Eni sta provando a ottenere i soldi del Recovery fund con il suo progetto di Ravenna per “pulire” il metano e produrre idrogeno, il tutto con la benedizione del premier Giuseppe Conte e del presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini. Per gli ambientalisti è solo una strategia a favore delle fonti fossili. Rossella Muroni, deputata di Liberi e Uguali ed ex presidente di Legambiente, nota che il progetto permetterebbe a Eni di evitare i costi della dismissione dei giacimenti da cui estraeva gas.

Il prezzo dell’operazione è un investimento di 2 miliardi per stoccare 4-5 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2) all’anno dal 2025, fino a cinquecento milioni di tonnellate di CO2 totali nei giacimenti dismessi in Adriatico. L’equivalente di quelle che l’Italia produce in un anno.

Il progetto Adriatic Blue

Il progetto si chiama Adriatic Blue e la tecnologia utilizzata “Ccs”, cattura e stoccaggio del’carbonio. L’idea è quella di creare un grande centro di stoccaggio della CO2 nei giacimenti dismessi di Ravenna e dell’Adriatico dove veniva estratto il gas. L’avvio, se verrà autorizzato, sarà entro il 2021 con 2 milioni di tonnellate. Una prima fase prevede la cattura e lo stoccaggio di parte delle emissioni provenienti dalle centrali a gas di Casal Borsetti e dal polo chimico di Versalis di Ravenna. Il giacimento individuato per lo stoccaggio di CO2 è quello di Porto Corsini Mare Ovest. Da una parte l’operazione consentirà di ridurre le emissioni e di sperimentare nuovi utilizzi per l’anidride carbonica – per esempio nei materiali per l’edilizia -, dall’altra apre una nuova strada al gas. Le ipotesi di sviluppo del progetto includono infatti, oltre alla cattura e allo stoccaggio della CO2, anche la produzione di idrogeno blu, idrogeno prodotto dal metano con la cattura dell’anidride carbonica che deriva dal processo di conversione. Il prodotto verrà quindi distribuito a utenze industriali e domestiche, e usato per i trasporti.

Idrogeno da metano

Il primo a dare il grande annuncio è stato Conte agli Stati Generali: «Dobbiamo lavorare all’abbandono delle fonti fossili, a Ravenna nascerà il più grande centro al mondo di cattura e stoccaggio di CO2, quindi avremo l’energia blu, l’idrogeno integrale». Ma non ha

detto che l'idrogeno in questo caso è prodotto proprio con una fonte fossile. A inizio settembre in audizione in commissione Bilancio alla Camera, Lapo Pistelli, ex viceministro degli esteri passato nel 2017 all’Eni, ha detto che il progetto è candidato oltre che per il Fondo Innovazione anche per i nuovi aiuti europei post-Covid. L'Europa, ha ricordato, «scommette molto sulla creazione di idrogeno». I dialoghi con l’esecutivo sono in corso.

A sostegno del progetto dell’Eni si è mosso il Pd: il senatore di Ravenna Stefano Collina ha inserito nel decreto Semplificazioni un emendamento che prevede l'automatica idoneità allo stoccaggio per i siti dove c'erano giacimenti in mare. Un bell’aiuto per l’azienda. Per gli attivisti No Triv, contrari alle trivellazioni è un rischio. Ezio Corradi, uno dei portavoce, ha detto: «Con questa semplificazione lo stoccaggio può avvenire anche in pozzi situati sopra sorgenti sismiche naturali per i quali ad oggi è assente qualsiasi valutazione di rischio». La linea di Eni è che il progetto è totalmente sicuro. Per Legambiente il vero problema è che «rappresenta un ulteriore sussidio alle fonti fossili, spostando risorse pubbliche da progetti davvero innovativi».

Proprio in protesta contro il progetto di Ravenna, Rossella Muroni di LeU, pur facendo parte di un gruppo di maggioranza, si è rifiutata di votare il decreto Semplificazioni: «Nel 2020 il gas è superato e invece Eni ce lo propone come l’energia del futuro». Inoltre con questa operazione Eni «eviterà di spendere milioni di euro per dismettere le piattaforme in Adriatico».

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