Sono passati più di cinquant’anni dal primo Earth Day. Più di mezzo secolo da quel 20 aprile 1970 quando il senatore democratico Gaylord Nelson intuì le potenzialità di quello che più tardi sarebbe diventato il moderno movimento ambientalista.

A sfilare e mobilitarsi furono venti milioni di americani, che chiedevano una nuova idea di economia e di società, in cui la protezione ambientale fosse parte integrante del paese. Era da poco uscito quello che può essere considerato il primo manifesto ecologista del Ventesimo secolo, scritto da Rachel Carson: Primavera silenziosa cambiò per moltissimi il modo in cui ci si approcciava alla natura.

E oggi sembra proprio di rivedere quel senso di urgenza che guidò i primi movimenti ecologisti del secolo scorso, mettendo una certa industria e un certo sistema economico di fronte alle proprie responsabilità nei confronti dell’intera società, non solo dell’ambiente naturale.

Parlano i numeri

Un senso di urgenza dettato dalla realtà dei numeri: qualche giorno fa il Servizio per il cambiamento climatico di Copernicus ha rilasciato l’annuale rapporto sul clima europeo sottolineando come l’Europa abbia vissuto la seconda estate più calda mai registrata, accentuata da diversi eventi estremi, tra cui intense ondate di calore, condizioni di siccità e vasti incendi boschivi.

Non solo, le temperature del vecchio continente stanno aumentando a un tasso doppio rispetto alla media globale e più velocemente rispetto a qualsiasi altro continente. Ma se il 2022 da una parte è stato l’anno dei record per gli effetti della crisi climatica, dall’altra è anche l’anno in cui si è registrato il “punto di svolta” per quanto riguarda la produzione di elettricità da solare ed eolico a livello globale.

Secondo la Global electricity review, le due fonti rinnovabili hanno raggiunto il valore record del 12 per cento di produzione elettrica globale. Insieme, le fonti a bassa intensità di carbonio (rinnovabili e nucleare) hanno coperto il 40 per cento della produzione globale. Secondo gli autori già il prossimo anno, eolico e solare “potrebbero spingere il mondo verso una nuova era di diminuzione della produzione da fonti fossili, e quindi di riduzione delle emissioni del settore energetico”.

La tendenza

C’è un altro punto poi da tenere bene a mente. Nonostante le emissioni globali sia di CO2 sia di metano (CH4) abbiano raggiunto livelli mai così alti da metà Ottocento – e in milioni di anni –, le emissioni dell’Unione europea rimangono ad un livello inferiore rispetto a prima della pandemia (quando effettivamente si ebbe un calo significativo).

Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, se consideriamo l’intero periodo 1990-2021, esiste ancora una chiara tendenza a lungo termine alla riduzione delle emissioni nell’Ue, che sono calate di circa il 30 per cento dal 1990 al 2021, mentre l’economia è cresciuta del 61 per cento. Ciò significa che le politiche di riduzione funzionano, seppur ad un ritmo inferiore da quanto richiesto dai vari scenari. L’Italia è più o meno in linea, anche se secondo l’inventario dell’Ispra le emissioni del paese sono aumentate dell’8,5 per cento in un solo anno (2020-2021), pur in un trend di diminuzione del 20 per cento rispetto al 1990.

Quale la riflessione dunque in questa giornata? Il mondo scientifico ci sta dicendo da tempo che la finestra per agire si sta per chiudere e che già oggi stiamo vivendo gli effetti di un sistema climatico compromesso, ma ci dice anche che abbiamo tutte le soluzioni a disposizione, in particolare per quanto riguarda la produzione energetica e il settore industriale. Dall’altra parte invece esiste una certa politica e un certa industria che spinge per mantenere il business as usual del secolo scorso.

Cambio generazionale

Ma come accaduto cinquant’anni anni fa, il senso di urgenza sembra oggi avere nuova linfa, una nuova spinta. Nel giro di qualche anno parte dell’opinione pubblica ha dato vita ad un ambientalismo nuovo, forse più evoluto, certamente spinto anche da un cambio generazionale.

Non mancano gli estremismi o una certa radicalizzazione, che tendono a polarizzare in certi casi il dibattito, ma che comunque ci portano ad una riflessione più profonda sul momento storico che stiamo vivendo. In qualche modo ci obbligano a mettere in discussione un sistema con troppe crepe.

La pandemia prima e la guerra in Ucraina poi, hanno portato molti a rivedere se non ripensare la propria idea di società, di economia, di futuro, forse spinti proprio da questo senso di urgenza. Quel che è certo e che la Giornata della Terra di quest’anno cade in un momento cruciale alimentato sì dall’emergenza, ma anche dalla speranza e dal pragmatismo.

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