Il numero di esseri umani sulla Terra ha raggiunto gli otto miliardi nel novembre 2022. Ora un nuovo rapporto suggerisce che la popolazione mondiale potrebbe raggiungere il picco di “soli” nove miliardi entro il 2050, un numero di gran lunga inferiore a quanto si pensava in precedenza, tant’è che per quell’anno si parlava di almeno dieci miliardi di persone.

Rispetto ad altre stime più note, come quelle delle Nazioni unite, l’ultima previsione sembra essere una boccata d’aria fresca per riuscire a sfamare l’intera umanità in modo adeguato. Ma è proprio così?

Il dibattito sui numeri 

L'isola artificiale di Santa Cruz del Islote in Colombia è considerata uno dei posti più densamente popolati della terra (AP)

I pro e i contro della crescente popolazione umana sulla Terra sono oggetto di accesi dibattiti, con alcuni che sostengono che un aumento della popolazione potrebbe avere effetti positivi sull’economia e sulla tecnologia mondiale e i critici che sottolineano i rischi per l’ambiente e l’armonia sociale. Le previsioni dell’ultimo rapporto sulla crescita della popolazione mondiale si basano su ricerche approfondite e la maggior parte di esse mostra che il 10 per cento delle persone più ricche al mondo è il principale responsabile del consumo eccessivo che minaccia la stabilità dell’ambiente, compreso il cambiamento climatico.

«Il problema principale dell’umanità è la produzione di carbonio per il lusso, non tanto la popolazione in sé», afferma lo scienziato ambientale Jorgen Randers, uno dei modellisti di Earth4All, l’iniziativa che ha collaborato con la Global Challenges Foundation per dare vita al rapporto. «I luoghi in cui la popolazione sta aumentando più rapidamente hanno un’impronta ambientale pro capite estremamente ridotta rispetto ai luoghi che hanno raggiunto il picco di popolazione molti decenni fa». Gli autori hanno predetto come gestire la crescita della popolazione in ogni grande regione utilizzando dati scientifici, con l’obiettivo di “formare una popolazione umana che possa prosperare sulla Terra per lungo tempo”. Nell’analisi vengono presi in considerazione dieci paesi e regioni, dalla Cina agli Stati Uniti all’Africa subsahariana. 

Attualmente, i tassi di crescita della popolazione sono più elevati in diverse nazioni africane, come Angola, Niger, Repubblica Democratica del Congo e Nigeria, così come in alcuni paesi asiatici, ad esempio l’Afghanistan. Utilizzando un modello dinamico di recente costruzione, i ricercatori hanno esaminato due diversi scenari che potrebbero verificarsi in questo secolo. Il primo scenario, cupamente intitolato Too Little Too Late, immagina il mondo che serpeggia più o meno come ha fatto dal 1980. Ciò si basa sul presupposto che variabili come i tassi di natalità, i livelli di risparmio e debito, le aliquote fiscali e i modelli di reddito continueranno con gli schemi attuali. Questo scenario prevede un picco della popolazione globale di 8,8 miliardi a metà di questo secolo e un graduale declino a 7,3 miliardi nel 2100. La disuguaglianza globale, le impronte ecologiche e l’estinzione della fauna selvatica aumenteranno con il rallentamento della crescita economica e demografica. I crolli regionali aumenteranno man mano che cresceranno le divisioni sociali all’interno e tra i paesi, specialmente in quelli con economie deboli e governi poveri. Nello scenario più promettente, chiamato Giant Leap, la popolazione mondiale raggiungerà il picco di 8,5 miliardi intorno al 2040 e scenderà a soli sei miliardi entro la fine del secolo. 

Gli autori indicano che uno dei fattori decisivi verso ​​questo risultato ottimistico sarà il fatto che la disuguaglianza economica nel mondo verrà riconosciuta come una fonte di divisione e una minaccia per la democrazia e il progresso umano. In questo ipotetico futuro, la povertà estrema verrebbe eliminata entro il 2060, il che avrebbe un profondo impatto sulla crescita economica della popolazione globale.

Questa inversione di tendenza richiede massicci investimenti per la riduzione della povertà e politiche rivoluzionarie per la sicurezza alimentare ed energetica, la disuguaglianza e l’uguaglianza di genere. «Ma una buona vita per tutti è possibile solo se si riduce l’uso estremo delle risorse da parte della ricca élite», spiega Randers.

Il più antico buco nero 

ASSOCIATED PRESS

Il James Webb Space Telescope è riuscito ad individuare quello che ad oggi risulta essere il buco nero più antico mai osservato dall’uomo. La scoperta è importante perché potrebbe svelare alcuni misteri circa la nascita dei buchi neri “supermassicci”, ossia di grandi dimensioni, che si sono formati più tardi. Molte galassie infatti, possiedono un buco nero supermassiccio a loro interno, ma non è chiaro come siano diventati così grandi.

Un’ipotesi vuole che si siano formati da buchi neri di piccole dimensioni, nati dal collasso delle prime stelle, i quali si sono aggregati con il trascorrere del tempo. Un’altra ipotesi vuole che si siano formati da enormi quantità di gas primordiale che collassò direttamente in buchi neri senza mai diventare una stella.

Ora Rebecca Larson dell’università del Texas ad Austin e i suoi colleghi hanno identificato un buco nero che si formò quando l’Universo aveva solo 570 milioni di anni. La sua massa è 10 milioni di volte quella del Sole, che lo rende un buco nero di dimensioni intermedie, che sono molto rari nell’Universo attuale. «Questo è un territorio inesplorato davvero molto importante per capire come si sono formati i buchi neri nell’universo primordiale», afferma Larson, «e questa scoperta permetterà di colmare alcune lacune sulla nascita degli oggetti più misteriosi dell’Universo».

