Sulla base dei segni lasciati su un antico osso, sembrerebbe che qualcuno abbia avuto abbastanza fame da divorare una zampa di ominide, circa 1,45 milioni di anni fa. Non è un comportamento del tutto sconosciuto tra gli ominidi, ma la tibia, contrassegnata da tagli e appartenente a un misterioso parente umano che viveva in quello che oggi è il Kenya, potrebbe rappresentare l’esempio più antico che abbiamo visto finora di massacro di ominidi su ominidi.

Il primo cannibale

Un gruppo di ricercatori guidato dalla paleoantropologa Briana Pobiner del National Museum of Natural History dello Smithsonian Institution ha eseguito un’analisi dettagliata in 3D dei tagli e ha eseguito esperimenti sull’osso per vedere cosa li ha prodotti. Le scoperte mostrano che i segni sono stati fatti da strumenti di pietra, nel tentativo di strappare la carne per essere mangiata.

«Le informazioni che abbiamo dicono che probabilmente gli ominidi mangiavano altri ominidi almeno 1,45 milioni di anni fa», ha spiegato Pobiner. «Ci sono numerosi altri esempi di specie dell’albero evolutivo umano che hanno lasciato testimonianze di cannibalismo per nutrirsi, ma questo fossile suggerisce che i parenti della nostra specie si mangiassero a vicenda per sopravvivere molto prima di quel che era noto fino ad oggi».

Va comunque sottolineato che secondo alcuni ricercatori che hanno revisionato il testo, non esisterebbe la certezza assoluta che i segni lasciati fossero oggetto di cannibalismo vero e proprio, in quanto i segni lasciati sull’osso, inequivocabilmente prodotti da uno strumento per strappare la carne, potrebbero essere stati prodotti da una specie più evoluta o comunque diversa dalla specie a cui apparteneva quall’osso che era di un Homo erectus e quindi in tal caso non si può parlare di cannibalismo verso e proprio. Il record dunque c’è, ma non è chiaro a chi imputarlo.

La tecnosfera

La portata dell’influenza dell’umanità sul pianeta è diventata sempre più evidente negli ultimi anni. Dall’allarmante accumulo di rifiuti di plastica nei nostri oceani alla crescita tentacolare delle aree urbane, l’entità del nostro impatto è innegabile. Il concetto di “tecnosfera” mira a rivelare l’immensa portata del nostro impatto collettivo. 

Il concetto è stato introdotto per la prima volta dal geologo statunitense Peter Haff nel 2013, ma da allora il paleobiologo Jan Zalasiewicz ha reso popolare il termine attraverso il suo lavoro. La tecnosfera comprende la vasta produzione globale di materiali generati dalle attività umane, nonché il consumo di energia associato. Dalla rivoluzione agricola di circa 12.000 anni fa (quando abbiamo iniziato a costruire città e ad accumulare beni), l’impresa umana è cresciuta costantemente. Il nostro profondo impatto tuttavia, è aumentato notevolmente a partire dagli ultimi due secoli. Da allora la crescita è stata esponenziale, in particolare a partire dal 1950. La tecnosfera è indicativa di come gli esseri umani stiano emergendo sempre più come una forza globale alla pari dei sistemi naturali che danno forma al mondo. La trasformazione necessaria per ridurre il nostro impatto quindi, dovrebbe essere altrettanto importante. 

Eppure, nonostante la crescente consapevolezza, c’è stata una mancanza di azioni concrete per affrontare l’impatto dell’umanità sul pianeta. Per comprendere la vastità della tecnosfera, è meglio darne un quadro più visivo alla situazione. Nel 2020, un gruppo di accademici israeliani ha presentato un dato scioccante: la massa combinata di tutti i materiali attualmente utilizzati dall’umanità aveva superato la massa totale di tutti gli organismi viventi sulla Terra. Secondo le loro scoperte, il peso collettivo di tutta la vita sulla Terra (la biosfera), dai microbi nel suolo, agli alberi e agli animali sulla terraferma, è di 1,12 trilioni di tonnellate. Mentre la massa di materiali utilizzati attivamente dall’uomo, inclusi cemento, plastica e asfalto, pesava 1,15 trilioni di tonnellate. La tecnosfera, dunque, pesa più di tutta la vita sulla Terra. Ma se si tiene conto anche dei sottoprodotti associati ai materiali utilizzati dagli esseri umani, inclusi rifiuti, suolo arato e gas serra, il geologo e paleontologo Jan Zalasiewicz ha calcolato che la tecnosfera si espande fino all’incredibile cifra di 30 trilioni di tonnellate. Ciò includerebbe una massa di anidride carbonica emessa industrialmente equivalente a 150mila piramidi egizie.

Un secondo dato sorprendere riguarda il materiale che viene spostato dall’uomo se confrontato con quello movimentato dalla natura. Si stima che il carico globale totale di sedimenti (erosione) trasportato naturalmente ogni anno, principalmente dai fiumi che sfociano nei bacini oceanici, sia in media di circa 30 miliardi di tonnellate. Solo nel 2015, invece, gli esseri umani hanno spostato circa 316 miliardi di tonnellate di materiale, più di dieci volte il carico naturale di sedimenti.

