Nell’immaginario collettivo Malta è vista come una gemma nel cuore del Mediterraneo, grazie alle sue spiagge meravigliose e alla natura incontaminata. Ma nel sud dell’isola c’è una località che è l’esatto contrario di questa narrazione.

Marsaxlokk è un villaggio, una volta popolato da soli pescatori, dove ora si trova uno dei porti commerciali più grandi del Mare Nostrum. Di fronte al porto c’è una gigantesca nave gasiera (Floating Storage Unit) collegata a terra da un tubo che trasporta il gas liquido verso un rigassificatore. Una volta ritrasformato, il metano viene trasferito nel nucleo principale della Delimara Power Station, che lo brucia per produrre energia per l’isola. A pochi chilometri da Marsaxlokk, dall’altro lato della scogliera, è tutto un trionfo di spiagge e turismo. 

Melita Gas Pipeline

Non è detto che questo paesaggio, già di per sé piuttosto inquietante, non possa peggiorare ulteriormente. Proprio nell’area di Marsaxlokk, infatti, dovrebbe approdare il Melita Gas Pipeline. Un nuovo gasdotto che partirebbe da Gela, in Sicilia, per finire la sua corsa di 159 chilometri sull’isola e rifornire la già menzionata centrale elettrica.

L’Italia potrebbe vendere a Malta 2 miliardi di metri cubi di gas metano l’anno. Quasi un paradosso, in un momento in cui il nostro paese è alla ricerca disperata di gas. Ma c’è anche il risvolto green.

Melita dovrebbe gradualmente trasportare anche idrogeno verde, fino al 100 per cento della sua portata. Motivo per cui è entrato nella linea di finanziamento dei progetti di interessi comunitario. In questo caso il flusso sarebbe bidirezionale, ovvero di import ma anche di export. Peccato che nessuno sappia dove e come sarà prodotto l’idrogeno.

Meno dubbi e incertezze ci sono sul fatto che per far registrare un ritorno sull’investimento il gasdotto potrebbe funzionare fino al 2050. I lavori non sono ancora iniziati, dopo la valutazione d’impatto ambientale in Italia sono state segnalate problematiche relative ai fondali di Gela che sarebbero fortemente inquinati anche con presenza di materiale radioattivo.

Il progetto

Secondo i proponenti, però, la costruzione dovrebbe partire a inizio 2023, per una consegna dell’opera prevista nel 2024. Come è facile immaginare, l’italiana Snam è coinvolta nel progetto. Rispondendo alle nostre domande, prima dell’assemblea degli azionisti del 2021, la multinazionale italiana ha detto che «l’intervento di Snam riguarda la sola costruzione dell’impianto di interconnessione con l’opera promossa dal trasportatore maltese. L’opera, sostenendo il phase out dal carbone della generazione elettrica maltese, ha come obiettivo primario la riduzione delle emissioni climalteranti e inquinanti». A Malta, però, non si brucia carbone, né è mai stato usato in passato.

Non solo greenwashing

Purtroppo la gestione del gas a Malta non è solo un’operazione di greenwashing. Matthew Caruana Galizia è il figlio di Daphne Caruana Galizia, giornalista maltese assassinata esattamente cinque anni fa, oggi guida una fondazione che combatte la corruzione e contrasta le pressioni che i privati esercitano sugli stati. «Dopo aver iniziato a lavorare come programmatore, mi sono dedicato al giornalismo – dice – Mentre seguivo l’inchiesta sui Panama Papers insieme a mia madre, ci siamo imbattuti in una fuga di notizie che riguardava il settore dell’energia a Malta e, in particolare, la privatizzazione della società elettrica maltese».

Il progetto su cui stavano indagando era proprio quello relativo alla centrale a ciclo combinato di Delimara. «Mia madre – continua Caruana Galizia – ha sospettato fin dall'inizio che nel progetto fossero coinvolti la Socar, l’azienda statale azera del petrolio e del gas, e alcune persone di spicco del Partito laburista allora al governo, note per essere corrotte. Anche alcune famiglie di imprenditori di Malta, gli Apap Bologna, i Gasan e i Fenech avevano le mani in pasta, sebbene fossero privi di esperienza nel settore dell’energia». I Fenech sono particolarmente coinvolti nella vicenda dell’uccisione della giornalista, visto che Yorgen Fenech, arrestato nel novembre 2019 mentre cercava di lasciare l’isola sul suo yatch, è accusato di essere il mandante dell’omicidio.

«Mia madre aveva trovato la pistola fumante della corruzione – dice il figlio a distanza di cinque anni dall’attentato – C’era una società di comodo, un’impresa usata solo per veicolare tangenti e nascondere denaro a Dubai per i politici maltesi. La scoperta di questa società, a nostro avviso, ha portato direttamente al suo assassinio nell’ottobre del 2017».

Purtroppo c’è ancora molta strada da fare per arrivare alla verità. «Ci sono tre procedimenti penali: nei confronti dei sicari, delle persone che hanno fornito la bomba e della mente che ha pagato per l’omicidio. Per noi tuttavia ci sarà vera giustizia solo quando saranno trovati i mandanti e coloro che si sono macchiati della corruzione su cui mia madre stava indagando. Altrimenti, si potrebbero ripetere altri omicidi».

Quanto accaduto ha almeno contribuito a smuovere le coscienze. «Durante questi anni ci sono state varie proteste, come nel 2019, quando in tanti sono scesi in piazza perché indignati per il modo in cui i politici locali sono del tutto subalterni agli interessi privati, in particolare dalle famiglie di imprenditori che sono state collegate al progetto della centrale elettrica di Malta», aggiunge Caruana Galizia.

Le accuse

Sulla carta il Melita Gas Pipeline non è collegato agli scandali precedenti, ma per il figlio della compianta giornalista maltese non è così: «Il gasdotto è legato all’omicidio di mia madre. Anche a causa di quel progetto, mia madre mi è stata portata via, perché parliamo di un’opera che non è stata ideata sei mesi fa a causa della guerra in Ucraina, faceva parte del piano fin dall’inizio.

Malta non avrebbe mai avuto un progetto di gasdotto se non fossimo passati al gas. Prima sono arrivati la centrale a gas e poi la nave cisterna, che doveva essere una soluzione a breve termine, o almeno questo è quello che ci hanno detto. Di fatto è stato creato un mercato per giustificare il gasdotto. Quando le persone dietro l’affare hanno coinvolto Siemens e le famiglie d’affari maltesi, hanno fatto in modo di ottenere un pagamento di 100 milioni di euro da dividere tra loro allorché fosse stato realizzato il gasdotto». Accuse che gettano un’ombra su un progetto che vede coinvolte aziende e interessi del nostro paese.

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