Il Mar Mediterraneo sta registrando temperature senza precedenti e gli ecosistemi marini danno segni crescenti di sofferenza. È questo il quadro che emerge dal report Mare Caldo 2024. I dati raccolti mostrano un mare che si sta tropicalizzando, mentre le specie autoctone scompaiono, soffocate dal caldo e dall’invasione di organismi termofili.

Un anno da record

Nel 2024, la temperatura media globale ha raggiunto i 15,1 gradi, superando di 1,6°C i livelli preindustriali e segnando un aumento di 0,72°C rispetto alla media del trentennio 1991–2020. Si è trattato ufficialmente dell’anno più caldo mai registrato a livello globale, sia per la temperatura media dell’aria che per quella della superficie marina. La temperatura media annua del bacino ha raggiunto i 21,16 gradi. L’inverno scorso, in particolare, ha mostrato valori più simili a quelli di una tarda primavera, segnando un nuovo massimo soprattutto nella parte occidentale del Mediterraneo. E non si tratta più di picchi isolati: ogni mese del primo semestre del 2024 è stato più caldo dello stesso mese negli anni precedenti.

A cambiare non è solo la superficie. Le rilevazioni confermano che l’innalzamento termico interessa anche gli strati profondi del mare, fino a quaranta metri. Alcune aree marine protette, come quelle dell’Asinara, di Ventotene e dell’Isola d’Elba, hanno mostrato picchi di calore persistenti che hanno minacciato habitat che fino a pochi anni fa sembravano al sicuro.

All’Asinara si sono contate quattordici ondate di calore in dodici mesi. A Portofino e alle Cinque Terre, sei ciascuna. A colpire non è solo la frequenza: in zone come il Mare di Alborán si sono raggiunte anomalie massime di oltre sette gradi.

Ecosistemi in affanno

Il caldo estremo sta lasciando il segno sugli organismi marini. Le gorgonie, che un tempo coloravano i fondali, oggi mostrano segni di necrosi diffusa, e i coralli iniziano a sbiancarsi: Cladocora caespitosa è la specie endemica del Mediterraneo che ha mostrato il livello di impatto più severo.

Intanto cambiano anche i protagonisti dei fondali. Si fanno strada pesci tropicali come il pesce pappagallo e il barracuda mediterraneo, insieme a specie aliene come l’alga Caulerpa cylindracea. È un segnale chiaro: il Mediterraneo non è più lo stesso, e la sua identità ecologica è sotto minaccia.

Un Mediterraneo che cambia volto

Il report sottolinea che le Aree marine protette (Amp) mostrano una maggiore capacità di resistenza rispetto ai siti non tutelati. L’unico luogo in cui lo stato ecologico è stato definito “scarso” è l’Isola d’Elba, che non gode di protezione. Viceversa, Capo Carbonara, un’area protetta del sud Sardegna, registra lo stato migliore tra tutte le zone monitorate. Questi riscontri confermano che le Amp funzionano: proteggono, rallentano il degrado, rafforzano la biodiversità.

Ma da sole non possono fare miracoli. Greenpeace lancia un appello netto: «La mitigazione e la corretta gestione delle pressioni locali rappresentano le migliori strategie per aumentare la resilienza degli ecosistemi marini costieri. Tuttavia, anche le aree protette soffrono il “mare caldo” e la riduzione delle emissioni di gas serra per contrastare efficacemente gli effetti del cambiamento climatico non è più rinviabile». 

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