Un terzo elemento che sorprende riguarda la nostra capacità di trasportare carburanti e prodotti in tutto il mondo in quanto trasportiamo materiali su distanze sempre più vaste. La spedizione continua ad essere il meccanismo principale per lo spostamento di materiali in tutto il mondo. Dal 1990, la quantità di materiali spediti è più che triplicata e continua a crescere.

Un discorso a sé riguarda la plastica, la quale a causa della velocità della crescita della produzione e dell’uso è forse il materiale più rappresentativo della tecnosfera. Le prime forme di plastica sono emerse all’inizio del XX secolo. Ma la sua produzione di massa è iniziata dopo la seconda guerra mondiale, con una quantità stimata di due milioni di tonnellate prodotte nel 1950. La produzione globale poi, è aumentata a circa 460 milioni di tonnellate a partire dal 2019. Questa ondata di produzione di plastica è una preoccupazione urgente. L’inquinamento da plastica ora causa molti impatti negativi sia sulla natura sia sugli esseri umani. La plastica oceanica, ad esempio, può degradarsi in pezzi più piccoli, fino a dimensioni micrometriche, ed essere ingerita dagli animali marini.

Considerando tutto ciò diventa evidente come il crescente impatto dell’umanità sul pianeta Terra rappresenti una minaccia significativa per la salute e la sicurezza delle persone in tutto il mondo. Ma capire l’entità del nostro impatto è solo una parte della storia. Altrettanto importante è la natura, la forma e la posizione dei diversi materiali che costituiscono la tecnosfera. Solo allora potremo comprendere il vero impatto dell’umanità. Un esempio tra i tanti: anche i più piccoli materiali prodotti dall’uomo, come le nanoplastiche, possono avere conseguenze significative e di vasta portata che vanno ad interessare gli ecosistemi più diversi e più lontani tra loro e non ultimo interessano l’uomo.

Record di fulmini a Tonga

L’esplosione di detriti nella stratosfera legata all’eruzione del vulcano Hunga Tonga nel gennaio 2022, ha infranto tanti record per la sua potenza esplosiva.  Ora uno studio condotto da ricercatori negli Stati Uniti ne ha scoperto un altro, estremamente scioccante: ha stimato infatti, che vi è stata una serie di 192.000 fulmini che si succeduti sul suo tumultuoso pennacchio di cenere e vapore acqueo in sole 11 ore. Quei lampi hanno raggiunto il picco quando in un solo minuto se ne succedevano 2.615: ufficialmente la tempesta di fulmini più intensa mai registrata. L’evento ha anche prodotto i lampi alle quote più elevate mai osservate: ossia dai 20 a 30 chilometri sopra il livello del mare. L’eruzione dell’Hunaga Tonga-Hunga Ha’apai viene oggi riconosciuta dai geologi come la più grande eruzione esplosiva del secolo, la quale ha creato un pennacchio di cenere, vapori e gas alto 58mila metri. «Questa eruzione ha innescato un temporale sovralimentato, come non ne abbiamo mai visto prima», ha fatto sapere la vulcanologa Alexa Van Eaton, dello United States Geological Survey . «Questi risultati arrivano grazie a “nuovi strumenti” che monitorano l’attività dei vulcani per fornire avvisi di pericolo circa la presenza di cenere nei cieli attraversati dalle rotte aeree. Si tratta di una combinazione di letture ottiche e radio combinate insieme a misure di radiazione elettromagnetica sia nelle frequenze visibili che radio, oltre ad immagini prese da satelliti in orbita e antenne radio terrestri in grado di rilevare impulsi di corrente elettrica», ha spiegato Van Eaton.

Combinando questi dati, il gruppo di scienziati ha potuto ottenere una simulazione in tempo reale della tempesta di fulmini sopra Hunga, nonostante la vastità e lo spessore del pennacchio che si gonfiava via via nel tempo. Le osservazioni hanno mostrato che l’eruzione è durata più a lungo di quanto si pensasse in precedenza. Sappiamo che parte del motivo per cui l’eruzione è stata così gigantesca è perché ha preso avvio sott’acqua, con il magma che vaporizzava l’acqua di mare mentre saliva verso il cielo. Sembra che le condizioni fossero perfette anche per una tempesta di fulmini sovralimentata, poiché la cenere vulcanica, l’acqua super raffreddata e i chicchi di grandine si scontravano di continuo tra loro. Stando alla ricerca i fulmini tendevano a “navigare” su onde giganti generate dall’eruzione nell’oceano Pacifico meridionale. Queste onde formavano anelli larghi fino a 250 chilometri. «La scala di questi anelli di fulmini ci ha fatto impazzire», ha sottolineato Van Eaton. «Non abbiamo mai visto niente di simile prima e non c’è nulla di paragonabile con altre tempeste meteorologiche».

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