«I politici europei combattono l’automobile e cercano di uccidere la libera mobilità in Europa». Questa tirata non viene da un leghista al bar del paese ma è arrivata al Salone dell’auto di Parigi da uno dei più noti manager del settore auto: Carlos Tavares, numero uno del gruppo Stellantis.

Tavares se l’è presa in particolare contro le auto elettriche, dopo che la Ue ha annunciato il divieto di vendita di auto con motore a scoppio dal 2035. «Qual è il modo migliore per evitare che (gli europei) siano liberi nella mobilità? È rendere le auto molto costose con tecnologie molto costose» ha detto il manager franco-portoghese, alludendo all’attuale maggior costo delle vetture a batterie.

Tavares si era già ripetutamente schierato contro lo stop europeo alla vendita di auto con motore a scoppio, usando argomenti in parte comuni a quelli di altri suoi colleghi: non ci sono abbastanza colonnine di ricarica; non è sicuro che l’industria abbia accesso a tutte le materie prime necessarie per produrre le batterie; con la transizione si perderanno centinaia di migliaia di posti di lavoro; e in ogni caso le auto elettriche sono per ora troppo costose per quella che lui definisce “la classe media”.

Un salto di qualità

La polemica su questi temi infuria da tempo. I problemi elencati sono in parte veri, e li abbiamo già evidenziati anche su queste pagine. Sono però tutti risolvibili nel medio periodo, sia pure a prezzo di investimenti, sia pubblici che da parte dei costruttori. In ogni caso, la normativa europea prevede che i progressi nel percorso verso il 2035 vengano sottoposti a una verifica nel 2026.

A Parigi però Tavares ha fatto un salto di qualità: l’accelerazione dei tempi sull’auto elettrica sarebbe parte di un diabolico piano per togliere agli europei la libertà di muoversi.

«Quando l’automobile sarà presto pulita, sicura e affidabile, siamo sicuri che quelle forze politiche smetteranno di battersi contro l’automobile? Personalmente, credo che non smetteranno, perché credo che il punto non sia l’ambiente. È lo stile di vita di noi europei». Uno «stile di vita» che Tavares identifica con la «libera mobilità» (freedom of movement), uno slogan che da qualche mese ripete come un mantra.

Libera mobilità, per Tavares, coincide dunque al 100 per cento con la mobilità a quattro ruote, e comprende la libertà di muoversi con un vecchio diesel inquinante. Oltre che contro il passaggio obbligatorio alle auto a batterie infatti, i suoi strali – e non solo suoi – si rivolgono contro i limiti che un gran numero di città europee impongono all’utilizzo delle vetture più inquinanti.

Un falso sillogismo

Tavares, non va dimenticato, è uno dei più “automobilari” fra i manager dell’auto, e passa i suoi weekend a correre in circuito.

Identificare la libera mobilità con la mobilità a quattro ruote è un falso sillogismo. L’automobile è un oggetto utile in moltissimi casi e indispensabile in alcuni ma in altre situazioni, soprattutto nelle città, limita la libertà di muoversi di altri. 

La necessità di molti cittadini di andare a lavorare in auto si scontra poi con l’interesse (generale) a ridurre le emissioni di Co2 e ad avere un’aria più pulita. Le auto con motore a scoppio danno un contributo consistente alle emissioni di Co2, che per limitare il riscaldamento del pianeta vanno tagliate al più presto; i motori diesel hanno un ruolo preponderante nelle emissioni di ossidi di azoto, nocivi per la salute nelle concentrazioni in ambienti urbani.

Tutte le auto poi, anche quelle elettriche, consumano più energia di altre forme di mobilità, ed è comprensibile che si cerchi di disincentivarne l’uso in contesti in cui sono sostituibili.

Centro vs periferia?

È vero però che una parte consistente dei cittadini europei non vuole o non può rinunciare a una “way of life” a quattro ruote. Per molti di loro, dalle campagne più isolate alle periferie delle grandi città, non esistono alternative efficienti all’auto. Per questo sono i primi a ribellarsi contro chi “gli” tocca l’auto. 

Pensiamo alla rivolta francese dei gilet gialli, nata da un aumento di qualche centesimo del prezzo dell’imposta sul gasolio. Pensiamo alle reazioni che nelle scorse settimane a Milano hanno accolto il divieto di circolazione in città per i diesel Euro5, pur annunciato con quattro anni di anticipo.

Il dilemma viene spesso identificato come una lotta fra centro città e periferie, o città e campagna, ma la semplificazione è ingannevole.

In città – dove l’aria è in media più inquinata – vi sono persone che hanno in media meno problemi a rinunciare all’auto o ad accettare limitazioni al suo uso, grazie anche ai nuovi strumenti di condivisione; ma anche forti resistenze, per esempio, di fronte al tentativo di reprimere la sosta vietata.

Fuori città vi sono più persone “costrette” a usare l’auto, ma anche molti che quell’auto non se la possono permettere e che avrebbero quindi bisogno di trasporti pubblici più efficienti.

Di questi tempi si vedono pubblicità di automobili che invitano a usarle con moderazione (dopo averle acquistate) e pubblicità di benzina che invitano a lasciare a casa l’auto quando possibile.

In generale però la lobby dell’auto fa leva sulle proteste e accusa di “dogmatismo” ecologista chiunque metta (o annunci per il futuro) paletti alla mobilità a quattro ruote. In questo, dunque, Tavares non fa eccezione. Ci sono comunicatori e giornalisti “organici” che hanno costruito una carriera, e si è arrivati a varie iniziative locali per un Partito degli automobilisti.

Come se ne esce? Come convincere della necessità delle battaglie ambientali anche quei cittadini per ora in molte circostanze “non possono” rinunciare all’auto?

Come dimostrano le politiche adottate in numerose città europee grandi e piccole, e non solo nel Nordeuropa, nel medio periodo ci sono molti modi per permettere ai cittadini di ridurre l’uso delle autovetture: dal miglioramento del trasporto pubblico alla diffusione dei mezzi in sharing agli incentivi alla mobilità meno inquinante.

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