«Non abbiamo alcuna speranza di emergere da questa crisi a tutto campo se non riduciamo drasticamente l'attività economica. La ricchezza deve essere distribuita ma deve anche essere ridotta. Ma questa nozione, che dovrebbe essere centrale per una nuova etica ambientale, è una blasfemia secolare».

Cosi George Monbiot concludeva il suo editoriale sul Guardian dal titolo La Crescita verde non esiste – meno di tutto è l’unica via per evitare la catastrofe.

Incasellare questo editoriale, che ne segue tanti altri non meno chiari e netti, come uno scritto estremista, romantico, radicale o radical-chic etc, impedisce di vedere la profondità della crisi o la vede come fenomeno “ordinario”, dal quale si pensa di poter uscire con lo stesso approccio antropocentrico che a questa crisi ci ha portati.

Scatole separate

Sulla crisi planetaria si assiste continuamente a ragionamenti per scatole separate, il riscaldamento, la deforestazione, l’inquinamento, la perdita di biodiversità, ecc. Basta osservare come i diversi stress ambientali interagiscano tra loro, per capire come ragionare per scatole separate sia sbagliato; ma anche connetterle tra loro con legami semplici o pensare ad un sistema di scatole cinesi è insufficiente, perché la questione di fondo è che c’è un’unica scatola: il pianeta terra.

Tra non molto occorrerà occuparsi anche degli impatti umani su altri pianeti ma fermiamoci alla Terra che, è bene ricordarlo, è un sistema chiuso, in quanto non scambia materia, ma solo energia con l'universo circostante, con la conseguenza principale che le sostanze che sono utilizzate dalle piante per auto-costruirsi devono venire riciclate, pena andare incontro ad esaurimento.

Per evitare che al crescere della consapevolezza sulla gravità della crisi e sulle insufficienti risposte date fino ad oggi corrisponda pessimismo e rischio di disimpegno, quando si parla di impatti negativi o disastro occorre affiancare le possibili soluzioni, gli impatti positivi i co-benefici ottenibili.

Partendo dalla stima che solo il 2,8 per cento della superficie terrestre può essere considerata funzionalmente intatta ma solo l'11 per cento di questi territori sono inclusi in aree protette esistenti e solo il 4 per cento in aree chiave per la biodiversità, si può dare un messaggio preoccupante, mentre aggiungendo che queste aree possono aumentare fino al 20 per cento ripristinando la loro composizione faunistica con la reintroduzione di meno di 5 specie, a patto che siano mantenuti bassi gli impatti umani, si da un messaggio di speranza.

La transizione energetica si può affrontare partendo dai rincari delle bollette e addebitandone la responsabilità al passaggio alle rinnovabili, oppure partendo dalle difficoltà di approvvigionamento di gas e dai suoi costi crescenti, ma così facendo si confonde la causa, i ritardi strategici nell’abbandonare le fossili e imboccare rinnovabili, risparmi e efficientamenti, con l’effetto, appunto una lunga transizione ancora basata su risorse fossili che producono CO2 e metano, che si sostiene non possano più crescere.

Una salute unica

Anche sulla salute umana c’è la necessità di cambiare registro di ragionamento, a favore di quell’approccio complesso definito “One Health”, che significa una sola salute, umana, animale e ambientale.

Anche qui, la scommessa è totale, perché se si rimane dentro vecchi schemi, anziché pensare a prevenire si cercano soluzioni per curare meglio, per dare migliori servizi, magari territoriali e non solo ospedalieri, tutti elementi importanti ma di un sistema che vede la salute umana al centro, e non gli esseri viventi e gli ecosistemi.

Ecosistemi e clima presentano il conto alla convinzione della crescita illimitata: altro che catastrofisti quelli che 50 anni fa presentavano queste previsioni; sull’orlo del precipizio è l’ora delle responsabilità e, come sostenuto dall’Onu e da oltre 200 riviste scientifiche, ogni stato è chiamato a dare il suo contributo in ragione delle proprie disponibilità, in una gara per salvare la salute planetaria.

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