Un evento con le massime cariche dello stato ha segnato la fine di Youth4Climate e l’inizio di PreCop26. Gli eventi - entrambi preparatori a Cop26, la grande conferenza sul clima prevista per questo novembre a Glasgow - sono stati fortemente voluti dal governo italiano, e per questo non sfigurare era essenziale per i nostri politici presenti.

Sul grande palco della sala plenaria - allestito per l’occasione in una mise diversa dagli altri giorni - si sono alternati il Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, il presidente del consiglio Mario Draghi, il primo ministro britannico Boris Johnson (in videoconferenza), il Segretario generale delle Nazioni unite, Antònio Gutterres (con un videomessaggio), il commissario al Green deal europeo Frans Timmermans, l’Inviato speciale per il clima del presidente degli Stati uniti John Kerry.

Le pagelle

Dare un voto agli interventi del summit non è facile - qualunque climatologo, siamo certi, giudicherebbe tutti gravemente insufficienti senza troppe distinzioni. In questa sede si è preferito quindi valutare i risultati politici di questo incontro: chi ha superato le aspettative e chi le ha deluse, chi esce vittorioso e chi è apparso debole.

Roberto Cingolani: il primo giorno lo abbiamo bocciato con un sonoro cinque per la sua freddezza, il secondo abbiamo premiato con un otto la scelta di rispondere alle domande dei giovani delegati. Il giudizio complessivo sta inevitabilmente nel mezzo: Cingolani con questo evento sembra aver tentato di uscire dall’immagine del cattivo, dell’anti-ambientalista per definizione che si è costruito - forse senza volerlo - a furia di esternazioni su nucleare e radical chic.

L’obiettivo è solo parzialmente raggiunto se guardiamo ai suoi discorsi - l’uomo non sembra avere la stoffa del Cicerone - ma se consideriamo la sua presenza complessiva all’evento la situazione cambia. Cingolani nei tre giorni di Youth4Climate non ha quasi mai lasciato il Congresso, ha girato tra i tavoli e chiacchierato coi delegati, si è mostrato empatico con gli interlocutori.

Quando Di Maio ha dato forfait si è inventato il botta e risposta coi delegati, quando un gruppo di lavoro ha rotto il protocollo cambiando le sue linee guida Cingolani ha esortato gli altri colleghi «a lavorare come meglio credono». La prova nell’insieme è superata, e in questi giorni si è visto un Cingolani diverso dal solito - meno gaffeur e più umano. Ma senza un cambio nella politica su trivelle, gas, trasporti, non basterà l’empatia per riconquistare il cuore degli attivisti. Voto 7

Mario Draghi: freddo, anzi glaciale. Non azzarda discorsi immaginifici sugli effetti del riscaldamento globale, non mostra grande emozione di fronte alle contestazioni che riceve. Quando cerca di rispondere a Greta - citando esplicitamente il bla-bla-bla ormai celebre - lo fa in modo poco efficace, indeciso se attaccare frontalmente l’attivista o mettercisi comunque sulla scia.

Sui contenuti non va meglio, e oltre alla promessa dei più 1.5°C - ormai quasi scontata - Draghi parla senza dire quasi nulla. Unica eccezione, un passaggio poco raccontato in queste ore ma fondamentale: «gli aiuti per la transizione devono essere a fondo perduto» dice Draghi «non prestiti».

Solo parole per ora, anche perché i fondi per la transizione sono pochissimi qualunque sia la forma usata per scambiarli, ma comunque una risposta alle richieste del sud del mondo. Sarà interessante seguirne gli sviluppi, ma nemmeno questo basta a salvarlo dall’insufficienza comunicativa. Voto 5

Boris Johnson: quando inizia a parlare, tutti in sala trattengono le risate. Johnson non fa nulla per nascondere il suo marcatissimo accento british, anzi, lo accentua salutando la platea con un «buongiorno from London». Il primo ministro si sofferma sulle sofferenze di «centinaia di milioni di persone» a causa della crisi climatica, rivendica il ruolo della Gran Bretagna nella transizione ecologica («avevamo l’80 per cento di energia da carbone, ora la gran parte del nostro mix è pulito»), si rivolge da pari agli attivisti: «capisco la vostra rabbia» gli dice.

Poi elenca la sua ricetta: lotta senza quartiere al carbone, sprint sulle rinnovabili («siamo l’Arabia Saudita dell’eolico» aveva detto qualche mese fa), stop ai motori a combustione, piantiamo milioni di alberi. Non fatevi ingannare dalla retorica, la sua è sempre la posizione di un conservatore dalle simpatie trumpiane, ma qualcosa nel mondo della transizione ecologica inglese si muove davvero, e Johnson sa venderlo bene. Voto 9

Alok Sharma: parla poco e senza troppa enfasi. Se nella prima giornata ci aspettavamo qualcosa di più da lui oggi, stavolta non ha più scuse. Sharma tende a sparire dietro il suo primo ministro. La sua principale preoccupazione è sull’accesso a Cop26: garantisce la Cop più inclusiva della storia, nessuno sarà escluso. Ma non scalda i cuori. Voto: 6

Frans Timmermans e John Kerry: il secondo è praticamente una star nel mondo Cop; il primo insegue, ma si fa notare. Entrambi adottano uno stile ben più netto dei colleghi italiani e inglesi, evocano vivide scene di collasso climatico, Kerry cita addirittura l’olocausto. Il primo però sceglie di non entrare nei dettagli, mentre Kerry attacca Trump, definisce insufficienti gli Ndc’s - cioè gli impegni nazionali di riduzione delle emissioni - parla di abbattere le stesse del quarantacinque per cento in dieci anni.

Il problema di entrambi è lo iato tra toni ormai a là Greta e target certo impensabili fino a qualche anno fa, ma in linea con quelli degli altri grandi paesi. Troppo presto per sapere se la loro strategia comunicativa si rivelerà vincente o se, al contrario, diventerà un boomerang: voto sospeso

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