Per capire se avrà successo l’accelerazione della transizione ecologica promessa da Mario Draghi si dovrà guardare non tanto a quanto il ministro Roberto Cingolani sarà capace di fare, quanto piuttosto al dicastero guidato da Dario Franceschini. Gli investimenti nelle fonti rinnovabili sono infatti fermi per lo stop ai progetti imposto dalle soprintendenze ai Beni culturali, ma nessuno si preoccupa di affrontare un evidente problema politico e di funzionamento della pubblica amministrazione.

Questa situazione è quanto mai chiara leggendo i risultati delle aste per l’accesso agli incentivi per eolico e solare. Nell’ultima, chiusa a gennaio, neanche un quarto dei MW messi a disposizione è stato assegnato, come deludenti erano stati i numeri nelle assegnazioni del 2020. La beffa è doppia, non solo sono fermi gli investimenti che permetterebbero di produrre in Italia energia pulita ma si riduce la concorrenza e quindi paghiamo incentivi più alti. A confronto con gli altri paesi del Mediterraneo l’energia elettrica prodotta con il solare ha un costo maggiore che non ha giustificazioni.

Se non si affronterà questa situazione saranno sprecate anche le risorse del Recovery plan, che nella versione approvata a gennaio dal governo Conte prevede diversi miliardi di euro per impianti offshore eolici e fotovoltaici, per impianti cosiddetti “agrisolari”. Senza considerare che il solare in larga parte d’Italia è già competitivo e avrà sempre meno bisogno di incentivi, se solo non trovasse tante barriere davanti.

Troppo poco

L’accorpamento di energia e ambiente nel nuovo ministero della Transizione ecologica è sicuramente un passo avanti ma poco potrà fare rispetto a questa realtà. In questi anni sono stati proposti decine di progetti in mare per catturare il vento e sono stati tutti bocciati dalle strutture territoriali del ministero dei Beni culturali, anche quando erano a oltre dieci chilometri dalla costa. Stessa sorte hanno avuto larga parte dei progetti di impianti solari che riguardano tetti di edifici in aree con vincolo paesaggistico, ossia quello più esteso che in Italia interessa circa il 40 per cento del territorio.

Sulle piccole isole troviamo la situazione più incredibile: l’energia elettrica è garantita da vecchi impianti diesel sporchi e inefficienti, ma nulla potrà mai cambiare. Per le soprintendenze l’eolico e il solare sui tetti sono brutti, degradano il paesaggio e quindi vengono bocciati. Gli esempi sono innumerevoli, da nord a sud, da edifici agricoli a brutte palazzine costruite nel dopoguerra il cui tetto è visibile da un edificio vincolato.

La tesi che viene sostenuta ha anche un suo fondamento teorico, il compito loro assegnato per legge è quello di tutelare un valore primario che ha un riferimento stampato nell’articolo 9 della Costituzione italiana. Spetta ad altri trovare risposte all’emergenza climatica, salvo non vadano in conflitto con il paesaggio.

Il tema è quanto mai di attualità con il nuovo governo e chi si trova nella situazione più complicata è il partito democratico, escluso da tutte le poltrone dei ministeri che guideranno le scelte energetiche e ambientali ma con la possibilità di partecipare alla cabina di regia politica delle decisioni con il ministro Franceschini, che però lì sta a rappresentare il ministero dello stop alle rinnovabili. Da una situazione di questo tipo si potrà uscire solo alzando il livello del confronto, coinvolgendo anche quel ministero nel trovare soluzioni alla sfida di integrare i progetti nei paesaggi con criteri di valutazione e procedure trasparenti, che coinvolgano i cittadini. L’alternativa è far finta che il problema non esiste e sprecare le grandi opportunità di rilancio che Next Generation Ue ci mette a disposizione.

 

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