Il 30 ottobre 1938 il regista, attore e drammaturgo Orson Welles recitava alla radio uno sceneggiato ispirato al romanzo di fantascienza di Herbert George Wells, annunciando l’arrivo degli extraterrestri sugli Stati Uniti. Il racconto venne presentato come un’edizione speciale del radiogiornale. Fu così realistico e convincente che, nonostante gli avvisi prima e dopo la trasmissione, molti ascoltatori non si accorsero che fosse fantascienza e si fecero prendere dal panico.

Ma se la finzione dovesse diventare realtà come verrebbe dato l’annuncio dell’esistenza degli alieni? E cosa potrebbe succedere se dopo poco si scoprisse che ci si è sbagliati?

Per dare una risposta i ricercatori della Nasa hanno pubblicato un articolo su Nature per abbozzare delle direttive su come raccontare al mondo una scoperta così importante. Scrive James Green, chief scientist della Nasa: «È possibile credere realmente che la nostra generazione possa essere quella che scoprirà prove di vita oltre la Terra. Questo privilegio, se diverrà realtà, pone scienziati, politici, divulgatori e molte altre persone di fronte a una responsabilità non indifferente». Ovvero: come si può annunciare la scoperta della vita extraterrestre? 

Per farlo bisogna anche tenere conto delle aspettative della popolazione a proposito degli alieni, con la generale convinzione che la scoperta della vita extraterrestre possa essere certa al 100 per cento, da subito. Molto probabilmente non sarà così.

È praticamente certo che non assisteremo all’invasione di piccoli uomini verdi a bordo di navi interstellari. Ci si deve aspettare che la vita extraterrestre che scopriremo, dopo diverse fasi, sarà soprattutto di tipo batterico. Green sottolinea che questo concetto dovrà essere divulgato il più possibile: è improbabile che un giorno si arriverà ad annunciare in modo categorico: «Abbiamo scoperto gli alieni!». 

Servirà invece uno sforzo progressivo, che riflette il processo stesso della scienza. Se si riuscirà a capire questo concetto allora si capirà che ci potrebbero essere delle false partenze o dei vicoli ciechi o che si potrà tornare indietro. Ciò richiede fin da ora il coinvolgimento di scienziati, tecnologi e media che devono parlare tra loro per concordare in primo luogo sulle prove oggettive per affermare che si è di fronte a vita aliena e, in secondo luogo, sul modo migliore per comunicarlo. Questo, si legge nello studio, dovrebbe essere fatto adesso, prima che venga rilevata la vita, piuttosto che affannarsi quando sarà giunto il momento.

Il gruppo di lavoro propone una scala chiamata “Confidence of life detection” (CoLd) o “affidabilità del rilevamento della vita”, che contiene sette passaggi che portano dal primo, eccitante potenziale rilevamento della vita, alla conferma definitiva: «I livelli più bassi di questa scala (1 e 2) si concentrano sull'identificazione iniziale di potenziali biofirme, ad esempio elementi chimici, strutture fisiche o attività coerenti con l'origine biologica», spiegano Green e colleghi. I passaggi 3 e 4 si concentrano sullo studio dell'ambiente intorno alle biofirme per verificare se è effettivamente abitabile, se una spiegazione biologica è la migliore e l'unica, o se ci sono altre possibili spiegazioni.

«I livelli più alti della scala implicano la conferma del risultato iniziale con prove indipendenti e il rigetto di ipotesi alternative sviluppate dalla comunità in modo specifico per dare una risposta al risultato iniziale». È importante sottolineare che avere familiarità con questa scala significherebbe che tutti i soggetti coinvolti, dagli scienziati ai media, al pubblico, dovranno essere consapevoli che ogni singolo risultato potrebbe essere cancellato o rivisto in qualsiasi momento. È questo il progresso della scienza.

L'ultimo passo sarebbe il più difficile da realizzare, soprattutto se si considerano i potenziali risultati delle missioni attuali. Il Perseverance rover della Nasa, ad esempio, sta attualmente girando nel cratere Jezero di Marte alla ricerca di segni di vita antica. Il rover è dotato di tutti i tipi di strumenti che gli consentirebbero di rilevare la vita fino al livello 5, ma sarebbe necessaria un'analisi dei campioni riportati a Terra per raggiungere il livello 6 – e raggiungere il livello 7 potrebbe comportare indagini ulteriori su altri posti di Marte.

Questa scala comunque, potrebbe non essere quella definitiva, anzi potrebbe essere sostituita da altre scale, dicono i ricercatori, ma quel che è importante è che si apra un dialogo su questo argomento. Solo così, quando sarà il momento di annunciare la scoperta, si potrà essere più efficaci nel comunicare i risultati del lavoro in tutti gli aspetti: quelli forti e quelli deboli.

Lo stress idrico europeo

No, non c’è solo l’Africa ad avere problemi di acqua. Ora il problema sta toccando anche l’Europa e ha già assunto un livello che per alcune aree è preoccupante.

