Buonasera da Sharm El Sheikh, come stai?

Dispaccio del primo venerdì di Cop27. La settimana prossima a quest'ora saremo nel pieno dall'attesa di una decisione finale che a oggi non sappiamo che forma avrà, che contenuti avrà, che ambizioni avrà, che mondo potrà costruire. Ci troviamo a metà del cammino, più o meno. Oggi sono finalmente apparse le opzioni vegane nei menu. Ci sono voluti solo cinque giorni. Ho visto le prime persone dormire nei corridoi, nel tardo pomeriggio gli stand del cibo sono tutti chiusi, qui è partita la condivisione degli ultimi biscotti rimasti, e grazie a chi stamattina ha salvato i miei livelli energetici con due preziose banane: se mi leggi, questa newsletter stasera parte anche grazie a te. Cominciamo!

Hey, Joe!

In ritardo rispetto agli altri leader a causa delle elezioni di midterm, e quindi con uno spazio tutto suo, oggi ha parlato alla Cop27 in Egitto Joe Biden. Con tutta la solennità di cui è capace, il presidente degli Stati Uniti ha ricordato come la crisi climatica sia una minaccia alla sicurezza ambientale, a quella economica, alla stabilità delle nazioni e alla vita sulla Terra. Ha rilanciato l'impegno ecologista della sua amministrazione, forte del pacchetto climatico contenuto nell'Inflation Reduction Act votato ad agosto al Congresso, la più corposa riforma ambientale mai fatta negli Usa (e quindi in qualsiasi economia del mondo): «Gli Stati Uniti rispetteranno l'impegno di dimezzare le emissioni nel 2030», ha scandito, con in più 20 miliardi di dollari per combattere le emissioni di metano in tutti i settori (energia, allevamenti, rifiuti).

Ma il fronte sul quale Biden era più atteso era quello della solidarietà con i paesi più colpiti dalla crisi e qui ha confermato la ricetta americana: ha quadruplicato gli aiuti per fare le transizioni, ha presentato accordi per l'energia pulita con l'Egitto e l’Angola, ha messo sul piatto soldi per l'adattamento ma ha tracciato la linea rossa degli Stati Uniti, che non accetteranno il principio dei risarcimenti climatici basati sulla responsabilità storica.

Il massimo su cui si spingeranno è una proposta del G7, uno scudo assicurativo globale per il clima. Biden ha omesso il grande tema di questa Cop27, cioè la creazione di una struttura finanziaria che compensi i danni e le perdite di eventi estremi, disastri e siccità, e nel farlo ha confermato l'ostilità all'idea degli Usa, ai quali questo principio costerebbe centinaia di miliardi di dollari all'anno.  

Ecco una reazione che sintetizza bene come le omissioni di Biden siano state ricevute dai rappresentanti del sud globale. «Gli Stati Uniti ancora una volta sono arrivati senza un piano chiaro su come fare la propria parte per la finanza climatica e l'uscita dai combustibili fossili. Il loro silenzio sulla finanza per i danni e le perdite, con l'offerta di piani assicurativi invece di soldi veri, mentre i paesi vulnerabili chiedono una struttura finanziaria nuova, dimostra ancora una volta quanto Biden non sia in sintonia con la realtà della crisi climatica», mi ha scritto Harjeet Singh, Head of Global Political Strategy di Climate Action Network International.

Decarbonizzazione o ricarbonizzazione?

In vista della Cop27 il dibattito pubblico è stato invaso da una montagna di nuovi dati che dicono tutti la stessa cosa: il mondo come lo conosciamo non reggerà un ulteriore aumento dei combustibili fossili su larga scala. Eppure, secondo gli ultimi dati del centro studi Carbon Tracker, in questo momento ci sono in rampa di lancio nuovi progetti di estrazione per mille miliardi di dollari entro il 2030. È il contesto della sesta giornata di Cop27 in Egitto, per certi versi la più importante: quella sulla decarbonizzazione.

Per i paradossi di cui sono fatte le Cop, è stata soprattutto la giornata dell'industria oil&gas e della sua nutrita delegazione da oltre 600 persone accreditate, qui a presidiare sia le politiche che la narrativa (alle Cop contano entrambe, per certi versi più la seconda che la prima). E così la giornata della decarbonizzazione è diventata quella del «gas pulito».

L'Egitto, che guida il negoziato e ne detta l'agenda, ha dato alla Cop27 un'impostazione che ne riflette in pieno gli interessi energetici di paese esportatore di idrocarburi: nella giornata della decarbonizzazione sono stati ben tre gli eventi di alto profilo legati al futuro del gas, che qui nelle stanze di Sharm El Sheikh ha un aspetto diverso da quello che si legge nei rapporti Onu o dell'Agenzia internazionale dell'energia (Iea).

