionale dell'A4, è un'autostrada sottoutilizzata e costosa, ha fatto sparire centinaia di ettari di campagna nella bergamasca, il verde della «bassa» è diventato indotto logistico dell'autostrada.

Continua Pileri: «Lo svincolo di Vimercate trasformerà i suoli agricoli in piazzali per i camion. Il tutto in una zona già devastata dal consumo di suolo: la provincia della Brianza è la seconda in Italia dopo quella di Napoli in queste statistiche, ci sono comuni, come Lissone, che già superano il 70 per cento di suolo consumato».

La media europea è il 4,2 per cento, quella italiana è il 7,13 per cento, ed è già insostenibile, oltre il 30 per cento si parla di sistema ecologico compromesso, la Brianza ha decine di comuni sopra il 50 per cento, e il Parco P.a.n.e. è l'ultima tasca di verde tra svincoli, piazzali e capannoni, ed è per questo che l'opposizione qui è così forte e trasversale.

Sono insomma tutti infuriati, anche chi vota da una vita a destra, cioè per chi ha deciso queste cose. «La nostra non è una battaglia ambientalista, è una battaglia di buon senso», dice Manuela Meloni, «Non ha senso distruggere la nostra vita e l'ultimo parco della Brianza per fare un doppione in cui unico scopo è non lasciare incompleta un'autostrada che non aveva senso fin dall'inizio».

Le alternative

Le alternative sarebbero completare i pezzi già approvati di Pedemontana senza mettere in cantiere l'ultima variante, facendola finire a Usmate Velate, rafforzando ciò che esiste già (la Tangenziale) senza fare doppioni.

Sarebbe però un modo per sconfessare un decennio di progettazione, per questo motivo la Lega in regione continua a portare avanti la bandiera della Pedemontana, ormai diventata un'autostrada identitaria, con il consigliere regionale Andrea Monti e l'assessora Claudia Maria Terzi come figure chiave.

La Lega sul territorio invece si oppone, ed è un'interessante matassa politica in vista delle elezioni del 12 e 13 febbraio.

Per il presidente leghista Attilio Fontana la Pedemontana rimane un'autostrada prioritaria, alla quale vuole aggiungere un altro mausoleo al trasporto su gomma, la Cremona Mantova.

Lo sfidante di centrosinistra Pierfrancesco Majorino ha parlato di stop al progetto e di resurrezione per il sogno della metropolitana fino a Vimercate. Ma in una campagna elettorale mai davvero entrata nel vivo, il problema della nuova variante non è riuscito a scavallare i confini dei comuni coinvolti e a diventare un caso almeno regionale.

Ma in quella variante breve di 9 chilometri ci sono una serie di domande inevase sul trasporto, la qualità dell'aria e della vita e sul futuro della regione.

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