Sotto diversi punti di vista la COP27 per l'Egitto sta andando benissimo: partnership energetiche, affari d'oro e incontri bilaterali di prestigio, da quello con Biden a quello con Meloni.

Il regime di Al-Sisi sta usando la conferenza sul clima per raccogliere risorse (come i 500 milioni di dollari portati in dote da Biden per le rinnovabili), accumulare credibilità, riposizionarsi sulla mappa del mondo.

L'evento finora sarebbe un successo in ottica egiziana, se non fosse per l'alleanza tra il movimento internazionale per il clima e quello egiziano per i diritti umani, gli unici a  mettere in discussione la narrativa di Al-Sisi come credibile interlocutore africano per il mondo.

Il corteo ecologista

Il simbolo di questa alleanza è Sanaa Seif, la sorella del blogger dissidente egiziano Alaa Abdel Fattah, che ha trascorso otto degli ultimi dieci anni in carcere ed è in sciopero della fame e della sete contro una condanna a cinque per un post sui social.

Seif ha sfidato il regime partecipando alla conferenza, è stata aggredita da un parlamentare egiziano accompagnato fuori dalla polizia delle Nazioni Unite ed era al centro della manifestazione per la giustizia climatica che si è tenuta ieri sul suolo della COP. Diversi attivisti - tra cui il decano dell'ambientalismo americano Bill McKibben - hanno indossato una maglietta con la scritta «Free Alaa», Alaa libero.

Il corteo ecologista e per i diritti umani dentro la COP è qualcosa di insolito e di significativo, anche se c'erano poche migliaia di persone. Nel 2021 a Glasgow c'era stata una manifestazione da centomila persone: protestavano contro il greenwashing e l'immobilismo dei governi chiusi dentro la sede di COP26: ce l'avevano con il palazzo.

Un anno dopo, la sede di un altro palazzo con la stessa funzione, ospitare la COP27, era l'unico spazio sicuro in tutto l'Egitto in cui si potesse tenere una manifestazione politica, nonostante la strisciante  e costante sorveglianza della sicurezza egiziana dentro la conferenza, che passa attraverso la tecnologia (cioè l'app ufficiale) ma anche tramite appostamenti vecchia scuola per origliare le conversazioni di attivisti e giornalisti.

Perché? Perché per due settimane la sede della COP non è più Egitto, ma territorio delle Nazioni Unite. La sovranità sul Centro congressi tornerà al paese ospitante solo a manifestazione conclusa. Funziona così da sempre, fino all'anno scorso questo era solo un dettaglio con cui fare bella figura a cena, quest'anno è diventata sostanza politica.

Sanaa Seif

È per questo che Sanaa Seif dentro la COP27 può fare ciò che fuori non le è concesso, chiedere la libertà per suo fratello, ascoltare i messaggi di supporto del mondo, dare a questa storia una risonanza globale che non aveva prima. Per la società civile ambientalista la battaglia per i 60mila prigionieri politici egiziani è diventata uno dei temi centrali di questa COP, importante quanto quella per i risarcimenti climatici o quella contro i combustibili fossili.

La crepa sta diventando sempre più vistosa: «Liberateli tutti», gridavano attivisti che di solito si battono per la decarbonizzazione o la riforma della finanza. Asad Rehman, direttore di War on Want, era accanto a una commossa Seif, ha letto il messaggio di lei in inglese, poche parole che forse sono il contenuto più importante uscito finora da COP27 e che saldavano la giustizia economica, quella sociale e quella climatica nella solidarietà ricevuta dal movimento per il prigioniero politico.

«Avete trasformato un momento di disperazione in un momento di speranza. Avete trasformato lo slogan che non c'è giustizia climatica senza diritti umani in una realtà. Un giorno spero che mio fratello potrà stare qui con voi e alzare la sua voce per le persone marginalizzate. Voi tutti siete tutto quello che lui ha sempre sognato, il motivo per cui ha trascorso un decennio in prigione: un movimento dei movimenti la cui battaglia sia quella per tutta quella per tutta l'umanità».

Sul piano diplomatico, il premier britannico Sunak, il presidente francese Macron, il cancelliere tedesco Scholz e Volker Turk, alto commissario dell'Onu sui diritti umani, hanno chiesto la liberazione di Fattah.

Hossam Bahgat, direttore della Egyptian Initiative for Personal Rights, ha spiegato al Financial Times che quando l'Egitto è stato scelto per COP27 «molti hanno fatto campagna contro l'assegnazione, hanno protestato per avere una sede diversa. Noi abbiamo detto: non fatelo. Avevamo bisogno dell'attenzione e della solidarietà». Le hanno ricevute, nessuno sa come sarà la seconda e ultima settimana di COP27, che domani riposa e chiude i battenti per un giorno, è probabile che l'Egitto tenga i nervi saldi fino alla fine della manifestazione, ma quello che succederà dopo è imprevedibile.

Nel contrasto tra le libere proteste di Glasgow fuori COP26 e le proteste di Sharm tenute forzatamente dentro COP27 perché fuori avrebbero solo arricchito le schiere di detenuti politici dell'Egitto c'è una lezione su quanto la democrazia sia ancora l'unico contesto possibile per proteggere il clima.

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