Per identificare il buco nero i ricercatori hanno puntato il telescopio verso una galassia, chiamata CEERS_1019, che il telescopio spaziale Hubble aveva precedentemente identificato come la galassia più luminosa conosciuta in una lontanissima regione dell’Universo. Hubble però non era stato in grado di osservare cosa c’era nel suo cuore. Missione che è stata affidata al Webb Telescope, che è riuscita pienamente.

Spiega James Mullaney dell’università di Sheffield, nel Regno Unito: «Le dimensioni di questo buco nero ci portano ad escludere che sia stato originato da una stella collassata, a meno che, durante la fase iniziale dell’Universo non vi siano state moltissime stelle che dopo pochi centinaia di milioni di anni si sono trasformati in buchi neri e questi sono collassati gli uni negli altri».

Il nuovo rover lunare svelato da SpaceX

Un impianto di SpaceX in Texas

Mentre è ancora vivo l’entusiasmo per l’annuncio della Nasa dei quattro astronauti che il prossimo anno saranno lanciati verso la Luna, Astrolab, una società spaziale con sede a Hawthorne, in California, ha fatto sapere di aver raggiunto un accordo con SpaceX per lanciare un proprio rover, il Flexible Logistics and Exploration (Flex) in una missione della nave spaziale Starship sulla Luna. Secondo una dichiarazione di Astrolab la missione è attualmente prevista per la metà del 2026. Quando arriverà, Flex sarà il rover più grande e versatile che abbia mai lavorato sulla superficie lunare, in grado di trasportare fino a 1500 chilogrammi di merci. 

Nelle foto rilasciate da Astrolab, Flex assomiglia ad un’auto a quattro ruote di piccola cilindrata e con un peso di oltre due tonnellate a pieno carico. Sarà in grado di trasportare due astronauti, che potranno guidare il veicolo con le proprie mani. Dotato di quattro ruote è in grado di superare vari tipi di ostacoli e terreni. Flex è inoltre progettato per essere controllato a distanza in assenza di operatori in persona ed è dotato di un braccio robotico in grado di manipolare l’area di carico che può ospitare una vasta gamma di strumenti scientifici.

Astrolab ha costruito Flex rispettando i requisiti della Nasa per le specifiche dei rover lunari e con ciò spera di avere un’intera flotta di tali rover sulla superficie lunare come parte del programma Artemis. Spiega Jaret Matthews, Ceo di Astrolab: «Abbiamo creato un sistema logistico in grado di ospitare un’ampia varietà di merci. Prevediamo che questo approccio contribuirà a stabilire un avamposto lunare permanente sulla Luna a un costo inferiore e con tempi più contenuti rispetto a quanto stimato in precedenza». Gli ingegneri di Flex prevedono inoltre che il rover operi anche in future missioni su Marte. 

Le molecole della vita nella Nube di Perseo

AP Photo/Stocktrek Images

La Nube di Perseo è una è una delle regioni della Via Lattea dove si stanno formando nuovi sistemi solari ed è relativamente vicina a noi, distando solo 980 anni luce. Al suo interno esistono notevoli quantità di “molecole prebiotiche”, ossia precursori della vita, che si stanno plasmando in articolate molecole organiche. Lo ha scoperto uno studio dell’Istituto de Astrofísica de Canarias, guidato da Susana Iglesias-Groth. La nube ospita IC348, un giovane ammasso di stelle le quali possiedono un’età di circa due-tre milioni di anni. Grazie ai rilevamenti eseguiti dal telescopio spaziale Spitzer, Iglesias, con l’aiuto di Martina Marín-Dobrincic dell’università Politecnica di Cartagena, ha scoperto la presenza di numerose molecole biologiche.

Alcune di esse sono valutate come mattoni fondamentali per la fabbricazione di molecole più complesse come gli amminoacidi, che possono costituire codice genetico di microrganismi che sulla Terra permisero il fiorire della vita. Ora poiché molte delle stelle nella nube di Perseo sono giovani, perché appena formate e presentano dischi protoplanetari – ossia “dischi” di gas e polveri al cui interno, nel corso del tempo, possono verificarsi i processi fisici che danno origine ai pianeti – si capisce che tutto ciò è importante in previsione della possibile nascita della vita su quei corpi che andranno a formarsi.

Spiega Iglesias-Groth: «È uno straordinario laboratorio di chimica organica». Nel 2019 la stessa ricercatrice aveva scoperto la presenza di “fullereni” nella stessa regione. I fullereni sono molecole complesse di carbonio puro, elemento base della vita. Ora quel laboratorio naturale ha mostrato la presenza di molecole comuni come l’idrogeno molecolare (H2), l’ossidrile (OH), l’acqua (H2O), l’anidride carbonica (CO2) e l’ammoniaca (NH3). Ma sono state osservate anche molecole più complesse come l’acido cianidrico (HCN), l’acetilene (C2H2), il diacetilene (C4H2), il cianoacetilene (HC3N), il cianobutadiino (HC5N), l’etano (C2H6), l’ esatrina (C6H2), il benzene (C6H6), gli idrocarburi policiclici armoatici (IPA) e i fullereni C60 e C70.

Si capisce come questa nube sia ora oggetto di ricerca per capire se da molecole previta si possa passare alla vita così come la conosciamo sulla Terra e dunque il prossimo passo sarà utilizzare il James Webb Space Telescope, per sfruttare la sua capacità spettroscopica per ottenere dettagli sulla distribuzione spaziale di tutte queste molecole. I risultati saranno fondamentali per capire come può procedere la formazione della vita in altri sistemi solari.

© Riproduzione riservata