La crisi climatica ha raggiunto dimensioni esplosive, non c’è più tempo da perdere. Sono parole, fra gli altri, di Sergio Mattarella. Questo è anche quello che ci dice la scienza, da anni. Così come sappiamo che l’Italia è uno dei paesi maggiormente colpiti: per la sua geografia, la densità abitativa, i decenni di cementificazione sconsiderata.

Eppure, fin qui la destra ha preferito voltarsi dall’altra parte. Ha addirittura cavalcato il negazionismo climatico, come testimoniano le dichiarazioni di diversi suoi leader, forse sperando di ricavarne un dividendo elettorale.

Ancora a metà luglio Giorgia Meloni attaccava frontalmente gli ambientalisti, tacciati di «fanatismo ultra-ecologista», e preferiva parlare di «maltempo» più che di crisi climatica. E non solo. Contro gli atti dimostrativi (certo illegali) di Ultima Generazione sono stati adottati provvedimenti durissimi, come se il problema fosse chi si mobilita per una giusta causa, pur se con metodi discutibili. Se il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito.

Ora, la novità delle ultime settimane è che, forse, anche la destra sta cominciando a capire la gravità della situazione. Meglio tardi che mai. Ma se la conversione è sincera, questa obbliga a una riflessione anche il centro-sinistra. Tale è stato il vuoto lasciato a destra sull’ambiente, infatti, che quest’ultimo ha potuto fare tutte le parti in causa.

Ha cioè attuato anche quelle politiche ambientali che andavano a favore dei più ricchi (come il superbonus, introdotto dal Conte II e ampliato con il governo Draghi) o che facevano ricadere i costi della riconversione sui più deboli (si pensi che, in Francia, proprio l’aumento delle tasse sui carburanti ha innescato la protesta dei gilet gialli).

Ebbene: bisogna cominciare a dire che le politiche ambientali non sono tutte uguali. E lo schieramento progressista non deve accontentarsi di una politica ambientale quale che sia, come ha fatto finora (quando va bene). Ma deve battersi per politiche ambientali coerenti con la sua storia e con la sua visione, sfidando su questo la destra: deve cioè portare avanti investimenti e misure volti soprattutto alla protezione dei più deboli.

Che cosa vuol dire in concreto? Ad esempio, riqualificare la nostra edilizia con un piano di investimenti che vada a favore anche degli affittuari, e a partire dalle case di fascia più bassa, e con l’edilizia pubblica. E investimenti ambiziosi nella mobilità sostenibile e nella cura del territorio.

Con tutto quello che comporta: più spesa, certo, e il potenziamento e la ristrutturazione della nostra amministrazione. E poi, incentivi alle rinnovabili e all’elettrico modulati in base alle fasce di reddito (con percentuali crescenti per i redditi più bassi). E ancora: assegnare alle nostre imprese pubbliche, sia nazionali che locali, che operano nell’energia e nell’ambiente, la missione strategica di guidare la riconversione ecologica.

Tutto questo significa, per il centro-sinistra, adottare un nuovo impianto economico, di tipo neo-keynesiano, fondato sull’intervento pubblico e sugli investimenti nel sociale, ben lontano dalle fascinazioni neo-liberali. E battersi perché anche l’Europa percorra questa strada. Vuole dire avere il coraggio di pensare, proporre e attuare, per davvero, un nuovo modello di sviluppo e di società. Rendere la conversione ecologica socialmente sostenibile è, peraltro, anche il modo per renderla popolare, quindi è l’unica maniera, alla fin fine, di renderla possibile.

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