Lo sostiene un nuovo lavoro dell’European environment agency (Eea) dal titolo Water resources across Europe – confronting water stress: an updated assessment. «Lo stress idrico – si legge nel rapporto – che è una situazione in cui non c’è abbastanza acqua di qualità adeguata per soddisfare le necessità delle persone e dell’ambiente – è già una realtà in diverse parti d’Europa. Il fenomeno della siccità e della scarsità d’acqua infatti, non sono più eventi eccezionali e circa il 20 per cento del territorio europeo e il 30 per cento degli europei sono colpiti da stress idrico durante un anno medio».

Se a questa situazione si sovrappone quello che potrà fare il cambiamento climatico non c’è da aspettarsi che un aggravamento del problema, poiché le siccità stanno aumentando di frequenza e gravità. Le aree dove è maggiore il pericolo di un peggioramento sono quelle meridionali e sudoccidentali. Qui, infatti, la portata dei fiumi durante il periodo estivo potrebbe ridursi fino al 40 per cento, in una situazione dove la temperatura media potrebbe crescere anche di due o tre gradi centigradi rispetto al periodo preindustriale. 

Una situazione che si verifica soprattutto dove è particolarmente pressante l’attività dell’uomo nei campi agricolo e turistico, che richiedono grandi quantità di acqua a disposizione. È quasi inutile sottolineare che il rapporto suggerisce di utilizzare l’acqua nel modo più efficiente possibile, «per ridurre al minimo l’impatto dello stress idrico sulle persone e sull’ambiente».

Il rapporto suggerisce le strade per raggiungere la massima efficienza che vanno da un miglior monitoraggio del pianeta, del suo clima e degli utilizzi dell’acqua utilizzando la tecnologia dei rilevamenti da satellite, l’uso di droni, l’utilizzo della gente per avere informazioni ad hoc su aree specifiche, quella che viene chiamata citizen science. Ma suggerisce anche la digitalizzazione del settore idrico e l’introduzione di altre  tecnologie per una minore richiesta d’acqua, per ridurre le perdite nel sistema di alimentazione e conservare l’acqua temporaneamente durante i periodi con acqua abbondante in serbatoi di superficie, riutilizzandola quando necessario. In Europa il riutilizzo dell’acqua rappresenta una quota molto bassa del consumo totale di acqua ed è praticato soprattutto nell’Europa meridionale, come a Cipro, Malta e Spagna.

Le nanoplastiche sulle Alpi

Un gruppo di ricercatori ha scoperto la presenza di nanoplastiche (pezzetti di plastica di dimensioni inferiori al millimetro) in prossimità dell’osservatorio d'alta quota di Sonnblick nelle Alpi. È la prima volta che vengono trovate nanoplastiche in quell'area. I ricercatori stavano originariamente cercando alcune particelle organiche e casualmente hanno trovato le nanoplastiche, scoprendo così un nuovo metodo di analisi per rilevarne la presenza.

La ricerca è stata pubblicata su Environmental pollution. I ricercatori stavano cercando particelle organiche prelevando campioni di neve e ghiaccio che poi venivano fatti evaporare. I residui poi venivano riscaldati per rilevare e analizzare i vapori. «Il nostro metodo di rilevamento è un po' come un naso meccanico. E inaspettatamente, ha sentito odore di plastica bruciata nei campioni di neve», spiega il ricercatore-capo Dušan Materić. 

Il rilevatore ha rilevato l'odore di diversi tipi di plastica, principalmente polipropilene (Pp) e polietilene tereftalato (Pet). Le particelle di plastica rilevate si sono rivelate di dimensioni inferiori a 200 nm, circa un centesimo della larghezza di un capello umano. Questo è significativamente più piccolo delle particelle di plastica rilevate in studi precedenti. 

«Con questo metodo di rilevamento, siamo il primo gruppo a quantificare le nanoplastiche nell'ambiente», afferma Materić. «Dato che le alte Alpi sono un'area molto remota e incontaminata, siamo rimasti piuttosto scioccati e sorpresi nel trovare una concentrazione così elevata di nanoplastiche. È altamente improbabile che queste nanoplastiche provengano da aree alpine. Quindi, ci siamo chiesti, da dove vengono? Abbiamo completamente capovolto il nostro progetto di ricerca per dare una risposta a questa domanda». 

I ricercatori hanno trovato una sorprendente correlazione tra alte concentrazioni di nanoplastiche e venti provenienti dalla direzione delle principali città europee, in particolare Francoforte e l'area industriale della Ruhr in Germania, ma anche Paesi Bassi, Parigi e persino Londra. «I modelli avanzati delle circolazioni atmosferiche hanno supportato l'idea che le nanoplastiche siano effettivamente trasportate per via aerea da quei luoghi urbani», ha sottolineato Materić. «Questo è potenzialmente allarmante, perché potrebbe significare che ci sono “punti caldi” di nanoplastiche nelle nostre città proprio nell'aria che respiriamo. Attualmente stiamo studiando il problema in modo più dettagliato». 

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