È atteso per mercoledì 12 luglio il voto in plenaria del Parlamento europeo che determinerà il futuro della legge per il ripristino della natura (Nature restoration law).

Già, perché quella proposta dalla Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (Envi) a fine giugno, ha rischiato di naufragare a causa delle pressioni del Partito popolare europeo, definite dal Wwf International «senza precedenti», che ne aveva proposto la bocciatura grazie a decine di emendamenti che ne stravolgevano gli obiettivi.

Al voto del 20 giugno a cui hanno partecipato i ministri dell’Ambiente dei paesi membri si erano espressi contrari Finlandia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia e in particolare l’Italia, con il ministro Gilberto Pichetto Fratin che considerava la proposta non in grado di assicurare «un adeguato bilanciamento tra obiettivi, fattibilità e rischi» e sottolineando come «non possiamo permetterci che non sia applicabile, efficace e sostenibile da tutte le categorie interessate, tra cui agricoltura e pesca».

Settore agricolo

Ma la proposta di legge per il ripristino della natura va in tutt’altra direzione e anzi vuole tutelare e ripristinare gli ambienti degradati, proprio per proteggere anche i settori agricoli e della pesca.

«Uno degli obiettivi della Nrl è garantire la sicurezza alimentare a lungo termine», spiega Andrea Goltara, direttore del Cirf (Centro italiano riqualificazione fluviale). «Il mito che questa possa essere minacciata da azioni di ripristino della natura altro non è che la narrazione dell'industria agroalimentare e dei suoi interessi acquisiti per opporsi a qualsiasi misura ambientale».

Che cos’è la Nature Restoration Law

La proposta di legge inserita nel “Pacchetto natura”, approvato a giugno dello scorso anno, nasce con l’intento di istituire obiettivi giuridicamente vincolanti per gli stati membri, per ripristinare entro il 2030 almeno il 20 per cento delle superfici terrestri e marine dell’Unione, il 15 per cento della lunghezza dei fiumi entro il 2030 e la realizzazione, sempre entro il 2030, di elementi paesaggistici ad alta biodiversità su almeno il 10 per cento della superficie agricola utilizzata.

L’adozione di misure per migliorare la biodiversità nei terreni agricoli ha impatti positivi diretti sulla produzione agricola: tra questi il miglioramento della qualità dei suoli, che garantisce il trattenimento dell’acqua che viene poi resa disponibile alle colture; o il ripristino di aree naturali, fondamentale per la salute delle popolazioni di impollinatori.

«Per fare ciò serve dare spazio alla natura nei paesaggi agricoli sotto forma di aree non coltivate, come siepi, aree fiorite, zone umide o altri habitat lasciati o gestiti esclusivamente per la fauna selvatica», continua Goltara.

La proposta fa parte della più ampia strategia sulla biodiversità per il 2030, pilastro fondamentale del Green Deal europeo, che a molti dell'attuale governo sembra essere piuttosto indigesto.

Si tratta invece di una visione a lungo termine che considera il ripristino della natura come la migliore polizza assicurativa per l'adattamento alla crisi climatica, in quanto capace di aumentare la risposta a siccità, inondazioni e altri eventi meteorologici estremi.

Non solo, ma è ampiamente dimostrato come il ripristino di ecosistemi come torbiere, foreste e praterie possa contribuire a ridurre le emissioni e a sequestrare milioni di tonnellate di carbonio ogni anno, aiutandoci a mitigare gli effetti che stiamo già vivendo negli ultimi anni.

«Il 12 luglio, il Parlamento europeo non solo deciderà sul destino della legge sul ripristino della natura e del Green Deal dell'Ue, ma invierà anche un segnale al mondo. I deputati europei ascolteranno gli Stati membri, i messaggi di oltre 900.000 cittadini, più di 3.300 scienziati e oltre 100 imprese e varie parti interessate che li esortano a garantire il nostro futuro?», si chiedeva Sabien Leemans responsabile delle politiche sulla biodiversità presso il Wwf Eu.

In favore si sono espresse circa un centinaio di aziende che operano nei settori di consumo, finanza ed energia, tra cui Nestlé, Unilever e Ikea, chiedendo «l'adozione urgente di una legge sul ripristino della natura ambiziosa e giuridicamente vincolante», convinti che «sarà uno strumento chiave per affrontare la crisi climatica e della biodiversità e per garantire la sostenibilità e la fattibilità a lungo termine della società e dell'economia».

La natura come alleata

Il nostro paese arriva da una delle siccità più lunghe e persistenti degli ultimi secoli, mentre secondo i dati Copernicus il mese di giugno è stato il più caldo a livello globale per quanto riguarda la temperature superficiali dell'aria, superando di poco più di 0.5°C la media per il periodo compreso tra il 1991 e il 2020.

Eventi estremi che a cascata vanno ad incidere sulla natura e il suo funzionamento: non si tratta solo di perdere ecosistemi o habitat, si tratta di perdere il contributo al benessere umano. È quel meccanismo piuttosto chiaro nelle scienze, definito di feedback positivo: all’aumentare dei fenomeni estremi climatici si registra una riduzione delle risposte del sistema Terra, aumentando di contro gli impatti.

Esiste poi tutta una letteratura scientifica più o meno ampia che dimostra come l’agricoltura intensiva abbia un impatto sulla riduzione della biodiversità e come vada a incidere sul funzionamento stesso degli ecosistemi naturali.

Con questo non si intende certo tornare agli anni Cinquanta del secolo scorso, o sminuire gli enormi passi in avanti fatti nel settore agroalimentare, piuttosto considerare l'agricoltura e il ripristino della natura come degli alleati.

«La Nrl non potrà che aumentare la necessaria resilienza delle aree agricole, che devono sempre più confrontarsi con gli impatti negativi della crisi climatica», conclude Goltara.

«Il ripristino della natura così concepito assicura che le attività economiche possano continuare a prosperare. Le associazioni agricole stanno mistificando i contenuti della proposta di legge andando contro gli interessi degli agricoltori italiani».

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