Nel cuore di un’Europa sempre più in difficoltà per la crisi energetica, in parte determinata dal conflitto russo-ucraino, sembra che faccia sempre più fatica ad emergere nel dibattito pubblico la necessità di affrancarsi dal gas russo attraverso un’ulteriore spinta delle rinnovabili. Sullo sfondo resta dunque la crisi climatica, la più importante delle crisi della nostra contemporaneità.

Paradigmatico di questo paradosso sono le proteste che nelle ultime due settimane sono esplose in Germania. Il fulcro della questione è l’opposizione tra il movimento per il clima tedesco e le scelte operate dal governo federale in campo energetico.

La volontà di ricorrere, seppur in maniera transitoria (nelle intenzioni), a un’espansione della produzione di carbone per provare a mantenere inalterato il livello di produzione industriale, nel pratico significa condannare diversi paesi della regione del Nord Reno-Westfalia - la regione interessata dall’espansione della miniera a cielo aperto di Garzweiler - alla demolizione e pregiudicare quei già insufficienti piani di transizione ecologica che con criminale ritardo solo negli ultimi anni hanno subito un’accelerata, fortemente legata alla presenza dei movimenti per il clima.

Così, sotto le fauci di un’economia in costante espansione, la sorte che dovrebbe toccare al paese di Lützerath è la demolizione, una demolizione che fa rima con la distruzione degli ecosistemi determinata dall’aumento delle emissioni in atmosfera.

Le testimonianze

A view of the opencast mining area near Lützerath, the Niederaussem coal-fired power plant can be seen in the background, in Erkelenz, Germany, Sunday, Jan. 15, 2023. Police say that a village in western Germany that is due to be demolished to allow the expansion of a coal mine has been cleared of activists, apart from a pair who remain holed up in a tunnel. The operation to evict climate activists who were holed up in the hamlet of Luetzerath kicked off on Wednesday morning and progressed steadily over the following days. (Thomas Banneyer/dpa via AP)

Non si è fatta attendere la risposta dei movimenti per il clima come Ende Gelände, Fridays for Future, Letzte Generation – gruppo analogo all’italiano Ultima generazione - ed Extinction Rebellion che hanno provato a rallentare l’espansione della miniera attraverso l’occupazione fisica dell’area. C’è stata una vera e propria resistenza nonviolenta al progetto della compagnia energetica RWE, la seconda più importante del paese, che ha visto l’unione di tutte le realtà per la giustizia climatica, con il comune obiettivo dei +1,5°C.

 «Siamo arrivati venerdì sera al campeggio vicino Lützerath - racconta Sebastiano, 23 anni, attivista di Fridays for Future Venezia-Mestre - dove c’erano già molte persone sgomberate dal villaggio nei giorni precedenti, che erano sporche di fango ed emotivamente scosse. Si è trattato di uno sgombero violento, in cui sono stati impediti i rifornimenti di cibo ed acqua e l’accesso dei giornalisti all’area. Abbiamo visto un totale asservimento delle forze dell’ordine nei confronti di RWE, che trovandosi in totale difficoltà hanno dovuto aumentare il livello di repressione, sia fisica che psicologica. C’è stato un vero e proprio tentativo di annichilire la resistenza contro l’estrattivismo sui territori».

Repressione violenta che ha causato oltre cento feriti tra i manifestanti, di cui uno in pericolo di vita, per le manganellate alla testa. «L’esperienza di Lützerath, nata due anni fa dopo la resistenza di Hambach - racconta ancora Sebastiano - è stata la manifestazione plastica del salto di qualità dell’attivismo climatico, che mai si era visto prima. Abbiamo visto resistere assieme persone anche molto diverse tra loro, dai Christians for Future, i fedeli sfrattati dalle loro chiese nell’area della miniera, fino ai gruppi più radicali legati alle autonomie». 

Tra i manifestanti che con il proprio corpo hanno ostacolato le operazioni di sgombero di Lützerath e hanno bloccato escavatori alti come palazzi che sventrano la terra, ci sono anche molti giovani appartenenti ai Verdi tedeschi, nonché molti politici in dissenso con la scelta del proprio partito di sacrificare la cittadina sull’altare dei combustibili fossili.

Suona come un’accusa di alto tradimento da parte degli esponenti verdi al governo (con socialdemocratici e liberali), ma soprattutto del loro ministro dell’energia Robert Habeck, che si sta rivelando complice del fallimento dell’energiewende. La scelta di aumentare la produzione di carbone dalla miniera di Garzweiler viene definita una soluzione tampone alla carenza di gas russo.

L’accordo al ribasso

Eppure questa scelta non si sarebbe resa necessaria se il governo federale avesse deciso di non dismettere anticipatamente le centrali nucleari sul territorio, che avrebbero potuto garantire in modo costante energia a basse emissioni.

La decisione, confermata dal nuovo governo, era però già stata presa dall’ex-cancelliera Merkel, che ha condannato il paese alla dipendenza dai combustibili fossili. Se il carbone che la compagnia energetica RWE ha in previsione di estrarre sotto Lützerath venisse bruciato, verrebbero generate circa 280 milioni di tonnellate di CO2, pari a circa 6 anni di emissioni dell’intera Danimarca.

Questo porterebbe al fallimento del raggiungimento degli obiettivi climatici che la Germania si è imposta, tra cui l’abbandono definitivo del carbone entro il 2030, senza considerare la responsabilità climatica che ha una nazione come la Germania nei confronti del Sud globale.

Il governo federale ha cercato a più riprese di giustificare la sua decisione di espandere la produzione di carbone dalla miniera di Garzweiler con l’accordo al ribasso stipulato con RWE, per il quale verrebbe sacrificato solo un paese, appunto Lützerath, anziché 5. Dichiarazioni di questo tipo mettono in evidenza come le scelte energetiche siano ancora oggi orientate da una sola politica di analisi dei costi-benefici.

In questo modo si riduce la scelta di demolire interi paesi, a un mero calcolo del numero di case che verrebbero demolite, sacrificate ai fini del mantenimento di uno status quo dei consumi che da troppo tempo ha raggiunto livelli insostenibili.

Le banche e gli attivisti

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Una produzione industriale che non avviene per soddisfare le reali necessità dei cittadini, ma per continuare ad alimentare un’economia sotto steroidi che viene fatta passare come unica strada per il benessere, mentre invece non fa che aumentare il divario economico e sociale tra il Nord e il Sud globale.

In uno scenario di questo tipo non sono assenti le colpe italiane: Intesa Sanpaolo e Unicredit sono tra le maggiori banche finanziatrici del colosso energetico tedesco RWE.

Di fronte al collasso climatico non resta che continuare a costruire alleanze che mettano al primo posto la vita sul pianeta, contrastando quei profitti di pochi che mettono in pericolo la nostra stessa esistenza.

Così nascono alleanze all’interno di un ecosistema di movimenti che diventa sempre più variegato e che di volta in volta riesce a stupire per la sua capacità, pur essendo plurale nelle pratiche di lotta, di essere compatto nella volontà di raggiungere un obiettivo. Come recita uno striscione appeso a Lützerath: «Hanno provato a seppellirci. Non sapevano che fossimo semi.»

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