Era l’aprile del 1994: i capi delle sette più importanti imprese del tabacco testimoniarono al Congresso per sei ore sotto giuramento . Dissero che non avrebbero fatto fumare sigarette ai loro figli, ma ritenevano che la nicotina non desse dipendenza e ne avevano aggiunta di più solo per migliorare il sapore dei loro prodotti. Flavor, not addiction.

Per loro fu l’inizio della fine, un mese dopo partì la prima causa legale, il primo spruzzo di uno tsunami che costò a quell’industria 200 miliardi di dollari di risarcimenti e tutta la reputazione futura. Manipolando la disinformazione avevano causato una crisi sanitaria e fu riconosciuto il loro dovere di pagarla.

L’audizione

La testimonianza dei manager delle sigarette è l’immagine che è circolata più spesso alla notizia che le quattro più grandi aziende legate all’estrazione di fonti fossili vivranno, il 28 ottobre – significativamente, tre giorni prima della Cop26 di Glasgow – il loro momento tabacco.

I capi (ceo o presidenti a seconda dei casi) di ExxonMobil, Shell, Bp e Chevron dovranno rispondere pubblicamente delle campagne di disinformazione e pressione pubblica per ostacolare la presa di coscienza pubblica sul legame scientificamente provato tra clima e fonti fossili e dell’azione di lobbying per impedire politiche a favore dell’ambiente.

Il fronte Big Oil è composto da quattro aziende ma le audizioni saranno sei: anche due associazioni di categoria attivamente coinvolte nelle stesse pratiche saranno chiamate a dare le stesse spiegazioni, American Petroleum Institute (Api, che a fine anni Novanta fece una famosa multimiloniaria campagna di disinformazione contro l’adozione del Protocollo di Kyoto) e la camera di commercio.

Dire la verità

«Il più grande errore nelle audizioni sul tabacco fu mentire sotto giuramento. E se io potessi dare un solo consiglio a questi manager, quel consiglio sarebbe: non dite bugie. Dite la verità».

Sono le parole di Ro Khanna, deputato dem della California, dove la settimana scorsa c’è stata una delle perdite di petrolio peggiori nella storia dello stato. Khanna ha convocato l’audizione, che sarà una prima volta nella storia americana, dopo la lunga serie di documenti e inchieste usciti negli ultimi mesi, inclusa un’indagine sotto copertura di Greenpeace su Exxon che ha svelato come queste tattiche siano ancora attive e presenti anche nell’America di Biden.

Non è la prima richiesta di audizione, ma finora i dirigenti di Big Oil si erano sempre rifiutati, Khanna però ha minacciato un subpoena, la citazione in giudizio in caso di mancata testimonianza, ed è anche il contesto politico a essere cambiato e a spingere aziende e associazioni di categoria a essere più collaborative. E infatti portavoce e uffici stampa si sono affrettati ad annunciare che questa volta i capi parteciperanno, senza bisogno di ritorsioni legali.

Cosa diranno

Il 28 ottobre sarà una giornata interessante e probabilmente storica. Come ricordato da Khanna, tutti i presenti avranno a mente la lezione del tracollo di Big Tobacco: una volta al Congresso, mentire pubblicamente sotto giuramento non è più un’opzione praticabile, soprattutto a fronte della mole di prove e documenti su quanto fatto, detto, scritto e agito.

E allora la domanda è cosa diranno, fin dove si spingeranno ad ammettere e che ruolo sceglieranno di avere da qui in avanti. La percezione pubblica di questi colossi degli idrocarburi dai Ceo semi-invisibili sui media sta cambiando rapidamente, in un contesto di attivismo diffuso e climate litigation . Pochi mesi fa, in Olanda, Shell aveva subito una sconfitta storica contro un gruppo di attivisti e organizzazioni che avevano contestato i suoi piani di decarbonizzazione. 

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