Xiye Bastida è l’esempio perfetto di quella nuova generazione di attivisti per il clima emersa negli ultimi anni. Nata in Messico da padre indigeno otomi e madre cilena, a quindici anni ha visto la sua casa distrutta da una violenta alluvione. Per lei, il primo approccio alla crisi climatica. Poco dopo la sua famiglia si è trasferita a New York, e là ha iniziato a fare attivismo: coi giovani del Sunrise Movement, coi militanti non-violenti di Extinction Rebellion, con Fridays For Future, di cui è presto divenuta uno dei volti più in vista. Ora ha diciannove anni e ha fondato l’associazione ecologista intersezionale Re-Earth Initiative. Al summit sul clima dello scorso mese voluto dal presidente Biden in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente lei è stata l’unica attivista a parlare. Di fronte a quaranta leader globali collegati in videochiamata - da Xi Jinping a Putin, da Merkel a Bolsonaro - Xiye ha parlato di stop a qualunque nuova infrastruttura legata al fossile; di legami tra crisi climatica, razzismo e capitalismo; dei rischi connessi alla green economy. Di fronte ad un mondo che punta alla decarbonizzazione in trent’anni come obiettivo più ambizioso, lei ha parlato di zero emissioni al 2030. 

Al Summit hai detto che la crisi climatica è il risultato di un sistema "razzista, colonialista e capitalista". Perché lo pensi? In fondo, non è solo CO2 nell'atmosfera?

La crisi climatica nasce dal modo in cui ci trattiamo gli uni con gli altri, dal momento in cui certi Paesi decidono di conquistarne altre e di sottometterne le popolazioni. Ci hanno insegnato che dobbiamo crescere sempre, volere solo per noi stessi. La crisi climatica è il risultato di quella mentalità imperialista e colonialista per cui «io sono a prescindere sempre migliore di te». Il capitalismo è la massima espressione di questo pensiero, ed il massimo responsabile della crisi climatica. Il capitalismo si fonda sulla crescita infinita, mentre se vogliamo sopravvivere dobbiamo passare a sistemi economici circolari.

Dire queste cose all’incontro è servito a qualcosa?

Servito a chi? (ride N.d.R)

Alla tua causa, ai giovani del Pianeta.

È sempre difficile rappresentare qualcuno. Ero l’unica giovane presente, l’unica attivista. Parlare agli uomini più potenti del mondo è un’occasione che capita una volta nella vita: non bastava ringraziare dell’invito. Dovevo dire quelle cose perché nessun altro lo avrebbe fatto.

E i negoziati sul clima in generale - Cop comprese - pensi siano uno strumento utile?

Non conosco nessuno nel mondo dell’attivismo per il clima che non abbia pensato almeno una volta che questi incontri siano solo una perdita di tempo. E spesso lo sono davvero, ma non significa che dobbiamo rinunciarci. Senza non avremmo portato sul tavolo dei governi i report Ipcc, ad esempio.

La cooperazione internazionale e la diplomazia servono, ma i politici continuano a usarli come scusa per ritardare l’azione sul clima. Chi sta al potere cerca scappatoie, ma così facendo aiuta sé stesso, non le comunità in pericolo e le generazioni future. Quanto tempo pensano di andare avanti in questo modo? Con l'aggravarsi della crisi climatica, sempre più persone scenderanno in piazza. E gli chiederanno conto delle loro scelte.

Chi ti ha colpito di più tra i quaranta leader?

Biden senza dubbio. Oggi lo chiamano «il presidente del clima», ma a lungo lui nemmeno aveva un piano per fronteggiare il riscaldamento globale, non ne parlava mai. Se ha aggiornato i target di riduzione delle emissioni, se ha organizzato questo summit, è merito nostro, degli attivisti. Siamo stati noi a spingerlo. Ancora siamo lontani da un percorso sicuro che ci permetta di rimanere sotto il grado e mezzo di aumento della temperatura, ma abbiamo fatto dei passi avanti e dovremo insistere perché si faccia di più alla Cop26 di Glasgow.

Possiamo chiederti per chi hai votato alle ultime elezioni?

Non sono cittadina americana, quindi non ho potuto votare alle presidenziali. Rispetto al negazionismo di Trump chiunque è un candidato migliore. Ma Biden è il minore dei mali, non certo il migliore.

Da messicana forse avrei votato per Lòpez Obrador, ma ora che ho visto come sta agendo non più. Doveva essere la svolta, portare giustizia sociale e climatica, ma alla resa dei conti sta aprendo il Paese alle multinazionali del fossile, sta continuando ad estrarre petrolio, sta investendo su una gigantesca ferrovia [il Tren Maya N.d.R] che devasterà gli ecosistemi e le comunità indigene. Non basta promettere di piantare milioni di alberi per parlare di “obiettivi ambiziosi”. Temo che abbia tentato la scalata alla presidenza così tante volte che, una volta raggiunto il suo scopo, si è dimenticato per chi stava combattendo.

E c’è qualche politico di cui ti fidi? Magari una leader giovane come Alexandria Ocasio Còrtez?

Ho sempre un po’ paura ad esprimermi positivamente sui politici. E’ meglio non idealizzarli, farli sentire sempre responsabili delle loro azioni e sotto la lente di noi attivisti. Anche ai migliori dobbiamo dire che devono fare il massimo o non avranno il nostro voto. In ogni caso, temo che la gran parte della nostra classe dirigente sia ben lontana dal capire l’entità del problema e la necessità di agire con urgenza. E poi in politica c’è tanta corruzione.

Perché non lo capiscono? Sono ignoranti o troppo legati alle lobby del fossile?

Bella domanda. Penso siano vere entrambe le cose. Sicuramente il clima rimane un tema a sé stante, chiuso nella sua bolla, e non arriva ad influenzare le scelte di politica economica, industriale e così via. I politici pensano basti menzionare la crisi climatica ogni tanto, non capisco che si tratta della sfida della vita. 

Nei tuoi discorsi parli di zero emissioni al 2030, ma i leader non trovano un accordo nemmeno sulla neutralità climatica al 2050. Pensa davvero che sia politicamente possibile raggiungere quell'obiettivo in dieci anni?

Innanzitutto chiariamo un punto: il concetto di neutralità climatica (cioè l’equilibrio tra gas climalteranti emessi e gas climalteranti riassorbiti N.d.R) è pericoloso, perché permette ai politici di trovare scappatoie. Il rischio è che continuino ad emettere promettendo di risolvere tutto con la riforestazione o con tecnologie di cattura.

Noi vogliamo zero emissioni, e le vogliamo al 2030. perché questo è l’unico modo per restare sotto quel fatidico grado e mezzo di aumento della temperatura. Ci sono studi che spiegano come basti l’uno per cento del suolo del pianeta occupato da pannelli solari per fabbricare tutta l’energia di cui abbiamo bisogno. I politici pensano che gas, petrolio e carbone abbiano ancora un futuro, ma non è così. Per i combustibili fossili abbiamo appena finito di combattere una lunghissima guerra in medio oriente. Noi giovani dobbiamo chiederci: vogliamo continuare a vivere in un mondo così?

E per quanto riguarda il fatidico grado e mezzo di aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali? Pensi sia ancora possibile restarne al di sotto?

Credo che ogni decimo di grado conti: dobbiamo lottare con tutte le nostre forze per restare sotto questa soglia.

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