“Se non hai un’automobile, non hai vita!” Che ne dite di questo slogan? In fondo siamo abituati a pubblicità che cercano di convincerci che un certo prodotto è indispensabile al nostro benessere o al nostro status sociale: dall’ultimo modello di telefonino alla carta igienica a settantasette veli. 

Le pubblicità delle auto ricordano l’America degli anni ‘50: ieri la famigliola felice in un macchinone con finiture in legno, oggi coppie o famiglie in un’auto, magari elettrica, che sfreccia silenziosa fra i grattacieli in strade misteriosamente deserte, o in un SUV che svolta dalla strada in una mulattiera di campagna.

Lo slogan che ho citato all’inizio non viene in realtà da uno spot. Chi lo ha messo nero su bianco, in un recente intervista al sito inglese Autocar, è Laurence Hansen, responsabile dello sviluppo prodotto della marca Citroen (gruppo Stellantis).

L’intervista si concludeva con una preoccupata lamentazione sui prezzi delle auto, in particolare delle auto elettriche: “Il prezzo medio di vendita in Europa per un'auto oggi è di 25mila euro. – ricordava la Hansen, e si chiedeva: – Pensiamo davvero che le persone saranno in grado di investire di più domani? Dobbiamo fare qualcosa. Con la crisi economica che potrebbe arrivare tra sei mesi, come te la caverai? Se non hai un’automobile, non hai vita”.

Hansen, come il suo amministratore delegato Carlos Tavares, piange sulla povera classe media che non potrà più permettersi automobili diventate troppo costose.

Peccato che Citroen, come quasi tutte le marche concorrenti, abbia negli ultimi due anni alzato i prezzi ben più dell’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, penalizzando la stessa classe media che dice di voler difendere. Grazie al boom dei prezzi e ai tagli dei costi, l’auto europea nel suo insieme ha segnato nel 2022 un record storico di profitti: quasi 68 miliardi di euro per i maggiori gruppi, in rialzo del 22%, nonostante le vendite di auto siano scese del 2 per cento.

Prezzi e profitti a parte, perché chi vende automobili si sente in dovere di battere sulla centralità delle quattro ruote? La politica di Tavares può essere una prima spiegazione. Abbiamo già scritto che il manager è arrivato a inventarsi un grande complotto europeo anti-auto

La settimana scorsa si è tenuto il primo “Forum sulla libera mobilità”, una sorta di lobby parallela che Stellantis ha creato quando è uscita dall’associazione europea dei costruttori di auto ACEA, a suo dire troppo debole nel difendere i diritti dell’automobile. Nel forum, cui hanno partecipato Tavares e cinque rappresentanti della società civile scelti da Stellantis, si dibatteva sul tema: “In un mondo decarbonizzato, la libera mobilità (freedom of mobility) sarà accessibile solo a pochi fortunati?”

La libera mobilità è intesa dalle case automobilistiche come mobilità a quattro ruote. Su questo tema, nel Forum auto-convocato, è arrivata qualche critica.

Yamina Saheb per esempio, analista su temi di sostenibilità energetica ed esperta dell’IPCC, ha sottolineato che “la dipendenza dall’auto è stata l’unica soluzione fornita finora alle esigenze di mobilità, a partire dai paesi sviluppati”, e ha ricordato “la quantità sproporzionata di risorse e di spazio fisico dedicata alle auto negli ultimi cent’anni, con una serie di conseguenze negative, compreso il global warming”.

Un Tavares piuttosto seccato ha risposto che “gli altri mezzi di trasporto esistono da cent’anni, ma l’auto ha vinto la battaglia. È il consumatore che decide”. Saheb ha ribattuto: “L’auto ha vinto perché non è una battaglia ad armi pari e perché ha una lobby molto abile”.

In realtà sono proprio le conseguenze di quelle che Tavares definisce “scelte dei consumatori” ad aver spinto l’Unione Europea a imporre la vendita di veicoli a emissioni zero di CO2 dal 2035 o le grandi città a bandire le auto più inquinanti.

Questo dibattito richiederebbe naturalmente più spazio di un articolo. Per limitarsi alle scelte fra mezzi di trasporto, oggi un cittadino di Roma o Milano può andare a Venezia in treno, in Sicilia in aereo, muoversi in città con mezzi pubblici, scooter o biciclette.

L’auto è solo uno dei mezzi di trasporto possibili, e non è neppure obbligatorio possederla, grazie alle nuove forme di noleggio e car sharing (che riducono fra l’altro il problema di oggetti inutilizzati per il 95% del tempo che ingombrano lo spazio pubblico).

Proprio qui sta forse la risposta alla domanda: perché slogan da anni 50? L’automobile, che proprio allora si è conquistata una posizione di dominio fra i mezzi di trasporto, teme ora di perderla, stretta nella morsa di una rivoluzione tecnologica da un lato (l’elettrificazione) e la crescente ribellione di molte città ai problemi di congestione e inquinamento che l’auto porta con sé.

L’Economist ha titolato di recente: “Nei paesi ricchi i giovani non sono più innamorati dell’auto”. L’articolo, che descrive i cambiamenti di mentalità in atto anche negli Stati Uniti, riporta che “la Corte suprema USA scrisse nel 1977 che avere un’auto era una ‘virtuale necessità’ per chiunque vivesse in America”.

L’Europa non è l’America, e lo stesso Economist ricorda – dati alla mano – che anche negli Usa i chilometri percorsi in auto dalle persone sotto i 35 anni sono calati parecchio dal 1990 e sono i boomers che, cresciuti con l’auto, non l’abbandonano quando vanno in pensione. Anche in Europa l’opposizione più radicale al cambiamento nella mobilità arriva dai sessantenni; basta dare un’occhiata ai social. Dovranno essere i giovani di oggi a dimostrare che si può avere “una vita senza l’auto”.

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