La scienza ce lo descrive come un pessimo affare (economico e climatico) già a partire dalla seconda metà di questo decennio, alla Cop27 si sta rafforzando invece la visione del gas come energia di transizione, l’energia della transizione perenne, della corsa da fermo mentre il mondo si rompe.

Per il ministro egiziano del petrolio Tarek el-Molla: «Il gas è il combustibile fossile più pulito, la perfetta soluzione col giusto equilibrio, continuerà ad avere un ruolo chiave nel mix energetico». Per l'Agenzia internazionale dell'energia si rimane nei parametri dell'accordo di Parigi solo se la ricerca di nuovi pozzi si ferma subito e se il suo utilizzo come fonte di elettricità scende del 97 per cento entro il 2040. Solo una delle due visioni può essere vera, nei tavoli ufficiali di Cop27 sta passando la prima, la stessa del governo italiano, la stessa dell'amministratore delegato di Eni Descalzi, anche lui arrivato a Cop27 per presidiare investimenti e prospettive.

Nel World Energy Outlook la Iea ha previsto un'accelerazione della transizione per effetto della guerra in Ucraina, ma i grandi paesi industrializzati stanno ancora andando nella direzione opposta e Cop27 è un buon termometro nella tendenza. Il padiglione canadese ha ospitato un evento con Suncor e Imperial Oil, che producono il 95 per cento del petrolio da sabbie bituminose del Canada e sono parte di Pathways Alliance, un'organizzazione che promuove una seconda vita dei combustibili fossili grazie alla cattura e stoccaggio della CO2, che succhia via e conserva sotto terra le emissioni della produzione, una tecnologia che sembra credibile solo a Cop27: per l’Ipcc (il braccio scientifico dell’Onu) è la via più costosa e meno efficace tra quelle proposte per la mitigazione.

Secondo Oil Change International, il Canada è il secondo paese al mondo per investimenti fossili pubblici fuori dai propri confini, al primo posto c'è il Giappone, con 10 miliardi di dollari all'anno. Il 70 per cento dei nuovi progetti di gas è in Nord America. Dell’Italia delle nuove trivelle sappiamo. E questa è la Cop africana: il continente continua a non ricevere fondi sufficienti per adattamento, danni e perdite, in compenso è terra di conquista per l'oil and gas: più di 800mila chilometri quadrati di licenze di estrazione negli ultimi cinque anni, più della superficie di Francia e Italia messe insieme.

Ma c'è una storia che più di tutte sintetizza la giornata della decarbonizzazione ed è stata l'intervento di uno dei delegati dell'industria fossile, Vicki Hollub, ceo di Occidental Petroleum, produttore texano: «Chi chiede la fine di petrolio e gas non ha idea di cosa significherebbe». Può essere vero o falso, il punto è che per azzerare le emissioni bisogna mettere fine al petrolio e al gas e farlo in trent'anni.

È il motivo stesso per cui 35mila delegati sono arrivati in Egitto. Altrimenti si stava a casa ad aspettare la fine del mondo. Ma questo è il tipo di impostazione politica che portano i rappresentanti di un'industria che non sta mostrando nessun desiderio di conversione o transizione. Incalzata durante l'evento, Hollub ha calcato la mano, rispondendo a una domanda sui disastri climatici in Pakistan.

«Non sono un problema dell’industria oil and gas. Chiunque usi un prodotto fatto grazie al gas e al petrolio ha un ruolo ed è responsabile. Avete l'iPhone? Siete responsabili. Avete preso un aereo per venire qui? Responsabili. Se pensate che le aziende oil and gas debbano sparire, non vi rendete conto di cosa succederebbe: niente più televisione, niente più macchina, la transizione deve essere disegnata meglio, dovete pensarci bene».

Questo è stato il tono della giornata dedicata all'energia e guidata dall'Egitto verso il festival dell'idrocarburo. Come ha detto John Beard, un attivista contro le zone di sacrificio del Texas, arrivato qui a Cop27, «questa non è stata la giornata della decarbonizzazione, è stata la giornata della ricarbonizzazione».

Uno sguardo al Global Carbon Budget

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Tra i dati presentati, quelli più espliciti sono quelli del Global Carbon Budget ai quali ti accennavo ieri.

Come sono?

Brutti, sono brutti, inutile girarci intorno.

