Scriveva Gianni Rodari in Lettera ai bambini: “È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi”. Sui danni alla salute dell’inquinamento atmosferico da anni si cerca di parlare al sordo e di cantare per il cieco, contribuendo – forse – alla crescita di un pensiero libero e informato, ma – come spesso accade – quanto resta da fare è di più di quanto fatto, cosa che è difficile ma sfidante.

La pubblicazione della graduatoria delle città più inquinate del mondo da parte della Società elvetica IQAir, con Milano ai primi posti, ha suscitato scalpore e polemiche. È già stato spiegato, anche su Domani, che le graduatorie andrebbero fatte sulla base delle medie annuali e non dei valori giornalieri in quanto affetti da larga variabilità, ma – al netto delle esagerazioni e delle minimizzazioni – si conferma il forte impatto sull’ambiente e della salute delle persone e delle comunità.

La comunicazione del rischio è sempre delicata

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Nei congressi e nelle riunioni di molte società mediche, e in particolare dell’associazione italiana di epidemiologia (Aie), da tempo si ragiona su come comunicare i dati di inquinamento e del loro impatto sulla salute, dati che a noi sembrano drammatici, ma che ci pare non raccolgano la necessaria attenzione da parte dei decisori politici.

Oltre all’attenzione sulle concentrazioni di inquinanti dannosi per la salute, come le polveri fini e ultrafini (PM10 e PM2,5), il biossido di azoto e l’ozono, in combinazione con la temperatura ambiente e possibilmente anche con il rumore, l’informazione è stata di volta in volta arricchita con l’aggiunta di indicatori di mortalità prematura, di malattie e di anni di vita persi attribuibili all’esposizione a inquinanti.

L’insieme dei risultati forniti da centinaia di studi e fatti propri dalle maggiori agenzie sanitarie e ambientali internazionali, dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) all’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), e da quelle nazionali, conferma due facce dello stesso fenomeno:

da una parte andamenti in riduzione delle concentrazioni medie annuali degli inquinanti principali e delle conseguenti morti premature, spesso usati per sostenere che siamo sulla strada giusta e che la situazione volge al meglio;

dall’altre la permanenza delle concentrazioni ben al di sopra dei limiti stabiliti nel 2021 dall’Oms per proteggere la salute, spesso usata per sostenere che siamo lontani da prevenire e proteggere.

Ambedue le opzioni sono basate su dati empirici che consigliano non la scelta di una faccia ma l’assunzione di ambedue: ci sono miglioramenti ma sono troppo lenti per tutelare ambiente e salute, come del resto evidente per la crisi climatica. Questi elementi si verificano con maggiore forza in Italia che resta ai vertici delle maglie nere in Europa, soprattutto per il ruolo negativo delle caratteristiche della pianura Padana (orografiche, meteoclimatiche, densità di popolazione, attività industriali).

Tanti dati da maneggiare con cura

L’Eea stima nel 2021 in l’Italia 46.790 decessi prematuri attribuiti al PM2,5 con una incoraggiante diminuzione del 20 per cento rispetto al 2016, a fronte di una diminuzione di oltre il 50 per cento osservata in Germania che, con una popolazione di oltre 83 milioni di abitanti, conta circa la metà di morti in più rispetto all’Italia.

Anche in termini di anni di vita persi a causa dell’esposizione a polveri PM2,5 i dati sono gravi: oltre mezzo milione di anni su base annuale nel solo nostro paese. (Gard Italia 2023)

Per non dimenticare le persone più fragili basta osservare i ricoveri per patologie polmonari negli anziani associate ai livelli di Ozono sopra la soglia di sicurezza sanitaria, con l’Italia al primo posto con 3.000 ricoveri evitabili, un quarto di quelli riportati nell’UE (Fonte EEA-2023)

Enormi danni economici dell’impatto sulla salute

In un sistema basato sul primato dell’economia rimangono invece in ombra i costi economici dei danni. Solo considerando il valore statistico della vita umana, stimato in media per l’Italia in 5 milioni di euro, il costo complessivo delle morti non evitate assomma a centinaia di miliardi/anno, senza contare gli enormi costi per i ricoveri e le cure delle malattie in eccesso, il cui risparmio sarebbe cruciale nella fase di crisi del sistema sanitario.

D’altra parte la stessa Onu quando ha definito come zone di sacrificio “aree estremamente contaminate dove i gruppi vulnerabili ed emarginati sopportano un peso sproporzionato delle conseguenze sulla salute, e l’intossicazione cronica impatta sui diritti umani” ha anche concluso dando raccomandazioni sulle azioni da intraprendere evidenziando che si tratta di un gigantesco programma umanitario dal costo di miliardi di dollari ma con benefici di trilioni di dollari.

Nessuno ha la bacchetta magica, ma non è necessaria

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Tutto porterebbe a prendere seriamente il toro per le corna, invece si indugia e si rinviano decisioni all’altezza della posta in gioco, adducendo sempre le solite motivazioni: le compatibilità economiche non permettono una transizione rapida, gli obiettivi Oms non sono raggiungibili in tempi brevi e via di questo passo. Come accaduto nei giorni passati per lo spostamento al 2040 dei limiti europei più restrittivi per la qualità dell’aria, i tempi si dilatano non su anni ma su decenni ma tutto ciò viene detto inevitabile o talora accettabile, senza mai dire accettabile per chi e chi se ne assume la responsabilità.

Come e quanto diminuire l’inquinamento non è sicuramente facile perché bisogna incidere su tutte le fonti principali, traffico, industrie, riscaldamenti, agricoltura, ma la soluzione sta nell’intraprendere una strada graduale ma spedita. L’antidoto alle difficoltà di raggiungere traguardi ambiziosi sta tutto nella consapevolezza che ogni microgrammo di abbassamento di polveri fa evitare tra 4 e 5mila morti premature ogni anno, e risparmiare decine di miliardi di euro. In aree del nord Europa fortemente inquinate fino ad un decennio fa, sono stati fatti passi da gigante, a dimostrazione che nella pratica politiche graduali ma sostenute sono fattibili e danno i loro frutti.

Molte misure sono state sperimentate, soprattutto in altre nazioni, basti citare quelle sulle aree a traffico inibito o limitato e a 30 km/ora, altre saranno conseguenza della sostituzione dell’uso di combustibili fossili con energie rinnovabili, al rinnovo dei parco veicolare, altre ancora hanno bisogno di un sovrappiù di considerazione, penso alla molteplici richieste di nuovi impianti industriali emittenti, anche in zone già di sacrificio, palesemente incompatibili a meno di misure di mitigazione che abbassino le concentrazioni già esistenti.

Il freno principale all’imboccare la strada virtuosa non è certo quello tecnologico ma risiede nell’anteporre sempre e comunque gli interessi economici a quelli della vita, asserendo in modo ideologico che non ci sono alternative e bollando di ideologismo chi è portatore di valori alternativi.

Non resta che confidare in quanto sosteneva Omero, o così si è tramandato: “Le cattive azioni non prosperano; l'uomo lento raggiunge quello svelto”.

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