Sull'uscio di casa dell'Unione europea sta vedendo la luce un progetto che si fa beffe della più grande emergenza di questi anni e dei decenni a venire, quella climatica. È la massiccia espansione della centrale a carbone di Tuzla, in Bosnia-Erzegovina.

Un'opera, denominata Tuzla 7, fuori tempo massimo e che rientra addirittura nello sconfinato corridoio che attraverserà mezzo pianeta e risponde al nome di Belt and Road Initiative, la “nuova via della seta” fortemente voluta da Pechino, a cui anche il nostro governo strizza l'occhio.

L’accordo del 2017

Dell'allargamento a dismisura del piccolo impianto esistente si parla dall'inizio dell'ultimo decennio, ma è solo nel 2017 che le cose prendono una decisa accelerata.

Nel novembre di quell'anno, durante il summit tra Cina e paesi dell’Europa Centro-orientale, la China Exim Bank accorda al governo bosniaco un prestito per l'85 per cento dei 720 milioni di euro previsti per la realizzazione della centrale, a fronte della promessa di una garanzia totale da parte dello stesso esecutivo di Sarajevo. E qui c'è già un primo, grosso intoppo.

La Bosnia-Erzegovina è infatti anche firmataria dell’Energy Community Treaty, trattato che si pone l’obiettivo di integrare i mercati energetici dei paesi vicini all’Ue con quello unico europeo, oltre a prevedere importanti paletti in materia ambientale e di concorrenza. La centrale di Tuzla va di fatto contro questo trattato, tanto che la Energy Community apre una procedura di infrazione, ancora pendente.

Nel frattempo l'Energy Community pubblica anche un rapporto, datato 2019, che certifica come senza sovvenzioni dirette e indirette tutte le centrali a carbone nei Balcani non siano redditizie. Ma in un paese con un sistema politico così frammentato come la Bosnia e dove la leva della disoccupazione, attualmente attestatasi intorno al 18 per cento, è azionata fin troppo spesso dai politici locali e nazionali, non stupisce che l'espansione della centrale di Tuzla stia per iniziare, tanto che a breve faranno la loro comparsa i primi operai cinesi.

Dei rimanenti 75 milioni necessari si fa carico un consorzio di banche europee, di cui fa parte da fine 2019 Intesa Sanpaolo.

Sul campo la situazione è molto turbolenta. La nuova unità si andrebbe ad aggiungere a un impianto che è attivo da più di cinquant’anni.

Abdel Ðozić, professore di ingegneria ambientale presso la facoltà di Tecnologia di Tuzla, descrive l’abbandono delle comunità locali al loro destino, con gli studi indipendenti sulla salute come ultimo baluardo prima dell’oblio: «Abbiamo trovato concentrazioni molto elevate di mercurio e metilmercurio. Quando si trova metilmercurio nei capelli, significa che la persona è avvelenata».

Goran Stojak, presidente della circoscrizione di Bukinje, conferma: «Queste persone non hanno più desideri. Chiedono solo che si smetta di avvelenarle e di avere cure mediche».

Oltre alla centrale

La centrale non è però l’unica fonte di preoccupazione, come racconta Jozo Tunjić, assessore della frazione di Bistarac Donji: «Quando soffiano venti da est, l'inquinamento prodotto dalla centrale arriva qua, quindi anche alla città di Lukavac. E la costruzione della futura discarica dovrebbe essere a nord, perciò saremmo circondati su due o tre lati».

La discarica in questione è quella di Šićki Brod, che subentrerà all'attuale che ha esaurito la sua capacità di raccolta e si presenta come un lago di acque reflue e cenere. Secondo la locale organizzazione ambientalista Center for Ecology and Energy, questo invaso così inquinato minaccia di infiltrare le falde acquifere dell’area. Anche la nuova discarica servirà allo smaltimento di scorie e ceneri generate dal processo di combustione e ha già incontrato la forte opposizione delle comunità di Tuzla e Lukavac.

Nel marzo del 2020, quando anche la Bosnia-Erzegovina è entrata in lockdown per prevenire la diffusione del Covid-19, sono iniziati dei lavori preparatori per Tuzla 7.

Alcune decine di operai hanno provato a trasportare dei rifiuti industriali verso la nuova discarica, passando attraverso Bukinje, dove però la comunità locale ha reagito predisponendo vari blocchi stradali e inscenando una manifestazione molto partecipata nonostante il divieto di assembramento predisposto dalle autorità. Il che la dice lunga sul livello di esasperazione della popolazione del villaggio alle porte di Tuzla.

«Chiunque investa anche solo un euro per un'impresa del genere è complice», è l'accusa rivolta ai finanziatori da Senad Isaković Roko, presidente dell'associazione eco-sportiva di Šićki Brod.

Un riferimento al coinvolgimento di Intesa Sanpaolo nel controverso progetto. L'istituto di credito si difende affermando che il prestito è stato garantito nel novembre del 2019, ovvero sei mesi prima che fosse approvata la sua politica che limita il sostegno al comparto carbonifero. Anche se va detto che nelle linee guida di Intesa Sanpaolo è formulata una distinzione tra i paesi Ocse e quelli non Ocse che lascerebbe intendere una sorta di doppio standard che però la banca nega.

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