Le emissioni sono un budget, una risorsa limitata, sappiamo dove si trova il limite consentito prima di superare le soglie critiche che romperebbero in modo irreversibile il clima. Nel 2022 ci siamo mangiati una bella fetta di questa torta di carbonio. Le emissioni di CO2 da combustibili fossili sono cresciute dell'1,0% quest'anno, raggiungendo un nuovo record di 36,6 miliardi di tonnellate di CO2. Il totale, aggiungendo quelle che derivano da agricoltura e deforestazione, sale a 40,5 miliardi di tonnellate. I combustibili fossili sono il 91% delle emissioni di CO2, il land use è il 9% (e di questo 9% quasi due terzi derivano da solo tre paesi: Brasile, Indonesia e Repubblica Democratica del Congo). Se scattassimo una foto nel 1950, le proporzioni tra energia e land use sarebbero invece quasi pari. Poi è iniziata la corsa di carbone, petrolio e gas.

Il carbone è stato responsabile nel 2022 per il 40 per cento delle emissioni fossili, il petrolio del 32 per cento, il gas del 21 per cento. L'aumento più corposo nel 2022 è venuto dal petrolio (siamo tornati a spostarci parecchio). La concentrazione di CO2 ha raggiunto un nuovo record: 417,2 parti per milione. Abbiamo una possibilità su due di sfondare la prima soglia critica di +1.5° già tra nove anni. Che impegni hai nel 2031 quando forse succederà?

Una chiacchierata con Disha Ravi

Oggi ho incontrato Disha Ravi ed è stato molto bello. Disha è l'attivista di Fridays for Future India arrestata durante una manifestazione a supporto degli scioperi dei contadini all'inizio del 2021. Era diventata un caso internazionale, aveva contribuito a sradicare la narrazione di Fridays for Future come movimento innocuo e colorato da trattare con scanzonato paternalismo. Il suo arresto aveva fatto capire quanto fossero disposti a mettere in gioco per la giustizia climatica.

Ravi è a Cop27, il primo viaggio fuori dall'India della sua vita, ha dovuto chiedere un'autorizzazione, proprio per la sua storia penale di un anno e mezzo fa, ed è quindi anche alla sua prima Cop: «Nonostante la confusione, qui provo speranza, ed è la mobilitazione a darmi speranza», mi ha detto. Abbiamo parlato di molte cose, seduti su un gradino in attesa dell'intervento di Biden.

Di come il movimento giovanile per il clima stia cambiando, per esempio. «Non dobbiamo solo essere fuori dalle stanze a urlare slogan, dobbiamo essere anche dentro le stanze, coordinandoci con i gruppi che seguono ufficialmente i negoziati, come YOUNGO, il gruppo giovanile che partecipa al processo. I giovani fuori le stanze negoziali e quelli dentro le stanze sono più uniti di quanto siano mai stati».

L’apertura a voci dal mondo di un movimento partito come bianco ed europeo. «C'è finalmente molta più rappresentazione delle persone che stanno sul fronte vivo della crisi climatica. Ora mi sento a casa in Fridays for Future, prima effettivamente il movimento era troppo bianco, ma le persone bianche stanno facendo un viaggio enorme per capirci e darci voce. Sai chi non capisce ancora? I media, che danno ancora spazio solo alle voci bianche e famose. Sono i media a separarci per colore».

Su Greta Thunberg e il suo essersi messa fuori dall'inquadratura. «Ha sempre dato spazio agli altri, ancora una volta lo ripeto: sono i media, è il racconto dei media. Mi è capitato in continuazione questo tipo di episodio: un panel di persone da ogni parte del mondo, un piccolo intervento di Greta per introdurci, poi le nostre storie, nel dettaglio, ma i giornali il giorno dopo cosa scrivevano? C’era Greta con altri attivisti. Ma come? Anche noi abbiamo dei nomi, non sono difficili da imparare e scrivere».

E su noi, su tutti, su cosa è l'attivismo. «L'attivismo ha tante forme diverse. I giornalisti che raccontano le storie sul clima sono attivisti. Il mio lavoro di organizzazione delle persone per il clima è attivismo. La musica può essere attivismo, gli insegnanti possono essere attivisti, gli educatori possono essere attivisti, gli avvocati possono essere attivisti, fare il proprio lavoro con il clima in mente è già fare attivismo».

Nessuno è neutrale in questa storia, nessuno può essere neutrale, a prescindere dal lavoro che si fa, dal proprio posto nel mondo.

Per stasera da Sharm El Sheikh è tutto, se vuoi scrivermi oppure mandarmi della frutta l'indirizzo è: ferdinando.cotugno@gmail.com, o, se sei in Egitto, ferdinando.cotugno@proton.me. Buona serata, stai bene, è tardi, riposa, noi ci sentiamo domani più o meno a quest'ora.

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